Rivista di Diritto ed Economia dei Comuni

La Rivista di Diritto ed Economia dei Comuni è una pubblicazione scientifica – con cadenza quadrimestrale – nata con l’ambizione di contribuire a una nuova stagione di studi sulle autonomie locali, attraverso un rigoroso confronto tra scienziati, magistrati, operatori.
Questo sito rappresenta una virtual open data room in cui selezionare e reperire, oltre che i fascicoli della Rivista, materiali di interesse, in una logica circolare di dialogo e confronto, interni ed esterni. Un luogo in cui intrecciare e rafforzare il dibattito – che vorremmo sempre più intenso – sul futuro del patrimonio istituzionale più prezioso del Paese: i suoi Comuni.
Per logica conseguenza, vorremmo che questo sito fosse non di chi lo fa, ma di quanti lo usano e, forse, ne traggono un’utilità.

Fondo di solidarietà comunale – Legge di Bilancio – autonomia finanziaria comunale –  vincoli di destinazione – strumenti di perequazione – inammissibilità
Corte Costituzionale, sent. 23.02.2023 n. 71/2023

Controllo collaborativo –Richiesta attività consultiva da parte di Unione di comuni – Finanziamento e sviluppo dei servizi sociali comunali – Assunzioni assistenti sociali – Fondo di solidarietà – Vincoli di bilancio 
Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, 7 marzo 2023, n. 38

Demanio marittimo – Concessioni – Articolo 12, paragrafi 1 e 2, Direttiva 2006/123/CE – Effetto diretto – Obbligo di procedura di selezione imparziale e trasparente – Divieto di rinnovo automatico autorizzazione – Carattere incondizionato e sufficientemente preciso – Normativa nazionale – Disapplicazione
Corte di Giustizia Europea, 20 aprile 2023, sent. C-348/22

Contratti pubblici – Appalti – Cottimo fiduciario – Natura giuridica – Principi applicabili – Bilanciamento – Principio di proporzionalità – Libertà di forme – Effetto utile
Consiglio di Stato, sez. IV, 20 aprile 2023, n. 4014

Agricoltura e zootecnia – Indicazione geografica e denominazione di origine – Norme della Regione Siciliana – istituzione della denominazione comunale [De.Co.]- non fondatezza – inammissibilità
Corte Costituzionale, sent. 23.02.2023 n. 75/2023

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Onere motivazionale attenuato – Irrilevanza decorso temporale dall’abuso
Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 14 aprile 2023, n. 203

Comuni, Province e Città metropolitane – Norme della Regione autonoma Sardegna – Durata del mandato del Sindaco – Segretario comunale – Modalità di accesso all’albo dei segretari comunali-  illegittimità costituzionale
Corte Costituzionale, sent. 07.03.2023 n. 60/2023 

Controllo bilanci – Esame relazioni Organo di revisione dell’Ente – Elementi di risposta parziali e non adeguati – Accertamento condotta omissiva – Pregiudizio all’espletamento dell’attività di controllo 
Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia,
28 marzo 2023, n. 92

Demanio marittimo – Concessioni demaniali – Proroga legale – Azione di accertamento
Consiglio di Stato, sez. VI, 14 marzo 2023, n. 2644

ANCI
Nota
Le norme di semplificazione vigenti per l’attuazione degli interventi di edilizia scolastica anche a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 24 del DL 13/2023, convertito con modificazioni, nella Legge n. 41/2023

ANCI
Nota
Rafforzamento della capacità amministrava dei Comuni

ANAC
Atto del Presidente del 19 aprile 2023
Richiesta di parere in merito alla compatibilità dell’incarico di RPCT con quello di RUP

ANAC
Atto del Presidente del 19 aprile 2023
Comune di Alta Valle Intelvi – raccomandazione ai sensi dell’art. 11 co. 1, lett. b) del Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di prevenzione della corruzione.

MINISTERO DELL’INTERNO
Circolare DAIT n.66 del 5 maggio 2023
Accesso generalizzato agli indici decennali dei registri dello stato civile.

IFEL
Dossier del 3 aprile 2023
Le Strategie territoriali nella Politica di coesione 2021-2027 – Agenda territoriale nazionale e Ruolo dei Comuni italiani

Conferenza unificata
Seduta del 27 aprile 2023  
Incentivi  – adesione riorganizzazioni e aggregazioni servizi pubblici locali

AGCOM
Bollettino 16/2023 del 24.04.2023
Avvisi pubblici per l’affidamento esternalizzato dei servizi legali

ARERA
Delibera 18 aprile 2023
Determinazione a consuntivo del corrispettivo a copertura dei costi riconosciuti per il funzionamento del Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A., per l’anno 2022

Giurisprudenza e Prassi

Costo della manodopera, ribasso e verifica di anomalia

Tar Lazio, Roma, sez. II bis, 28 luglio 2025, n. 14863

Contratti di lavori, servizi e forniture – Procedure ad evidenza pubblica – Verifica di anomalia delle offerte – Costo di manodopera – Ribasso – Trattamenti salariali minimi

L’art. 41, comma 14, D. Lgs. 36/2003, impone alla stazione appaltante, con riferimento ai contratti di lavori, servizi e forniture, di sottoporre automaticamente – escludendo qualsivoglia valutazione di tipo discrezionale da parte dell’Amministrazione – a verifica di anomalia, ai sensi dell’art. 110 D. Lgs. 36/2023, l’offerta economica di un concorrente che abbia individuato, a titolo di costo della manodopera, un importo inferiore rispetto a quello indicato nell’importo a base di gara.

Del resto, i costi della manodopera, in quanto componenti effettivi dell’importo a base di gara, possono sì essere soggetti a ribasso, purché l’operatore economico dimostri che tale ribasso sia espressione di una più efficiente organizzazione aziendale e ferma l’inderogabilità dei trattamenti salariali minimi.

La valutazione delle offerte tecniche in una procedura di gara

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, sez. unica, 23 luglio 2025, n. 120

Procedure ad evidenza pubblica – Offerte tecniche – Valutazione – Discrezionalità – Cause di esclusione – Tassatività

La carenza che legittima l’esclusione dalla gara deve consistere nella carenza di un elemento dell’offerta ritenuto essenziale e, come tale suscettibile di dare luogo al cd. aliud pro alio, riferito – a presidio proprio del principio di stretta tassatività delle cause di esclusione – a quelle caratteristiche e qualità dell’oggetto dell’appalto che possano essere qualificate con assoluta certezza come caratteristiche minime, perché espressamente definite come tali o perché se ne fornisce una descrizione che ne rivela in modo certo ed evidente il carattere essenziale.

Nell’ambito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, la valutazione delle offerte tecniche rappresenta l’espressione di un’ampia discrezionalità tecnica della stazione appaltante, con conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, qualora non risultino inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da irragionevolezza manifesta. Per sconfessare il giudizio della commissione giudicatrice non è sufficiente evidenziarne la mera non condivisibilità, dovendosi piuttosto dimostrare la palese inattendibilità e l’evidente insostenibilità del giudizio tecnico compiuto.

Annullamento del titolo edilizio e fiscalizzazione dell’abuso

Consiglio di Stato, sez. II, 19 settembre 2025, n. 7413

Abuso edilizio – Fiscalizzazione – Ipotesi applicative – Eccezioni – Impossibilità di riduzione in pristino – Natura

L’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 contempla tre diverse fattispecie di annullamento del titolo. La prima riguarda il caso in cui il titolo sia stato annullato perché affetto da un vizio di procedura emendabile. La seconda fattispecie è quella in cui il titolo sia stato annullato per un vizio di procedura insanabile e l’intervento è quindi abusivo, ma, essendo conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia, può essere mantenuto previa applicazione di una sanzione pecuniaria, il cui integrale versamento produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria. Il terzo caso è quello del permesso annullato per un vizio sostanziale, ossia perché l’intervento è contrastante con la disciplina applicabile, circostanza che preclude tanto la convalida, quanto la “fiscalizzazione” e impone il ripristino dello stato dei luoghi, a tutela dell’effettività della normativa urbanistica ed edilizia nonché dell’ordinato sviluppo del territorio nei termini disposti dalle Autorità cui è attribuita la funzione di governarlo.

Con riferimento alla seconda ipotesi, l’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 prevede, come eccezione alla regola della riduzione in pristino stato, la possibilità di fiscalizzazione dell’abuso, ovverosia l’applicazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, soltanto «In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, (…) la restituzione in pristino». Quanto alla concreta individuazione di tale impossibilità di riduzione in pristino, essa non può che essere di ordine squisitamente tecnico costruttivo; diversamente opinando, l’art. 38 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si presterebbe a letture strumentali, consentendo sanatorie ‘ex officio’ di abusi attraverso lo strumento dell’annullamento in autotutela del titolo edilizio originario. La riduzione in pristino, pertanto, deve risultare impraticabile alla luce di una valutazione tecnica e non di una ponderazione dei vari interessi in gioco.

La natura dell’impossibilità, in quanto riferita ad aspetti di ordine tecnico-costruttivo, esclude che essa possa essere rinvenuta nella temporanea indisponibilità dell’ente alla demolizione di ufficio (per ragioni finanziarie o altro), tenuto altresì conto della acquisizione conseguente all’inottemperanza alla disposta demolizione. Né essa può essere ravvisata nella circostanza che, per effetto della demolizione, si provocherebbe danno o pregiudizio alla restante costruzione di proprietà dell’autore dell’illecito (preesistente o legittimamente assentita) o a quella di terzi. Difatti, la commissione dell’illecito non esclude, per principio generale, che l’autore si faccia carico di tutte le conseguenze della propria condotta, ivi compresi i pregiudizi arrecati alla sua stessa res (o a quella altrui) per effetto della doverosa attività di restituzione in pristino. Posto che risulta difficile ipotizzare una attività di demolizione che non comporti danni o pregiudizi, anche minimi, alla costruzione preesistente o legittimamente assentita (mentre nel caso di immobile totalmente abusivo è, in linea di massima, da escludere l’impossibilità di demolizione), rinvenire l’impossibilità di demolizione nel mero danno così arrecato finisce per costituire, in pratica, un sostanziale aggiramento della regola che vede nella riduzione in pristino la ordinaria sanzione dell’abuso edilizio, così finendo con il “legittimare” un abuso e, tramite la fiscalizzazione – costituire, anche in questo caso, una sorta di “condono a titolo oneroso”. L’impossibilità di restituzione in pristino deve, quindi, essere individuata nei soli (eventuali) casi in cui la demolizione risulti tecnicamente impossibile (e ciò – si ribadisce – è difficile che riguardi immobili totalmente abusivi), ovvero laddove la stessa esponga a pericolo, non altrimenti ovviabile, la pubblica o privata incolumità; ovvero ancora nei casi in cui la demolizione comporti danni ingenti a terzi ed il risarcimento di questi risulti eccessivamente oneroso.

Titolo edilizio e durata

Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 10 settembre 2025, n. 1452

Titolo edilizio – Termini di efficacia – Decadenza – Elusione – Proroga – Inizio dei lavori nei termini di legge – Onere probatorio

L’inizio dei lavori idoneo a evitare la decadenza del permesso di costruire deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto, consistenti nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici.

Tale inizio deve essere sempre rapportato all’entità e alle dimensioni dell’intervento edilizio autorizzato, in quanto la stessa nozione di inizio lavori è dinamica, dovendosi parametrare all’opera definitiva; l’inizio dei lavori rilevante al fine di impedire la decadenza dal titolo edificatorio deve dunque essere comprovato dall’effettuazione di trasformazioni che superino la soglia delle mere attività preparatorie, dovendo essere di entità significativa non prescindendo dalla valutazione dell’opera da eseguire.

L’art. 15 comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, che si riferisce ad una decadenza «di diritto», esclude qualsiasi sospensione automatica del termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una sua automatica proroga. Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata un’istanza di proroga, sulla quale l’amministrazione deve pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti per accogliere l’istanza effettivamente sussistono.

Beni pubblici e concessioni

Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 25 agosto 2025, n. 947

Concessioni di beni pubblici – Oggetto – Termini – Affidamento del concedente – Insussistenza – Sdemanializzazione – Effetti – Opere non amovibili – Destinazione

La concessione di beni pubblici può avere a oggetto esclusivamente beni del demanio ovvero beni del patrimonio indisponibile del concedente, e non anche beni del patrimonio disponibile. Per effetto della sdemanializzazione e del passaggio dell’intero ambito al patrimonio disponibile dello Stato viene meno l’oggetto della concessione e dunque anche la concessione medesima.

La proprietà superficiaria di beni realizzati sul demanio, infatti, da un lato, è strettamente funzionale al godimento del bene pubblico, e dunque segue necessariamente la sorte della concessione, e dall’altro lato, non può essere per sua natura perpetua, perché diversamente si tradurrebbe in una forma larvata di usucapione parziale di bene (quello demaniale che sopporta la proprietà superficiaria) per definizione inusucapibile.

La concessione, in quanto comporta la sottrazione del bene pubblico all’uso e al godimento da parte della collettività non può che avere durata limitata nel tempo. Nessun diritto, personale o reale, di godimento, anche parziale, può essere costituito in perpetuo a favore privati su beni (quelli del demanio o del patrimonio indisponibile), che, per loro natura, sono inalienabili, inusucapibili e indisponibili. È da tempo pacifico in giurisprudenza che il concessionario non può vantare alcun diritto di insistenza sul bene ottenuto in concessione.

Questo comporta che nessuna aspettativa tutelata può far valere il concessionario e nessuna recriminazione può avanzare per il solo fatto che la concessione ha naturalmente terminato di produrre effetti.

La determinazione della durata della concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione concedente.

L’articolo 49, I comma, Cod. nav., prevede che: «Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato».

E sulla compatibilità comunitaria dell’articolo 49 Cod. nav. si è recentemente espressa la CGUE con la sentenza 11 luglio 2024 Causa C-598/22, affermando che «l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione».

Diritto di accesso e limiti

Tar Campania, Salerno, sez. III, 19 settembre 2025, n. 1523

Procedimento amministrativo – Accesso – Strumentalità – Presupposti – Oggetto – Interesse giuridicamente rilevante – Accesso difensivo – Valutazione in astratto

L’accesso va in ogni caso garantito qualora sia strumentale e funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima ed indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione giudiziale (c.d. accesso difensivo).

Quanto ai presupposti legittimanti l’esercizio del diritto di accesso ai documenti della pubblica amministrazione, è stata affermata la necessaria coesistenza di un interesse giuridicamente rilevante del richiedente, non necessariamente sostanziantesi in un interesse legittimo o in un diritto soggettivo, ma giuridicamente tutelato (non potendo identificarsi col generico ed indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’attività amministrativa) ed un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l’ostensione.

L’interesse all’accesso (difensivo) deve essere valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento alla fattispecie concreta, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o all’ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso stesso.

Il diritto di accesso ha ad oggetto documenti formati e quindi venuti ad esistenza che si trovino nella certa disponibilità dell’amministrazione, non potendo l’esercizio di tale diritto o l’ordine di esibizione impartito dal giudice, alla luce del principio generale per cui “ad impossibilia nemo tenetur” e per evidenti ragioni di buon senso, riguardare documenti non più esistenti o mai formati. La dimostrazione probatoria grava sulla parte che intenda far valere il diritto, la quale può assolvervi anche attraverso presunzioni ovvero in via indiziaria, ma non tramite mere supposizioni. Laddove, pertanto, l’esistenza del documento sia incerta o solo eventuale o ancora di là da venire, l’azione di accesso agli atti non può essere ritenuta ammissibile.

Inderogabilità della pubblicità dell’istanza di autorizzazione all’installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici

Tar Liguria, Genova, sez. II, 12 settembre 2025, n. 994

Installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici – Procedimento di autorizzazione – Istanza – Pubblicità – Necessarietà – Inderogabilità – Ratio

Nell’economia del procedimento di autorizzazione all’installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici, la pubblicizzazione dell’istanza (ai sensi dell’art. 44, comma 5 del D. Lgs. n. 259/2003, a mente del quale “Lo sportello locale competente provvede a pubblicizzare l’istanza, pur senza diffondere i dati caratteristici dell’impianto”) non costituisce un adempimento meramente formale, essendo funzionale all’attuazione di un principio di democraticità del processo decisionale, che non consente deroghe di sorta.

Impianti di telefonia e “cedevolezza” della pubblica utilità

Tar Sardegna, Cagliari, sez. I, 11 settembre 2025, n. 729

Pianificazione urbanistica – Installazione di impianti di telefonia e di stazioni radio base – Localizzazione – Discrezionalità – Limiti – Interessi rilevanti

In materia di telecomunicazioni, la giurisprudenza costante assimila gli impianti di telefonia e le stazioni radio base alle opere di urbanizzazione primaria che rivestono carattere di pubblica utilità, di talché l’opinione prevalente è che questi impianti possano essere ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, risultando compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche, ma è del pari vero che, come anche chiarito da questo Tribunale Amministrativo Regionale, le predette infrastrutture non possono essere localizzate indiscriminatamente in ogni sito del territorio comunale, perché, al cospetto di rilevanti interessi di natura pubblica l’esigenza della realizzazione dell’opera di pubblica utilità può risultare cedevole, e che in altri termini, la natura di opere di urbanizzazione primaria delle stazioni radio base è compatibile, di per sé, con qualsiasi destinazione urbanistica, salvo il rispetto di disposizioni specifiche di atti generali aventi rilevanza autonoma rispetto alla disciplina urbanistica.

Pianificazione urbanistica e oneri motivazionali

Tar Piemonte, Torino, sez. II, 1 settembre 2025, n. 1295

Pianificazione urbanistica – Destinazione urbanistica – Discrezionalità della P.A. – Onere motivazionale attenuato – Eccezioni – Affidamento meritevole di tutela – Configurabilità

Per pacifica giurisprudenza, rientra nella piena discrezionalità pianificatoria del Comune la possibilità di imprimere ad una determinata zona un certo regime urbanistico-edilizio. Per tale ragione, la destinazione data dagli strumenti urbanistici alle singole aree del territorio non necessita di apposita motivazione, salvo che particolari situazioni, qui non ravvisabili, abbiano creato qualificate aspettative o affidamenti meritevoli di tutela in favore dei privati interessati. All’ampia discrezionalità di cui godono gli enti locali in sede di pianificazione urbanistica corrisponde un sindacato giurisdizionale di carattere estrinseco, limitato al riscontro di palesi elementi di illogicità e irrazionalità senza che lo scrutinio possa spingersi all’apprezzamento nel merito circa la condivisibilità delle scelte pubbliche. Per consolidata ricostruzione, infatti, anche l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e “mirata”, salvo i casi in cui la variante, oltre ad incidere su zone territorialmente circoscritte, leda anche le già menzionate, legittime aspettative in capo ai privati. Tale legittimo affidamento alla conservazione delle qualità urbanistiche di un’area è tuttavia configurabile solo in presenza di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio – rifiuto su una domanda di concessione o, ancora, nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.

Responsabilità della PA, configurabilità e oneri probatori

Tar Veneto, Venezia, sez. I, 1 settembre 2025, n. 1501

Procedimento amministrativo – Responsabilità della P.A. – Natura giuridica – Configurabilità – Colpevolezza – Onere probatorio

La responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale. Pertanto è onere del danneggiato fornire compiuta prova di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito (danno evento e danno conseguenza, nesso di causalità, illegittimità del provvedimento e colpa dell’amministrazione). In particolare quanto al presupposto soggettivo è stato precisato che la responsabilità dell’Amministrazione non può configurarsi in modo automatico dall’annullamento di un provvedimento illegittimo, essendo necessario accertare, oltre al nesso causale tra l’azione amministrativa e il danno lamentato, anche la sussistenza della colpevolezza o del dolo da parte dell’Amministrazione stessa.

L’illegittimità del provvedimento amministrativo, anche laddove acclarata con l’annullamento giurisdizionale, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere più o meno vincolato (quindi, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità) della statuizione amministrativa. Invece, l’elemento psicologico della colpa della P.A. va individuato nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenze, omissioni d’attività o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili in ragione dell’interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la P.A. stessa. La responsabilità dell’Amministrazione deve quindi essere negata quando l’Amministrazione ha posto in essere un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.

VIA e durata dei provvedimenti autorizzativi

Consiglio di Stato, sez. VII, 1 settembre 2025, n. 7158

Valutazione di impatto ambientale (V.I.A) – Provvedimenti autorizzativi – Durata di efficacia – Riesame

In assenza di una espressa durata temporale della valutazione di assoggettabilità a V.I.A., la giurisprudenza prevalente ha precisato che l’attuale disciplina prevede l’esclusione dalla valutazione di impatto ambientale, ma non dispone nulla in ordine alla durata di tale esclusione.

La necessità di colmare questa lacuna porta ad applicare a tale situazione l’unica previsione in termini di validità temporale dei provvedimenti di valutazione dell’impatto ambientale, ossia quella relativa alla validità quinquennale.

Il principio è in linea con l’indirizzo espresso alla giurisprudenza eurounitaria, secondo cui la previsione della durata di efficacia della V.I.A. di cui all’art. 25, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, riferita al termine minimo quinquennale, che può essere graduato nel provvedimento in relazione alla tipologia di opera da realizzare e con la possibilità del soggetto interessato di presentare un’istanza documentata di proroga, non contrasta con alcuna disposizione eurounitaria, ma è coerente con le previsioni della direttiva 2010/75/CE (applicabile alle discariche) e delle successive (Direttiva 2014/52/UE), da cui si evince l’attenzione riservata dal legislatore eurounitario sia all’adeguamento dei progetti e delle autorizzazioni alle ‘migliori tecniche disponibili’, necessariamente mutevoli nel tempo, sia in relazione all’evoluzione dei progetti.

I provvedimenti autorizzativi di valutazione ambientale hanno una durata limitata nel tempo e, analogamente, per le medesime ragioni che riducono il tempo di validità della V.I.A., le decisioni sui progetti già approvati, e quindi le determinazioni che escludono la V.I.A., sono riesaminabili in considerazione della natura intrinsecamente dinamica dei fattori che condizionano gli equilibri ambientali e la mutevolezza nel tempo delle condizioni di contesto.

La valutazione del territorio deve avere una efficacia temporale limitata e, soprattutto, deve tenere conto dei diversi fattori soggetti a continuo mutamento anche nelle loro interrelazioni.

Autorizzazione Unica Ambientale, SUAP e riparto di competenze

Consiglio di Stato, sez. IV, 11 settembre 2025, n. 7291

Autorizzazione Unica Ambientale (A.U.A) – Rilascio, rinnovo e aggiornamento – Riparto di competenze – Normativa Regione Campania – Città Metropolitana – SUAP – Discrezionalità e vincolatività

L’articolo 2, comma 1, lett. b del D.P.R. 59/2013 individua nella Provincia, oggi Città Metropolitana, l’autorità competente ai fini del rilascio, rinnovo o aggiornamento dell’Autorizzazione Unica Ambientale (di seguito A.U.A.), la quale confluisce in un provvedimento conclusivo del procedimento che è rilasciato dallo sportello unico per le attività produttive (S.U.A.P.) del Comune. Ai sensi dell’art. 2 comma e) del d.p.r. n. 59/2013, il SUAP è l’unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva, che fornisce una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni, comunque coinvolte nel procedimento.

Nella Regione Campania, l’autorità competente è stata indicata dalla legislazione territoriale, nella Città Metropolitana. La procedura per il rilascio dell’autorizzazione unica ambientale, quella prevista per il rinnovo e le modifiche della stessa sono poi disciplinate dagli articoli 4, 5 e 6 del citato d.p.r. che attribuiscono alla “autorità competente” – id est, Città Metropolitana – la competenza ad adottare gli atti, appunto, di rilascio, rinnovo e modifica della A.U.A., ivi incluse pertanto le determinazioni di revoca o annullamento (in quanto di modifica del titolo), e nel SUAP l’organo preposto al materiale e definitivo rilascio del relativo provvedimento.

In questo contesto regolamentare, l’ambito operativo del SUAP, con riguardo alle attività di rilascio, rinnovo e modifica dell’AUA è circoscritto alla mera verifica della correttezza formale della documentazione ricevuta dal privato istante e all’esercizio di una funzione interlocutoria con quest’ultimo.

La legislazione di settore (cfr d.p.r. n. 160/2010 e n. 59/2013) attribuisce, infatti, a tale organo il compito di fornire al soggetto richiedente una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento, incluse quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e culturale. Il SUAP, in altri termini, si erge a mero organo coordinatore-attuatore la cui attività è priva di discrezionalità. Esso è deputato (rectius, obbligato) a rilasciare l’A.U.A. al soggetto privato istante una volta che sia stato adottato il relativo provvedimento da parte dell’autorità competente.

Più in particolare, il SUAP non può discostarsi dai provvedimenti della Provincia o della Città Metropolitana che confluiscono nel provvedimento conclusivo del procedimento, né tantomeno esimersi dal rilasciare l’A.U.A. al soggetto richiedente. Tanto si evince con riferimento alle prescrizioni contenute nel d.p.r. 59/2013 (Regolamento recante la disciplina dell’autorizzazione unica ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi previsti in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale). Tra queste, assume particolare rilievo l’art. 4, comma 7, del citato Regolamento, in base al quale “qualora sia necessario acquisire esclusivamente l’autorizzazione unica ambientale ai fini del rilascio, della formazione, del rinnovo o dell’aggiornamento di titoli abilitativi di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, del presente regolamento, il SUAP trasmette la relativa documentazione all’autorità competente che, ove previsto, convoca la conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. L’autorità competente adotta il provvedimento e lo trasmette al SUAP per il rilascio del titolo”.

La voluntas legis è chiara nel senso di stabilire che ogni valutazione e decisione inerente l’A.U.A. spetta esclusivamente alla Provincia (nel caso di specie, alla Città Metropolitana). Pertanto, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b) del d.p.r. n. 59/2013 l’unica autorità competente al rilascio, rinnovo e aggiornamento dell’A.U.A. è la Provincia, salvo diversa indicazione della normativa regionale che, per quanto riguarda la Regione Campania, è individuata nella Città Metropolitana.

L’art. 4, comma 7, del Regolamento esplicita in modo chiaro e preciso il riparto delle competenze tra Provincia (id est, Città Metropolitana) e SUAP nell’ambito della procedura per il rilascio dell’AUA: mentre la prima è competente ad adottare il provvedimento autorizzativo, il secondo è semplicemente chiamato a rilasciare al soggetto richiedente la determinazione provinciale.

Quella del SUAP deve, pertanto, intendersi come attività vincolata consistente unicamente nell’obbligo di rilasciare l’A.U.A. al soggetto richiedente.

Rimborso ICI

Corte Suprema di Cassazione, Civile, Sez. V, 2 settembre 2025, n. 24382

Tributi locali – ICI – Rimborso – Silenzio-rifiuto – Giudicato esterno – Limiti – Sanzioni ed interessi – Non rimborsabilità

In tema di rimborso ICI, la sentenza passata in giudicato che ridetermina il valore imponibile dei terreni costituisce il titolo cui ancorare il diritto restitutorio, senza che il giudice tributario possa procedere a una nuova revisione degli atti impositivi ed estendere il rimborso anche alle somme versate a titolo di interessi e sanzioni, ove la decisione passata in giudicato non abbia escluso la loro debenza.

Concessione di aree pubbliche, commercio ambulante e oneri di gara pubblica

Consiglio di Stato, sez. VI, 10 luglio 2025, n. 6013

Demanio e patrimonio dello Stato – Concessioni amministrative – Aree pubbliche – Commercio ambulante – Scarsità della risorsa – Principio di libera concorrenza – Gara pubblica – Divieto di rinnovo automatico – Normativa eurounitaria – Illegittimità della normativa interna

A tutela della concorrenza e della libertà di stabilimento, anche ai fini della concessione di aree pubbliche per il commercio ambulante, deve farsi applicazione del  diritto dell’Unione europea secondo cui per le attività economiche che utilizzano la disponibilità esclusiva di un bene pubblico caratterizzato dalla “scarsità” della relativa risorsa, il rilascio del titolo autorizzativo deve avvenire nel rispetto di rigose condizioni, ovvero previo espletamento di una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti adeguate garanzie di imparzialità e di trasparenza (art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006), “per una durata limitata adeguata”, e senza  previsione di procedure  di rinnovo automatico, né di altri vantaggi per il  prestatore uscente.

L’art. 181, comma 4-bis, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con legge 17 luglio 2020, n. 77, deve essere disapplicato poiché, nel prevedere un rinnovo automatico di dodici anni delle concessioni in essere, si pone in contrasto con il diritto dell’Unione europea e, in particolare, con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 (c.d. “direttiva servizi”), in quanto, in violazione  del principio della concorrenza, preclude l’accesso al mercato, tramite procedure imparziali di selezione, a nuovi potenziali operatori, garantendo invece una posizione di “privilegio” agli operatori già beneficiari di un rapporto concessorio.

Regione siciliana, istanza di titolo e silenzio dell’amministrazione

Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sez. giurisdizionale, 28 luglio 2025, n. 611

Istanza di concessione edilizia – Normativa Regione siciliana – Omesso rilascio della certificazione di ricevimento da parte del Comune – Silenzio assenso – Configurabilità

Nell’ordinamento siciliano, l’omesso rilascio della certificazione di ricevimento da parte del Comune, con l’indicazione del nome del responsabile del procedimento, non osta alla formazione del silenzio assenso sull’istanza di concessione edilizia presentata dall’interessato ai sensi dell’art. 2, comma 5, l. reg. Sicilia 31 maggio 1994, n. 17. Diversamente opinando, si rimetterebbe all’arbitrium merum dell’amministrazione (mercé l’omissione del rilascio di una certificazione obbligatoria per legge) la produzione, o meno, degli effetti legalmente previsti dalla legislazione regionale.