Consiglio di Stato, sez. V, 28 maggio 2025, n. 4635
Contratti pubblici – Requisiti soggettivi di partecipazione – Bando di gara – Criteri interpretativi – Chiarimenti – Portata – Trasparenza e favor partecipationis – Grave illecito professionale – Discrezionalità – Ipotesi tipiche – Self cleaning – Illeciti di natura penale – Rilevanza – Apprezzamento della ricorrenza – Elemento fiduciario – Principi generali del risultato e della fiducia
Le norme di legge e di bando che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle cause di esclusione, consacrato dall’art. dall’art. 83 comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016, che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione, oltre che dal Trattato dell’Unione Europea.
La nozione di grave illecito professionale, ferma la necessaria valutazione discrezionale della stazione appaltante, ricomprende ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica di natura civile, penale o amministrativa e non prevede un numero chiuso di illeciti professionali; ciò avuto riguardo alla formula aperta dell’art. 80 comma 5 lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 (“la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”) al contrario della previsione di cui all’art. 98 comma 3 del d.lgs. n. 36 del 2023 che ha provveduto a tipizzare anche l’illecito professionale.
È indubbio, pertanto, che la stessa includa senz’altro i fatti di rilevanza penale, in quanto tipicamente suscettibili di incidere (laddove connotati da un adeguato grado di gravità) sulla “integrità” e sulla “affidabilità” dell’operatore economico, ascrivibili a soggetti aventi comunque un ruolo decisionale nella società, in quanto soci di maggioranza, chiamati anche alla nomina e alla revoca degli amministratori.
Se ne trae, comunque, positiva ed espressa conferma dall’art. 80, comma 7 del Codice, che – nel legittimare il concorrente alla allegazione e dimostrazione di comportamenti orientati al ravvedimento operoso, intesi al risarcimento (de praeterito) dei danni eventualmente cagionati ed alla programmatica prevenzione (de futuro) di analoghe occasioni di illecito, c.d. self cleaning – richiama non solo le “situazioni di cui al comma 1” (riferite a specifiche tipologie delittuose, definitivamente accertate a carico dei soggetti “apicali” individuati al comma 3), ma anche, per l’appunto, quelle di cui al “comma 5”, che includono, genericamente, ipotesi di commissione di “reati”.
Il d.lgs. n. 50/2016, adeguandosi sul punto alle indicazioni della direttiva 2014/24/UE, conferisce rilievo agli illeciti di natura penale secondo due diverse modalità:
a) quando si tratti (profilo oggettivo) di reati rientranti nel catalogo (da riguardarsi quale tassativo) di cui all’art. 80, comma 1, lettere da a) a g), in quanto commessi (profilo soggettivo) dai soggetti individuati (in guisa parimenti tassativa) dall’art. 80, comma 3 (complessivamente rientranti nel novero dei cc.dd. apicali), l’esclusione è disposta – ferma la possibilità del self cleaning, ove la pena detentiva non superi i 18 mesi o sia stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione (cfr. art. 80, comma 7) – in via automatica (cfr. art. 80, comma 1, secondo cui la circostanza “costituisce motivo di esclusione”, senza altra valutazione), ma è subordinata alla definitività dell’accertamento (richiedendosi alternativamente la “condanna con sentenza definitiva”, il “decreto penale di condanna divenuto irrevocabile” ovvero la “sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale”): in tal caso l’interdizione all’accesso alle procedure evidenziali opera, con criterio di gradualità, per il tempo definito all’art. 80, comma 10 e comma 10 bis, primo periodo;
b) in ogni altro caso (che, per quanto chiarito supra, rientra nella fattispecie generale dell’art. 80, comma 5, lettera c) l’esclusione non è recta via ancorata alla pronunzia del giudice penale, ma è il frutto di una autonoma valutazione (ampiamente discrezionale) della stazione appaltante, che “dimostri con mezzi adeguati” (e ciò anche “nel tempo occorrente alla definizione del giudizio”: cfr. art. 80, comma 10 bis, terzo periodo) l’incidenza del fatto (in quanto ritenuto “grave”) sui requisiti di moralità dell’operatore economico che se ne sia reso colpevole, sì da rendere “dubbia la sua integrità o affidabilità).
Appare, perciò, chiaro che il giudicato penale rappresenta elemento (tipizzante) della fattispecie escludente di cui all’art. 80, comma 1, ma non è elemento costitutivo dell’illecito professionale di cui all’art. 80, comma 5, lettera c), sicché tra le due fattispecie non sussiste alcuna sovrapposizione. Nel secondo caso, è piuttosto la (pendenza) di un processo (o di un procedimento) penale ad integrare, nella valorizzata chiave indiziaria, un (rilevante) elemento di valutazione rimesso alla stazione appaltante.
In definitiva, l’illecito professionale (ancorché, per ipotesi, emerso nell’ambito di un processo penale) costituisce fattispecie del tutto distinta, la quale non presuppone la configurabilità di un reato, né l’accertamento definitivo di una condotta (essendo, di nuovo, sufficiente la dimostrazione “con mezzi adeguati” in sede evidenziale), né un grado di certezza nella valutazione (essendo necessario, ma anche sufficiente che la stazione appaltante “dubiti” dell’affidabilità dell’impresa).
L’apprezzamento della ricorrenza del grave illecito professionale è connotato da un importante contenuto fiduciario, da intendersi nel senso che assume particolare rilevanza la condotta dell’operatore rispetto allo specifico contratto stipulando e alla posizione della singola stazione appaltante: l’amministrazione, nell’esercizio dell’ampio potere tecnico – discrezionale attribuitole dal Codice degli appalti pubblici, può utilizzare ogni tipo di elemento idoneo e mezzi adeguati a desumere l’affidabilità e l’integrità del concorrente, potendo evincere il compimento di gravi illeciti professionali da ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale dell’operatore economico di cui sia stata accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (…), secondo un giudizio espresso non in chiave sanzionatoria, ma piuttosto fiduciaria, potendo ben accadere che due stazioni appaltanti, chiamate a valutare le medesime pregresse vicende professionali di uno stesso operatore economico, diano giudizi opposti, l’una dicendo affidabile quel che l’altra ritenga non affidabile, senza che si possa sol per questo dire l’uno o l’altro provvedimento viziato da eccesso di potere.
In definitiva, l’inaffidabilità escludente va rapportata al singolo, concreto, appalto di riferimento, e soprattutto deve essere condotta secondo un giudizio espresso in chiave “fiduciaria”.
All’interno di questa attività valutativa viene, quindi, in rilievo il principio della “fiducia” recentemente codificato dal d.lgs. n. 36 del 2023, ma immanente nel sistema, il quale è strettamente connesso al concetto di affidabilità dell’operatore economico.
La pubblica amministrazione deve potersi fidare del futuro contraente, tanto che l’art. 2 del d.lgs. n. 36 del 2023 oggi accorda piena autonomia decisionale ai funzionari pubblici, con il solo obbligo di svolgimento di una adeguata istruttoria e di redazione di una adeguata motivazione.
La stazione appaltante è responsabile dello svolgimento della gara ed è tenuta ad assicurare il soddisfacimento degli interessi pubblici, sulla base di un potere discrezionale orientato a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti, in attuazione dei principi generali del risultato e della fiducia, principi ispiratori dell’attività amministrativa avvinti inestricabilmente. In altri termini, l’ottimo risultato si persegue a mezzo della realizzazione del principio della fiducia, che consente un ampliamento dei poteri valutativi della stazione appaltante; in applicazione di tali principi, si ritiene che l’interpretazione della lex specialis deve avvenire secondo criteri sostanziali conformi ai principi enunciati, finalizzati al raggiungimento del massimo risultato e senza tradursi nella legittimazione di scelte discrezionali che tradiscono l’interesse pubblico sotteso alla procedura.
Nelle gare pubbliche, nell’interpretazione della lex specialis di gara, devono trovare applicazione le norme in materia di contratti, e dunque anzitutto i criteri letterale e sistematico previsti dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ.
Ciò significa che, ai fini di tale interpretazione, devono essere applicate anche le regole di cui all’art. 1363 cod. civ., con la conseguenza che le clausole previste si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo ad esse il senso che risulta dal complesso dell’atto. Pertanto, se un’aporia tra i vari documenti costituenti la lex specialis impedisce l’interpretazione in termini strettamente letterali, è proprio la tutela dei principi dell’affidamento e della parità di trattamento tra i concorrenti che conduce all’interpretazione complessiva o sistematica delle varie clausole.
Le preminenti esigenze di certezza, connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti, impongono pertanto in primo luogo di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara: ne va perciò preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un´obiettiva incertezza del loro significato letterale.
Secondo la stessa logica, sono comunque preferibili, a garanzia dell´affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle varie previsioni, affinché la via del procedimento ermeneutico non conduca a un effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara, aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale.
Deve pertanto reputarsi preferibile, a tutela dell’affidamento dei destinatari e dei canoni di trasparenza e di “par condicio”, l’interpretazione letterale delle previsioni contenute nella legge di gara, evitando che in sede interpretativa si possano integrare le regole di gara, palesando significati del bando non chiaramente desumibili dalla sua lettura testuale.
I chiarimenti debbono rispettare il limite del carattere necessariamente non integrativo né modificativo della disposizione di gara oggetto di interpretazione (limite che deriva dai principi di trasparenza, pubblicità e “par condicio” nelle gare di appalto di matrice comunitaria della regolarità delle procedure di affidamento), che impone che il chiarimento non possa forzare e andare oltre il possibile ambito semantico della clausola secondo uno dei suoi possibili significati”.
Nel caso in cui invece al chiarimento sia riconosciuta una portata novativa si deve dare prevalenza alle clausole della lex specialis ed al significato desumibile dal tenore delle stesse, per quello che oggettivamente prescrivono. E ciò indipendentemente dall’impugnazione degli stessi, atteso che i chiarimenti resi nel corso di una gara d’appalto non hanno alcun contenuto provvedimentale, non potendo costituire, per giurisprudenza consolidata, integrazione o rettifica della lex specialis.
Inoltre occorre considerare che la trasparenza delle regole di gara è strumentale a tutelare l’interesse alla partecipazione dei singoli operatori economici, in modo da consentire agli stessi di presentare un’offerta ammissibile e competitiva (CGUE, sez. IX, 2 giugno 2016, C- 27/15), sicché la trasparenza delle regole di gara, e in particolare delle regole la cui violazione determina l’espulsione dalla gara, è una condizione di competitività della stessa: regole incerte non solo disincentivano la partecipazione ma la impediscono in quanto non mettono le imprese nelle condizioni di presentare un’offerta ammissibile. Se non viene espressa in modo chiaro (sulla base della lex specialis e della legge) una regola che impedisce la partecipazione, le esigenze di trasparenza impongono comunque di consentire ai concorrenti di sanare la propria posizione (CGUE, sez. IX, 2 maggio 2019 n. 309) e di scegliere, fra le varie interpretazioni possibili del bando di gara, quella che più privilegia la partecipazione, così saldando le regole di trasparenza con il principio del favor partecipationis, che impone, quando trattasi di clausole che possono condurre all’esclusione dell’offerta, di preferire, a fronte di più possibili interpretazioni di una clausola contenute in un bando o in un disciplinare di gara, la scelta ermeneutica che consenta la più ampia partecipazione dei concorrenti.