Rivista di Diritto ed Economia dei Comuni

La Rivista di Diritto ed Economia dei Comuni è una pubblicazione scientifica – con cadenza quadrimestrale – nata con l’ambizione di contribuire a una nuova stagione di studi sulle autonomie locali, attraverso un rigoroso confronto tra scienziati, magistrati, operatori.
Questo sito rappresenta una virtual open data room in cui selezionare e reperire, oltre che i fascicoli della Rivista, materiali di interesse, in una logica circolare di dialogo e confronto, interni ed esterni. Un luogo in cui intrecciare e rafforzare il dibattito – che vorremmo sempre più intenso – sul futuro del patrimonio istituzionale più prezioso del Paese: i suoi Comuni.
Per logica conseguenza, vorremmo che questo sito fosse non di chi lo fa, ma di quanti lo usano e, forse, ne traggono un’utilità.

Fondo di solidarietà comunale – Legge di Bilancio – autonomia finanziaria comunale –  vincoli di destinazione – strumenti di perequazione – inammissibilità
Corte Costituzionale, sent. 23.02.2023 n. 71/2023

Controllo collaborativo –Richiesta attività consultiva da parte di Unione di comuni – Finanziamento e sviluppo dei servizi sociali comunali – Assunzioni assistenti sociali – Fondo di solidarietà – Vincoli di bilancio 
Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, 7 marzo 2023, n. 38

Demanio marittimo – Concessioni – Articolo 12, paragrafi 1 e 2, Direttiva 2006/123/CE – Effetto diretto – Obbligo di procedura di selezione imparziale e trasparente – Divieto di rinnovo automatico autorizzazione – Carattere incondizionato e sufficientemente preciso – Normativa nazionale – Disapplicazione
Corte di Giustizia Europea, 20 aprile 2023, sent. C-348/22

Contratti pubblici – Appalti – Cottimo fiduciario – Natura giuridica – Principi applicabili – Bilanciamento – Principio di proporzionalità – Libertà di forme – Effetto utile
Consiglio di Stato, sez. IV, 20 aprile 2023, n. 4014

Agricoltura e zootecnia – Indicazione geografica e denominazione di origine – Norme della Regione Siciliana – istituzione della denominazione comunale [De.Co.]- non fondatezza – inammissibilità
Corte Costituzionale, sent. 23.02.2023 n. 75/2023

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Onere motivazionale attenuato – Irrilevanza decorso temporale dall’abuso
Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 14 aprile 2023, n. 203

Comuni, Province e Città metropolitane – Norme della Regione autonoma Sardegna – Durata del mandato del Sindaco – Segretario comunale – Modalità di accesso all’albo dei segretari comunali-  illegittimità costituzionale
Corte Costituzionale, sent. 07.03.2023 n. 60/2023 

Controllo bilanci – Esame relazioni Organo di revisione dell’Ente – Elementi di risposta parziali e non adeguati – Accertamento condotta omissiva – Pregiudizio all’espletamento dell’attività di controllo 
Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia,
28 marzo 2023, n. 92

Demanio marittimo – Concessioni demaniali – Proroga legale – Azione di accertamento
Consiglio di Stato, sez. VI, 14 marzo 2023, n. 2644

ANCI
Nota
Le norme di semplificazione vigenti per l’attuazione degli interventi di edilizia scolastica anche a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 24 del DL 13/2023, convertito con modificazioni, nella Legge n. 41/2023

ANCI
Nota
Rafforzamento della capacità amministrava dei Comuni

ANAC
Atto del Presidente del 19 aprile 2023
Richiesta di parere in merito alla compatibilità dell’incarico di RPCT con quello di RUP

ANAC
Atto del Presidente del 19 aprile 2023
Comune di Alta Valle Intelvi – raccomandazione ai sensi dell’art. 11 co. 1, lett. b) del Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di prevenzione della corruzione.

MINISTERO DELL’INTERNO
Circolare DAIT n.66 del 5 maggio 2023
Accesso generalizzato agli indici decennali dei registri dello stato civile.

IFEL
Dossier del 3 aprile 2023
Le Strategie territoriali nella Politica di coesione 2021-2027 – Agenda territoriale nazionale e Ruolo dei Comuni italiani

Conferenza unificata
Seduta del 27 aprile 2023  
Incentivi  – adesione riorganizzazioni e aggregazioni servizi pubblici locali

AGCOM
Bollettino 16/2023 del 24.04.2023
Avvisi pubblici per l’affidamento esternalizzato dei servizi legali

ARERA
Delibera 18 aprile 2023
Determinazione a consuntivo del corrispettivo a copertura dei costi riconosciuti per il funzionamento del Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A., per l’anno 2022

Giurisprudenza e Prassi

L’interpretazione delle clausole dei documenti di gara

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, sez. autonoma di Bolzano, 3 giugno 2025, n. 163

Contratti pubblici – Lex specialis – Interpretazione – Criteri – Principi di imparzialità e concorrenza

Per l’interpretazione delle clausole della lex specialis trovano applicazione le regole dettate dall’articolo 1362 e ss. del codice civile per l’interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale.

L’interpretazione dei bandi di gara, quali atti amministrativi generali, soggiace agli stessi canoni dettati per l’interpretazione degli atti negoziali (art. 1324 c.c.) e contrattuali (art. 1362 c.c.), assumendo tuttavia carattere preminente il canone dell’interpretazione letterale secondo cui l’ermeneutica deve avvenire innanzitutto in base al tenore letterale ossia attribuendo alle clausole il ‘senso letterale delle parole’ (art. 1362 c.c.), con esclusione, in caso di clausole assolutamente chiare, di ogni ulteriore procedimento interpretativo.

Il canone della interpretazione letterale si pone quale garanzia del rispetto dei principi di imparzialità dell’azione amministrativa e di tutela della concorrenza, in quanto proprio la sua rigorosa applicazione esclude che la stazione appaltante possa attribuire alle regole da essa stessa poste una portata diversa rispetto a quella che deriva obiettivamente dal tenore letterale su cui gli operatori del mercato, mediamente diligenti, hanno fatto affidamento ancor prima di partecipare alla gara. Infatti, poiché soltanto regole chiare consentono di conoscere il prevedibile esito della loro applicazione, gli operatori si determinano a partecipare alla competizione e a conformare di conseguenza l’offerta nella fiducia di ricevere proprio quel trattamento che discende dall’interpretazione letterale delle regole.

La revoca del vincolo paesaggistico

Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 29 aprile 2025, n. 446

Vincolo paesaggistico – Cessazione – Cause – Indeterminatezza dell’oggetto – Nullità parziale – Revoca per sopravvenienze – Inammissibilità

Il vincolo paesaggistico, la cui cessazione è conseguente al solo perimento totale del bene sul quale insiste ed esclusivamente per i beni ricadenti nella tipologia delle così dette “bellezze individue”, di cui alle lettere a) e b) dell’art. 136 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non può formare oggetto di un provvedimento di revoca per sopravvenienze, ferma restando la possibilità per la Commissione regionale per il paesaggio, ai sensi degli artt. 137 e ss., d.lgs. n. 42 del 2004, di accertare la nullità parziale dell’atto impositivo del vincolo medesimo, limitatamente alle parti che risultino oggettivamente del tutto indeterminate, secondo il combinato disposto degli artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c. e 21-septies l. n. 241 del 1990.

Prestazioni socio-assistenziali e compartecipazione ai costi

Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 17 aprile 2025, n. 337

Prestazioni socio-assistenziali in favore dei disabili – Quota di compartecipazione – Criteri di calcolo – ISEE – Non rilevanza – Illegittimità

È illegittima la disposizione di un regolamento comunale che, nel prevedere una formula matematica per il calcolo della quota di compartecipazione dell’interessato al costo delle prestazioni socio-assistenziali erogategli, fissi per tale compartecipazione una percentuale minima, la quale prescinde totalmente dall’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).

In materia di compartecipazione dei comuni alle spese per le prestazioni socio-assistenziali erogate in favore dei disabili ai sensi delle legge 8 novembre 2000, n. 328, è illegittima la determinazione comunale che stabilisce la quota di compartecipazione dell’interessato alla spesa per le prestazioni socio-sanitarie eseguite in suo favore, senza avere previamente accertato nel contraddittorio quali siano i trattamenti ai quali egli è concretamente sottoposto, e avere stabilito poi, sulla base di ciò, in quale delle previsioni normative rilevanti rientrino quei trattamenti, e quale sia conseguentemente la quota di spesa di cui deve farsi carico il servizio sanitario.

Consiglieri comunali e diritto d’accesso

Tar Campania, Salerno, sez. I, 26 marzo 2025, n. 565

Procedimento amministrativo – Diritto di accesso – Consiglieri comunali – Onere motivazionale – Insussistenza – Richieste generiche – Inammissibilità

La mancata previsione di modalità di accesso digitale al registro di protocollo informatico dell’ente locale, tramite il rilascio di apposite credenziali, non inficia la qualità del diritto dei consiglieri comunali, né rappresenta un reale impedimento per l’espletamento del munus pubblico; l’esercizio del diritto di accesso al registro di protocollo è assoggettato alla generale disciplina dettata per le altre tipologie di atti amministrativi.

I consiglieri comunali vantano un incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possono essere utili all’espletamento delle loro funzioni, con il duplice limite che esso deve comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche.

Sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato del consigliere comunale.

Vincolo storico-artistico e oneri motivazionali

Consiglio di Stato, sez. IV, 19 maggio 2025, n. 4259

Beni culturali, paesaggistici e ambientali – Apposizione del vincolo – Relazione della Sopraintendenza – Precedenti difformi – Onere motivazionale rafforzato

È illegittimo il decreto di apposizione del vincolo storico artistico, ex art. 10 comma 3 lett. d),  d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, quando la relazione Soprintendenza posta a sua fondamento si rilevi contraddittoria e carente nella motivazione per genericità delle considerazioni espresse dall’amministrazione a sostegno della dichiarazione di interesse culturale “storico-relazionale”, dovendo la stessa recare riferimenti  a eventi storici specifici e alla rilevanza del bene quale testimonianza dell’identità e della storia delle «istituzioni pubbliche, collettive o religiose». Sussiste inoltre un onere di motivazione rafforzato allorquando le ragioni espresse a sostegno dell’apposizione del vincolo contrastino con altre valutazioni espresse in precedenza dalla Soprintendenza.

Ricostruzione di manufatti distrutti e oneri probatori

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, sez. unica, 19 maggio 2025, n. 88

Intervento edilizio – Ricostruzione di manufatti distrutti – Destinazione d’uso – Caratteri originari – Onere probatorio – Normativa statale e della Provincia autonoma di Trento

L’art. 107, comma 2, della legge provinciale n. 15 del 2015, dispone che “è consentita la ricostruzione filologica o tipologica dei manufatti distrutti, individuati catastalmente alla data di entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per l’edificabilità dei suoli), o la cui esistenza a tale data possa essere documentalmente provata, anche mediante immagini fotografiche, e collocati in aree non destinate specificatamente all’insediamento, in presenza di elementi perimetrali tali da consentire l’identificazione della forma e sulla base di documenti storici o fotografie d’epoca; per questi manufatti è ammessa la destinazione d’uso originaria o il riutilizzo a fini abitativi non permanente”.

La disposizione esige non solo la dimostrazione della forma in pianta dell’edificio diruto ma anche delle altre dimensioni atte ad identificarne la consistenza originaria, le quali possono essere comprovate non solo mediante gli elementi perimetrali sopravvissuti ma anche sulla scorta di documenti storici o fotografie d’epoca; tale documentazione deve essere idonea a comprovare la configurazione originaria dello specifico edificio diruto in quanto la ricostruzione consentita dall’art. 107, comma 2, della l.p. n. 15 del 2015 costituisce deroga alla disciplina urbanistica applicabile all’area di proprietà della ricorrente, che è inedificabile e non ammette nuove costruzioni ma solo interventi di ricostruzione, in via derogatoria, di edifici preesistenti e pertanto presuppone la dimostrazione della originaria consistenza dell’edificio che si tratta di ricostruire, seppure in termini di attendibilità, ma con riferimento alla peculiarità dell’edificio diruto e non per mero richiamo a tipologie ritenute simili. In mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare, l’intervento di ricostruzione è qualificabile come nuova costruzione.

La normativa statale all’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001 qualifica come interventi di ristrutturazione edilizia quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

L’accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell’edificio diruto, da intendersi quali mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, e ciò in base allo ius receptum della giurisprudenza amministrativa, per cui sia il restauro ed il risanamento, sia la ristrutturazione presuppongono, in ciò consistendo il discrimen rispetto alle attività di nuova edificazione, che sia dimostrata non solo la preesistenza di un manufatto, ma anche la relativa consistenza, ossia il complessivo ingombro plani-volumetrico calcolato sulla base di altezza, sagoma, prospetto, estensione.

In ogni caso la prova diversa da quella fotografica – che rimane la più idonea – non può comportare una riduzione della soglia di attendibilità sull’originaria consistenza dell’immobile da ricostruire; e quindi la prova deve essere in ogni caso rigorosa e condurre ad un risultato plausibile.

L’affidamento diretto

Tar Campania, Salerno, sez. I, 27 maggio 2025, n. 958

Contratti pubblici – Affidamento diretto – Discrezionalità – Onere motivazionale rafforzato

L’art. 50, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 36/2023 consente l’affidamento diretto dei servizi e forniture, di importo inferiore a 140.000 euro, “anche senza” consultazione di più operatori economici; la mera procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi e l’indicazione dei criteri per la selezione degli operatori non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che non siano stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall’Amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze.

Nelle procedure di affidamento diretto il d. lgs. n. 36/2023, pur prevedendo che la scelta dell’operatore “anche nel caso di previo interpello di più operatori economici” è “operata discrezionalmente dalla stazione appaltante” (art. 3, allegato I.1), lascia fermo l’obbligo di motivarne le ragioni (art. 17, comma 2: “in caso di affidamento diretto, l’atto di cui al comma 1 individua l’oggetto, l’importo e il contraente, unitamente alle ragioni della sua scelta, ai requisiti di carattere generale e, se necessari, a quelli inerenti alla capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale”), di modo che tale scelta – pur eminentemente discrezionale – non sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, ove sia manifestamente inficiata da illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità o travisamento dei fatti.

Contratti pubblici e illecito professionale

Consiglio di Stato, sez. V, 28 maggio 2025, n. 4635

Contratti pubblici – Requisiti soggettivi di partecipazione – Bando di gara – Criteri interpretativi – Chiarimenti – Portata – Trasparenza e favor partecipationis – Grave illecito professionale – Discrezionalità – Ipotesi tipiche – Self cleaning – Illeciti di natura penale – Rilevanza – Apprezzamento della ricorrenza – Elemento fiduciario – Principi generali del risultato e della fiducia

Le norme di legge e di bando che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle cause di esclusione, consacrato dall’art. dall’art. 83 comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016, che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione, oltre che dal Trattato dell’Unione Europea.

La nozione di grave illecito professionale, ferma la necessaria valutazione discrezionale della stazione appaltante, ricomprende ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica di natura civile, penale o amministrativa e non prevede un numero chiuso di illeciti professionali; ciò avuto riguardo alla formula aperta dell’art. 80 comma 5 lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 (“la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”) al contrario della previsione di cui all’art. 98 comma 3 del d.lgs. n. 36 del 2023 che ha provveduto a tipizzare anche l’illecito professionale.

È indubbio, pertanto, che la stessa includa senz’altro i fatti di rilevanza penale, in quanto tipicamente suscettibili di incidere (laddove connotati da un adeguato grado di gravità) sulla “integrità” e sulla “affidabilità” dell’operatore economico, ascrivibili a soggetti aventi comunque un ruolo decisionale nella società, in quanto soci di maggioranza, chiamati anche alla nomina e alla revoca degli amministratori.

Se ne trae, comunque, positiva ed espressa conferma dall’art. 80, comma 7 del Codice, che – nel legittimare il concorrente alla allegazione e dimostrazione di comportamenti orientati al ravvedimento operoso, intesi al risarcimento (de praeterito) dei danni eventualmente cagionati ed alla programmatica prevenzione (de futuro) di analoghe occasioni di illecito, c.d. self cleaning – richiama non solo le “situazioni di cui al comma 1” (riferite a specifiche tipologie delittuose, definitivamente accertate a carico dei soggetti “apicali” individuati al comma 3), ma anche, per l’appunto, quelle di cui al “comma 5”, che includono, genericamente, ipotesi di commissione di “reati”.

Il d.lgs. n. 50/2016, adeguandosi sul punto alle indicazioni della direttiva 2014/24/UE, conferisce rilievo agli illeciti di natura penale secondo due diverse modalità:

a) quando si tratti (profilo oggettivo) di reati rientranti nel catalogo (da riguardarsi quale tassativo) di cui all’art. 80, comma 1, lettere da a) a g), in quanto commessi (profilo soggettivo) dai soggetti individuati (in guisa parimenti tassativa) dall’art. 80, comma 3 (complessivamente rientranti nel novero dei cc.dd. apicali), l’esclusione è disposta – ferma la possibilità del self cleaning, ove la pena detentiva non superi i 18 mesi o sia stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione (cfr. art. 80, comma 7) – in via automatica (cfr. art. 80, comma 1, secondo cui la circostanza “costituisce motivo di esclusione”, senza altra valutazione), ma è subordinata alla definitività dell’accertamento (richiedendosi alternativamente la “condanna con sentenza definitiva”, il “decreto penale di condanna divenuto irrevocabile” ovvero la “sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale”): in tal caso l’interdizione all’accesso alle procedure evidenziali opera, con criterio di gradualità, per il tempo definito all’art. 80, comma 10 e comma 10 bis, primo periodo;

b) in ogni altro caso (che, per quanto chiarito supra, rientra nella fattispecie generale dell’art. 80, comma 5, lettera c) l’esclusione non è recta via ancorata alla pronunzia del giudice penale, ma è il frutto di una autonoma valutazione (ampiamente discrezionale) della stazione appaltante, che “dimostri con mezzi adeguati” (e ciò anche “nel tempo occorrente alla definizione del giudizio”: cfr. art. 80, comma 10 bis, terzo periodo) l’incidenza del fatto (in quanto ritenuto “grave”) sui requisiti di moralità dell’operatore economico che se ne sia reso colpevole, sì da rendere “dubbia la sua integrità o affidabilità).

Appare, perciò, chiaro che il giudicato penale rappresenta elemento (tipizzante) della fattispecie escludente di cui all’art. 80, comma 1, ma non è elemento costitutivo dell’illecito professionale di cui all’art. 80, comma 5, lettera c), sicché tra le due fattispecie non sussiste alcuna sovrapposizione. Nel secondo caso, è piuttosto la (pendenza) di un processo (o di un procedimento) penale ad integrare, nella valorizzata chiave indiziaria, un (rilevante) elemento di valutazione rimesso alla stazione appaltante.

In definitiva, l’illecito professionale (ancorché, per ipotesi, emerso nell’ambito di un processo penale) costituisce fattispecie del tutto distinta, la quale non presuppone la configurabilità di un reato, né l’accertamento definitivo di una condotta (essendo, di nuovo, sufficiente la dimostrazione “con mezzi adeguati” in sede evidenziale), né un grado di certezza nella valutazione (essendo necessario, ma anche sufficiente che la stazione appaltante “dubiti” dell’affidabilità dell’impresa).

L’apprezzamento della ricorrenza del grave illecito professionale è connotato da un importante contenuto fiduciario, da intendersi nel senso che assume particolare rilevanza la condotta dell’operatore rispetto allo specifico contratto stipulando e alla posizione della singola stazione appaltante: l’amministrazione, nell’esercizio dell’ampio potere tecnico – discrezionale attribuitole dal Codice degli appalti pubblici, può utilizzare ogni tipo di elemento idoneo e mezzi adeguati a desumere l’affidabilità e l’integrità del concorrente, potendo evincere il compimento di gravi illeciti professionali da ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale dell’operatore economico di cui sia stata accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (…), secondo un giudizio espresso non in chiave sanzionatoria, ma piuttosto fiduciaria, potendo ben accadere che due stazioni appaltanti, chiamate a valutare le medesime pregresse vicende professionali di uno stesso operatore economico, diano giudizi opposti, l’una dicendo affidabile quel che l’altra ritenga non affidabile, senza che si possa sol per questo dire l’uno o l’altro provvedimento viziato da eccesso di potere.

In definitiva, l’inaffidabilità escludente va rapportata al singolo, concreto, appalto di riferimento, e soprattutto deve essere condotta secondo un giudizio espresso in chiave “fiduciaria”.

All’interno di questa attività valutativa viene, quindi, in rilievo il principio della “fiducia” recentemente codificato dal d.lgs. n. 36 del 2023, ma immanente nel sistema, il quale è strettamente connesso al concetto di affidabilità dell’operatore economico.

La pubblica amministrazione deve potersi fidare del futuro contraente, tanto che l’art. 2 del d.lgs. n. 36 del 2023 oggi accorda piena autonomia decisionale ai funzionari pubblici, con il solo obbligo di svolgimento di una adeguata istruttoria e di redazione di una adeguata motivazione.

La stazione appaltante è responsabile dello svolgimento della gara ed è tenuta ad assicurare il soddisfacimento degli interessi pubblici, sulla base di un potere discrezionale orientato a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti, in attuazione dei principi generali del risultato e della fiducia, principi ispiratori dell’attività amministrativa avvinti inestricabilmente. In altri termini, l’ottimo risultato si persegue a mezzo della realizzazione del principio della fiducia, che consente un ampliamento dei poteri valutativi della stazione appaltante; in applicazione di tali principi, si ritiene che l’interpretazione della lex specialis deve avvenire secondo criteri sostanziali conformi ai principi enunciati, finalizzati al raggiungimento del massimo risultato e senza tradursi nella legittimazione di scelte discrezionali che tradiscono l’interesse pubblico sotteso alla procedura.

Nelle gare pubbliche, nell’interpretazione della lex specialis di gara, devono trovare applicazione le norme in materia di contratti, e dunque anzitutto i criteri letterale e sistematico previsti dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ.

Ciò significa che, ai fini di tale interpretazione, devono essere applicate anche le regole di cui all’art. 1363 cod. civ., con la conseguenza che le clausole previste si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo ad esse il senso che risulta dal complesso dell’atto. Pertanto, se un’aporia tra i vari documenti costituenti la lex specialis impedisce l’interpretazione in termini strettamente letterali, è proprio la tutela dei principi dell’affidamento e della parità di trattamento tra i concorrenti che conduce all’interpretazione complessiva o sistematica delle varie clausole.

Le preminenti esigenze di certezza, connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti, impongono pertanto in primo luogo di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara: ne va perciò preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un´obiettiva incertezza del loro significato letterale.

Secondo la stessa logica, sono comunque preferibili, a garanzia dell´affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle varie previsioni, affinché la via del procedimento ermeneutico non conduca a un effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara, aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale.

Deve pertanto reputarsi preferibile, a tutela dell’affidamento dei destinatari e dei canoni di trasparenza e di “par condicio”, l’interpretazione letterale delle previsioni contenute nella legge di gara, evitando che in sede interpretativa si possano integrare le regole di gara, palesando significati del bando non chiaramente desumibili dalla sua lettura testuale.

I chiarimenti debbono rispettare il limite del carattere necessariamente non integrativo né modificativo della disposizione di gara oggetto di interpretazione (limite che deriva dai principi di trasparenza, pubblicità e “par condicio” nelle gare di appalto di matrice comunitaria della regolarità delle procedure di affidamento), che impone che il chiarimento non possa forzare e andare oltre il possibile ambito semantico della clausola secondo uno dei suoi possibili significati”.

Nel caso in cui invece al chiarimento sia riconosciuta una portata novativa si deve dare prevalenza alle clausole della lex specialis ed al significato desumibile dal tenore delle stesse, per quello che oggettivamente prescrivono. E ciò indipendentemente dall’impugnazione degli stessi, atteso che i chiarimenti resi nel corso di una gara d’appalto non hanno alcun contenuto provvedimentale, non potendo costituire, per giurisprudenza consolidata, integrazione o rettifica della lex specialis.

Inoltre occorre considerare che la trasparenza delle regole di gara è strumentale a tutelare l’interesse alla partecipazione dei singoli operatori economici, in modo da consentire agli stessi di presentare un’offerta ammissibile e competitiva (CGUE, sez. IX, 2 giugno 2016, C- 27/15), sicché la trasparenza delle regole di gara, e in particolare delle regole la cui violazione determina l’espulsione dalla gara, è una condizione di competitività della stessa: regole incerte non solo disincentivano la partecipazione ma la impediscono in quanto non mettono le imprese nelle condizioni di presentare un’offerta ammissibile. Se non viene espressa in modo chiaro (sulla base della lex specialis e della legge) una regola che impedisce la partecipazione, le esigenze di trasparenza impongono comunque di consentire ai concorrenti di sanare la propria posizione (CGUE, sez. IX, 2 maggio 2019 n. 309) e di scegliere, fra le varie interpretazioni possibili del bando di gara, quella che più privilegia la partecipazione, così saldando le regole di trasparenza con il principio del favor partecipationis, che impone, quando trattasi di clausole che possono condurre all’esclusione dell’offerta, di preferire, a fronte di più possibili interpretazioni di una clausola contenute in un bando o in un disciplinare di gara, la scelta ermeneutica che consenta la più ampia partecipazione dei concorrenti.

Beni culturali e prescrizioni di tutela indiretta

Consiglio di Stato, sez. VI, 28 aprile 2025, n. 3575

Tutela dei beni culturali – Prescrizioni di tutela indiretta – Ratio – Discrezionalità – Proporzionalità – Onere motivazionale rafforzato

Le “prescrizioni di tutela indiretta”, previste dall’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004, hanno la funzione di completamento pertinenziale della visione e della fruizione dell’immobile principale (gravato da vincolo “diretto”). I beni oggetto di tutela indiretta vengono quindi asserviti ai beni culturali al fine di garantire a questi ultimi una “fascia di rispetto”, funzionale alla massima espressione del loro valore culturale. Il legislatore, pur individuando  le finalità che il vincolo indiretto deve perseguire, ha lasciato non completamente tipizzate le varie prescrizioni  che l’amministrazione può di volta in volta apporre al fine del perseguimento di detti obiettivi.

Nell’esercizio di un potere, connotato da discrezionalità mista, di dettare prescrizioni di utilizzo dei beni sottoposti a vincolo indiretto, il Ministero deve contemperare, da un lato, le esigenze di cura e integrità e, dall’altro, la fruizione e la valorizzazione dinamica del bene culturale. Inoltre, non può escludersi che l’amministrazione tenga legittimamente in considerazione anche interessi ulteriori rispetto a quello culturale.

Lo scrutinio del provvedimento di vincolo indiretto deve condursi anche alla luce del principio di proporzionalità, non solo con riguardo alle componenti della idoneità  e della necessarietà  ma anche con riguardo al profilo della “proporzionalità in senso stretto”, che implica che una misura adottata dai pubblici poteri non debba mai essere tale da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto, così da risultargli un peso intollerabile.

È affetta da deficit istruttorio e motivazionale la prescrizione contenuta nel decreto ministeriale impositivo di vincolo indiretto a tutela di un bene monumentale ospedaliero – che consentirebbe la realizzazione di nuovi edifici totalmente avulsi dal contesto stilistico e tipologico dell’area se destinati a funzione sanitaria – che non trovi supporto negli atti istruttori e in particolare  nella relazione della Soprintendenza  e che si ponga in contrasto con l’esigenza di preservare la cornice ambientale del bene principale. La valutazione di parziale recessività dell’interesse culturale rispetto all’esigenza di realizzare, in prossimità dell’edifico storico, nuove strutture edilizie a vocazione sanitaria deve essere supportata da un’adeguata e rigorosa motivazione, condotta al lume del principio di proporzionalità.

Overtourism e misure di contrasto

Consiglio di Stato, sez. IV, 15 aprile 2025, n. 3258

Beni culturali – Interventi di riqualificazione e valorizzazione – Discrezionalità amministrativa – Fenomeno dell’“overtourism” – Principio di ragionevolezza – Interessi coinvolti

Nell’ipotesi in cui si debbano realizzare opere relative alla riqualificazione e valorizzazione dei beni culturali, anche ai fini della loro fruizione collettiva, il principio di ragionevolezza – che del resto, sovraintende l’esercizio della discrezionalità amministrativa – richiede che nella individuazione delle soluzioni progettuali si tenga conto dell’impatto dell’accesso dei turisti sulle esigenze di riservatezza e di quiete delle proprietà confinanti, onde  bilanciare tutti gli interessi, tenendo conto dell’attuale contesto economico e socio-culturale, globale e locale, sempre più colpito da fenomeni di iperturismo (cd. overtourism), e dei disagi che il massiccio afflusso turistico arreca ai residenti.

Di fronte al fenomeno, ormai endemico e fisiologico, dell'”overtourism” emerge la necessità per l’amministrazione di un bilanciamento degli interessi di tipo nuovo, venendo in maggiore rilievo, rispetto al passato, i seguenti profili: i) la conservazione del bene-risorsa turistica; ii) la tutela dei cittadini e delle imprese residenti nelle aree oggetto di attrazione turistica; iii) il macro-impatto sul territorio (ad esempio, l’emergenza abitativa conseguente alla prevalente destinazione degli immobili ad affitti a breve termine per i turisti, con sacrificio della precedente offerta abitativa verso cittadini e studenti).

Lo Sportello Unico per le Attività Produttive

Consiglio di Stato, sez. II, 7 aprile 2024, n. 2974

Procedimento amministrativo – Istituti di semplificazione – SUAP – Competenze – Istanza estranea al perimetro di competenza – Insussistenza dell’obbligo di concludere il procedimento

Lo sportello unico per le attività produttive (s.u.a.p.) costituisce l’unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva ed è chiamato a fornire, altresì, una risposta in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle di cui all’art.14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Le strutture denominate “sportelli unici per le attività produttive” hanno una sorta di competenza trasversale che, pur non sostituendosi a quelle delle varie amministrazioni coinvolte nel procedimento, ha un rilievo autonomo, fungendo da unico canale informativo sia verso le amministrazioni che verso i soggetti istanti ed emette il provvedimento finale sulla base dei pareri delle amministrazioni competenti sui vari aspetti, senza che ciò alteri il sistema delle competenze.

È inconfigurabile un’istanza rivolta allo sportello unico per le attività produttive al di fuori del perimetro procedimentale di sua competenza, e, pertanto, è inidonea a far sorgere, a carico dell’amministrazione, l’obbligo di conclusione mediante provvedimento espresso.

A fronte di un’istanza rivolta allo sportello unico al di fuori dai casi di sua “competenza” non sussiste alcun obbligo di concludere il procedimento e di rispettare le regole di partecipazione  di cui agli artt. 7 e 10-bis della legge 8 agosto 1990, n. 241, essendo irrilevante che  l’amministrazione cui è riferibile l’istanza si raccordi direttamente con l’interessato.

L’invalidità provvedimentale di tipo “caducante”

Consiglio di Stato, sez. III, 7 maggio 2025, n. 3872

Procedimento amministrativo – Invalidità provvedimentale caducante – Pesupposti

Ricorre l’invalidità caducante allorché due provvedimenti appartengano alla medesima sequenza procedimentale (intesa anche come collegamento procedimentale) e siano avvinti da un nesso di presupposizione-consequenzialità, in virtù del quale il primo provvedimento costituisce il presupposto unico e imprescindibile del secondo, senza che quest’ultimo sia soggetto ad alcuna altra valutazione da parte dell’amministrazione competente. È irrilevante che i due atti siano stati adottati da autorità diverse; né costituisce elemento impeditivo l’anomala inversione cronologica tra atto presupposto e atto consequenziale.

Istanze non conformi e silenzio-assenso

Consiglio di Stato, sez. VII, 9 aprile 2025, n. 3051

Procedimento amministrativo – Silenzio assenso – Nozione – Ratio – Ipotesi applicative

Il silenzio assenso si forma e produce effetti anche in caso di istanza non conforme alla disciplina sostanziale e l’impostazione di “convertire” i requisiti di validità della fattispecie silenziosa in altrettanti elementi costitutivi necessari al suo perfezionamento vanificherebbe in radice le finalità di semplificazione dell’istituto, in quanto nessun vantaggio, infatti, avrebbe l’operatore se l’amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda.

L’obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore con l’istituto del silenzio assenso – rendere più spediti i rapporti tra amministrazione e cittadini, senza sottrarre l’attività al controllo dell’amministrazione – viene realizzato stabilendo che il potere (primario) di provvedere viene meno con il decorso del termine procedimentale, residuando successivamente la sola possibilità di intervenire in autotutela sull’assetto di interessi formatosi ‘silenziosamente’.

Localizzazione di impianti di telefonia mobile e silenzio-assenso

Tar Campania, Salerno, sez.I, 29 aprile 2025, n. 799

Pianificazione urbanistica – Localizzazione – Impianti di telefonia mobile – Silenzio assenso

Allorché si reputi indispensabile, al fine di garantire la copertura del territorio, posizionare gli impianti di telefonia mobile in aree diverse da quelle individuate dal Comune, grava sull’operatore dimostrare – nell’ambito del dialogo procedimentale con la p.a. – la necessità di una diversa allocazione onde assicurare la corretta distribuzione del servizio di comunicazione.

La previsione del silenzio assenso non solo costituisce una forma di semplificazione procedimentale volta ad accelerare la realizzazione e l’espansione della rete di comunicazione elettronica ma può essere giustificata anche in ragione del necessario vaglio tecnico delle diverse soluzioni in termini di punto di impianto della infrastruttura che la società installante deve preventivamente compiere, offrendo all’amministrazione, con la presentazione dell’istanza, una soluzione ottimale, già frutto di una valutazione, non solo tecnica, finalizzata a minimizzare l’impatto della nuova stazione radio base sul territorio e a renderla compatibile con i diversi interessi insistenti sullo stesso, a cui può perciò seguire un iter decisorio semplificato.

Impianto privato di trattamento rifiuti e contributo di costruzione

Intervento di nuova costruzione – RSU – Impianto di trattamento rifiuti privato – Contributo di costruzione – Esonero – Presupposti

L’esenzione dal contributo di costruzione previsto dalla prima parte della lett. c) del comma 3 dell’art. 17 d.P.R. 380 del 2001 deve fondarsi sull’esistenza di un vincolo indissolubile tra l’opera da realizzare e l’erogazione diretta del servizio – da desumere delle sue oggettive caratteristiche – non essendo sufficiente un rapporto strumentalità o la mera possibilità che le opere, in futuro, per effetto della concessione o di accordi convenzionali, possano divenire di proprietà pubblica.

Ad un impianto di trattamento rifiuti privato, realizzato da un soggetto anch’esso privato, che persegue finalità lucrative, non può applicarsi l’esenzione del contributo di costruzione previsto dalla prima parte della lett. c) del comma 3 dell’art. 17 d.P.R. 380 del 2001.