Consiglio di Stato, sez. II, 19 settembre 2025, n. 7413
Abuso edilizio – Fiscalizzazione – Ipotesi applicative – Eccezioni – Impossibilità di riduzione in pristino – Natura
L’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 contempla tre diverse fattispecie di annullamento del titolo. La prima riguarda il caso in cui il titolo sia stato annullato perché affetto da un vizio di procedura emendabile. La seconda fattispecie è quella in cui il titolo sia stato annullato per un vizio di procedura insanabile e l’intervento è quindi abusivo, ma, essendo conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia, può essere mantenuto previa applicazione di una sanzione pecuniaria, il cui integrale versamento produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria. Il terzo caso è quello del permesso annullato per un vizio sostanziale, ossia perché l’intervento è contrastante con la disciplina applicabile, circostanza che preclude tanto la convalida, quanto la “fiscalizzazione” e impone il ripristino dello stato dei luoghi, a tutela dell’effettività della normativa urbanistica ed edilizia nonché dell’ordinato sviluppo del territorio nei termini disposti dalle Autorità cui è attribuita la funzione di governarlo.
Con riferimento alla seconda ipotesi, l’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 prevede, come eccezione alla regola della riduzione in pristino stato, la possibilità di fiscalizzazione dell’abuso, ovverosia l’applicazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, soltanto «In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, (…) la restituzione in pristino». Quanto alla concreta individuazione di tale impossibilità di riduzione in pristino, essa non può che essere di ordine squisitamente tecnico costruttivo; diversamente opinando, l’art. 38 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si presterebbe a letture strumentali, consentendo sanatorie ‘ex officio’ di abusi attraverso lo strumento dell’annullamento in autotutela del titolo edilizio originario. La riduzione in pristino, pertanto, deve risultare impraticabile alla luce di una valutazione tecnica e non di una ponderazione dei vari interessi in gioco.
La natura dell’impossibilità, in quanto riferita ad aspetti di ordine tecnico-costruttivo, esclude che essa possa essere rinvenuta nella temporanea indisponibilità dell’ente alla demolizione di ufficio (per ragioni finanziarie o altro), tenuto altresì conto della acquisizione conseguente all’inottemperanza alla disposta demolizione. Né essa può essere ravvisata nella circostanza che, per effetto della demolizione, si provocherebbe danno o pregiudizio alla restante costruzione di proprietà dell’autore dell’illecito (preesistente o legittimamente assentita) o a quella di terzi. Difatti, la commissione dell’illecito non esclude, per principio generale, che l’autore si faccia carico di tutte le conseguenze della propria condotta, ivi compresi i pregiudizi arrecati alla sua stessa res (o a quella altrui) per effetto della doverosa attività di restituzione in pristino. Posto che risulta difficile ipotizzare una attività di demolizione che non comporti danni o pregiudizi, anche minimi, alla costruzione preesistente o legittimamente assentita (mentre nel caso di immobile totalmente abusivo è, in linea di massima, da escludere l’impossibilità di demolizione), rinvenire l’impossibilità di demolizione nel mero danno così arrecato finisce per costituire, in pratica, un sostanziale aggiramento della regola che vede nella riduzione in pristino la ordinaria sanzione dell’abuso edilizio, così finendo con il “legittimare” un abuso e, tramite la fiscalizzazione – costituire, anche in questo caso, una sorta di “condono a titolo oneroso”. L’impossibilità di restituzione in pristino deve, quindi, essere individuata nei soli (eventuali) casi in cui la demolizione risulti tecnicamente impossibile (e ciò – si ribadisce – è difficile che riguardi immobili totalmente abusivi), ovvero laddove la stessa esponga a pericolo, non altrimenti ovviabile, la pubblica o privata incolumità; ovvero ancora nei casi in cui la demolizione comporti danni ingenti a terzi ed il risarcimento di questi risulti eccessivamente oneroso.