Rivista di Diritto ed Economia dei Comuni

La Rivista di Diritto ed Economia dei Comuni è una pubblicazione scientifica – con cadenza quadrimestrale – nata con l’ambizione di contribuire a una nuova stagione di studi sulle autonomie locali, attraverso un rigoroso confronto tra scienziati, magistrati, operatori.
Questo sito rappresenta una virtual open data room in cui selezionare e reperire, oltre che i fascicoli della Rivista, materiali di interesse, in una logica circolare di dialogo e confronto, interni ed esterni. Un luogo in cui intrecciare e rafforzare il dibattito – che vorremmo sempre più intenso – sul futuro del patrimonio istituzionale più prezioso del Paese: i suoi Comuni.
Per logica conseguenza, vorremmo che questo sito fosse non di chi lo fa, ma di quanti lo usano e, forse, ne traggono un’utilità.

Fondo di solidarietà comunale – Legge di Bilancio – autonomia finanziaria comunale –  vincoli di destinazione – strumenti di perequazione – inammissibilità
Corte Costituzionale, sent. 23.02.2023 n. 71/2023

Controllo collaborativo –Richiesta attività consultiva da parte di Unione di comuni – Finanziamento e sviluppo dei servizi sociali comunali – Assunzioni assistenti sociali – Fondo di solidarietà – Vincoli di bilancio 
Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, 7 marzo 2023, n. 38

Demanio marittimo – Concessioni – Articolo 12, paragrafi 1 e 2, Direttiva 2006/123/CE – Effetto diretto – Obbligo di procedura di selezione imparziale e trasparente – Divieto di rinnovo automatico autorizzazione – Carattere incondizionato e sufficientemente preciso – Normativa nazionale – Disapplicazione
Corte di Giustizia Europea, 20 aprile 2023, sent. C-348/22

Contratti pubblici – Appalti – Cottimo fiduciario – Natura giuridica – Principi applicabili – Bilanciamento – Principio di proporzionalità – Libertà di forme – Effetto utile
Consiglio di Stato, sez. IV, 20 aprile 2023, n. 4014

Agricoltura e zootecnia – Indicazione geografica e denominazione di origine – Norme della Regione Siciliana – istituzione della denominazione comunale [De.Co.]- non fondatezza – inammissibilità
Corte Costituzionale, sent. 23.02.2023 n. 75/2023

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Onere motivazionale attenuato – Irrilevanza decorso temporale dall’abuso
Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 14 aprile 2023, n. 203

Comuni, Province e Città metropolitane – Norme della Regione autonoma Sardegna – Durata del mandato del Sindaco – Segretario comunale – Modalità di accesso all’albo dei segretari comunali-  illegittimità costituzionale
Corte Costituzionale, sent. 07.03.2023 n. 60/2023 

Controllo bilanci – Esame relazioni Organo di revisione dell’Ente – Elementi di risposta parziali e non adeguati – Accertamento condotta omissiva – Pregiudizio all’espletamento dell’attività di controllo 
Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia,
28 marzo 2023, n. 92

Demanio marittimo – Concessioni demaniali – Proroga legale – Azione di accertamento
Consiglio di Stato, sez. VI, 14 marzo 2023, n. 2644

ANCI
Nota
Le norme di semplificazione vigenti per l’attuazione degli interventi di edilizia scolastica anche a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 24 del DL 13/2023, convertito con modificazioni, nella Legge n. 41/2023

ANCI
Nota
Rafforzamento della capacità amministrava dei Comuni

ANAC
Atto del Presidente del 19 aprile 2023
Richiesta di parere in merito alla compatibilità dell’incarico di RPCT con quello di RUP

ANAC
Atto del Presidente del 19 aprile 2023
Comune di Alta Valle Intelvi – raccomandazione ai sensi dell’art. 11 co. 1, lett. b) del Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di prevenzione della corruzione.

MINISTERO DELL’INTERNO
Circolare DAIT n.66 del 5 maggio 2023
Accesso generalizzato agli indici decennali dei registri dello stato civile.

IFEL
Dossier del 3 aprile 2023
Le Strategie territoriali nella Politica di coesione 2021-2027 – Agenda territoriale nazionale e Ruolo dei Comuni italiani

Conferenza unificata
Seduta del 27 aprile 2023  
Incentivi  – adesione riorganizzazioni e aggregazioni servizi pubblici locali

AGCOM
Bollettino 16/2023 del 24.04.2023
Avvisi pubblici per l’affidamento esternalizzato dei servizi legali

ARERA
Delibera 18 aprile 2023
Determinazione a consuntivo del corrispettivo a copertura dei costi riconosciuti per il funzionamento del Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A., per l’anno 2022

Giurisprudenza e Prassi

Elezioni, contestazioni e principio di strumentalità delle forme

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, sez. unica, 18 luglio 2025, n. 116

Procedimento elettorale – Principi di strumentalità delle forme e di conservazione degli atti – Mere irregolarità – Incompletezze

Nel procedimento elettorale si applica il principio di strumentalità delle forme, secondo cui l’invalidità può essere dichiarata solo in presenza di irregolarità, sostanziali, che compromettano lo scopo dell’atto o pregiudichino le garanzie fondamentali, incidendo sulla libera espressione del voto. Il principio di strumentalità delle forme si integra con il principio di conservazione degli atti, che mira a tutelare la stabilità del risultato elettorale, data la rilevanza costituzionale degli interessi coinvolti. Pertanto, la giurisprudenza ha specificato ad esempio che l’omessa indicazione nei verbali di sezione dei voti di preferenza e della cifra individuale dei candidati costituisce una mera irregolarità, qualora tali dati possano essere ricostruiti attraverso la documentazione allegata, come le tabelle di scrutinio. Inoltre, le incompletezze nella compilazione dei verbali non costituiscono prova sufficiente che sia stata alterata la volontà espressa dal corpo elettorale. Nello stesso senso, le tabelle di scrutinio valgono a supplire alle incompletezze dei verbali di sezione, secondo i poteri riconosciuti all’Ufficio Centrale Elettorale; le tabelle di scrutinio prevalgono rispetto ai verbali di sezione, stante il valore meramente certificatorio che questi ultimi assumono e le irregolarità di verbalizzazione non sono di per sé rilevanti per inficiare il risultato elettorale se i dati sono desumibili da tali tabelle.

Le società a partecipazione mista pubblico-privata

Tar Lazio, Roma, sez. I quater, 3 luglio 2025, n. 13139

Servizi pubblici – Società interamente pubbliche e società partecipate – Bando di gara – Contenuti – Società mista – Modalità di affidamento – Elementi di legittimità – Forma

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 e 17 d.lgs. n. 175/2016, le Amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività indicate nell’art. 4, comma 2 – tra cui lo svolgimento di un servizio di interesse generale – a condizione che, con specifico riferimento alle società miste, la quota di partecipazione del soggetto privato non sia inferiore al 30% e la selezione del medesimo si svolga con procedure a evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 5, comma 9, d.lgs. n. 50/2016 ed abbia a oggetto, al contempo, la sottoscrizione o l’acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l’affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista.

In particolare, l’art. 17 d.lgs. n. 175/2016, dedicato alle società miste, ai commi 2 e 3, prevede che il Bando di gara debba specificare l’oggetto dell’affidamento, i necessari requisiti di qualificazione generali e speciali di carattere tecnico ed economico-finanziario dei concorrenti, nonché il criterio di aggiudicazione che garantisca una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva, e che la durata della partecipazione privata alla società mista non possa essere superiore alla durata dell’appalto o della concessione. Lo statuto deve, infatti, prevedere meccanismi idonei a determinare lo scioglimento del rapporto societario, in caso di risoluzione del contratto di servizio.

Al fine di individuare le modalità attraverso cui procedere all’affidamento di appalti pubblici in favore di una società mista, occorre distinguere l’ipotesi di “costituzione di una società mista per una specifica missione”, sulla base di una gara che abbia per oggetto sia la scelta del socio sia l’affidamento della specifica missione, da quella in cui si intendano “affidare ulteriori appalti ad una società mista già costituita”.

Con riferimento alla prima ipotesi, è rilevato dall’A.n.a.c. che, a seguito di una evoluzione giurisprudenziale, tanto unionale (cfr.: Corte giust. CE, sez. I, 11 gennaio 2005, n. C-26/03) quanto nazionale (cfr.: Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1; Idem sez. V, 23 ottobre 2007, n. 5587; Idem sez. II, 18 aprile 2007, n. 456/07), è possibile ritenere sufficiente un’unica gara, quella per la scelta del socio privato, con la conseguente legittimità dell’affidamento diretto degli appalti, operato in favore di detta società mista, a condizione che l’individuazione del servizio da svolgere sia delimitata in sede di gara, sia temporalmente che nell’oggetto (cfr.: Cons. Stato, Sez. V, 30 settembre 2010, n. 7214, Idem, Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555; Corte Giustizia U.E., sez. III, 15 ottobre 2009, C196/08, Acoset).

Di converso, nell’ipotesi in cui si debba procedere all’affidamento di appalti ulteriori e successivi rispetto all’originaria missione deve ritenersi sempre necessario il ricorso a procedure di evidenza pubblica per la relativa aggiudicazione.

L’A.n.a.c. osserva che la società mista opera nei limiti dell’affidamento iniziale e non può ottenere, senza gara, ulteriori missioni che non siano già previste nel Bando originario. Tale conclusione trova conferma nell’orientamento espresso dalla comunicazione della Commissione datata 05.02.2008, con riferimento alla materia degli appalti e delle concessioni in caso di partenariato pubblico–privato, nella quale sostanzialmente si afferma che è sufficiente una sola procedura di gara se la scelta del partner, oggetto di preventiva gara, sia limitata all’affidamento della missione originaria, il che si verifica quando la scelta di quest’ultimo è accompagnata dalla costituzione del partenariato pubblico-privato istituzionale (cioè attraverso la costituzione di società mista), nonché dall’affidamento della missione al socio operativo.

Ne discende che elementi indeclinabili per la legittimità di una società mista e degli affidamenti direttamente disposti a favore della medesima sono i seguenti: a) la gara unica a doppio oggetto (per la scelta del socio e l’affidamento del servizio); b) un socio privato con funzioni di socio operativo; c) la partecipazione a tempo determinato del privato alla compagine sociale; d) il divieto di società mista “generalista” ovvero “aperta” all’affidamento di ulteriori incarichi al socio privato.

La forma della società mista si giustifica, invero, quale partenariato pubblico-privato costituito per la gestione di uno specifico servizio per un tempo determinato. L’indeterminatezza di un Bando sulle condizioni fondamentali della costituenda società mista (ovvero, da un lato, il possesso di tutti i requisiti non solo per gestire servizi pubblici, ma anche per realizzare lavori e, dall’altro, della sua durata complessiva) potrebbe indurre potenziali concorrenti a non presentare domanda di partecipazione alla selezione, proprio per l’assenza di elementi imprescindibili per effettuare una corretta valutazione sulla convenienza od opportunità (cioè sul rapporto costi-benefici) dell’acquisizione della qualità di soci operativi.

Servizio idrico integrato e affidamento in house

Tar Sicilia, Catania, sez. II, 10 luglio 2025, n. 2242

Servizi pubblici – Affidamento diretto – Società interamente pubbliche – Servizio idrico integrato – Onere motivazionale rafforzato – Non necessarietà – Prova del fallimento del mercato – Controllo analogo – Circostanze qualificanti

La possibilità di affidamento diretto a società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti per la gestione in house come delineati dalla normativa europea e partecipate interamente dagli Enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale, si configura quale modalità ordinaria e legittima di internalizzazione del servizio.

Tale scelta si pone come valida alternativa rispetto al ricorso alla gara pubblica, costituendo una fattispecie di “in house providing” che consente l’esercizio diretto della erogazione del servizio mediante strutture proprie dell’ente.

Sull’onere della motivazione rafforzata (e, conseguentemente, sull’applicabilità o meno dell’art. 192 del decreto legislativo n. 50/2016), questo Collegio ritiene di dover aderire all’orientamento logico-giuridico delineato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali, con la pronuncia n. 18623 del 2024, hanno affermato che l’art. 192 del Decreto Legislativo n. 50/2016, in virtù del precedente art. 12, non si applica alle concessioni del servizio idrico integrato, con la conseguenza che, per l’affidamento del servizio idrico in house, non sussiste l’obbligo di una motivazione rafforzata.

L’articolo 12 del Decreto Legislativo n. 50 del 2016, nel sancire l’esclusione delle concessioni aventi ad oggetto il servizio idrico dal perimetro applicativo del Codice dei Contratti Pubblici, non può che estendere tale esclusione, per un principio di coerenza sistematica e interpretativa, anche agli affidamenti diretti conferiti a società in house. Difatti, risulterebbe ontologicamente incongruente e giuridicamente irragionevole circoscrivere la disciplina derogatoria alle sole concessioni, senza ricomprendere, altresì, quelle procedure (negoziate e prive di pubblicità) aventi ad oggetto l’affidamento a enti in house providing, considerato che la ratio normativa sottesa alla deroga mira a preservare la specificità e la peculiarità del servizio idrico, prescindendo dalla forma tecnica dell’affidamento.

In altri termini, ove si ammettesse la inapplicabilità del Codice esclusivamente alle concessioni, escludendo invece gli affidamenti diretti alle società in house, si configurerebbe una disparità normativa priva di fondamento logico e sistematico, in contrasto con i principi di ragionevolezza e di coerenza che devono informare l’interpretazione della norma.

La discrezionalità da parte dell’Ente di avvalersi di tale modello gestionale – scelta per sua natura dotata di spiccata valenza pubblicistica – esonera lo stesso dall’onere di motivazione rafforzata che normalmente accompagna le procedure di affidamento soggette a gara, in ragione della particolare ratio normativa che esclude, in tale ipotesi, la necessità di un confronto competitivo esterno; esonero motivazionale che riguarda anche la c.d. prova del fallimento del mercato.

La scelta del modello gestionale in house non impone un’argomentazione giustificativa oltre quella essenziale e coerente con l’esercizio del potere discrezionale, risultando sufficiente il richiamo agli interessi pubblici tutelati e alla conformità ai principi di efficienza, economicità e continuità del servizio.

In definitiva, il quadro normativo di riferimento sia europeo che interno esprime con chiarezza che la potestà deliberativa dell’ente di governo è caratterizzata da un ampio margine di discrezionalità, escludendo la necessità di una motivazione circostanziata e approfondita quale prescritta nei casi di gare pubbliche, con la conseguenza che ogni censura diretta a sindacare la scelta del modello gestionale senza rispettare tali presupposti risulta destituita di fondamento giuridico.

Il modello di controllo analogo si ritiene pienamente realizzato, anche in presenza di una compagine “pluripartecipata” o “frazionata”, in virtù delle seguenti circostanze qualificanti:

a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti;

b) tali amministrazioni aggiudicatrici esercitano congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni di rilievo della persona giuridica controllata;

c) la società controllata non persegue interessi contrapposti a quelli degli enti controllanti, assicurando la coerenza con l’interesse pubblico sotteso alla gestione del servizio idrico integrato.

Intervento di nuova costruzione e qualificazione del manufatto

Tar Piemonte, Torino, sez. II, 21 luglio 2025, n. 1249

Intervento di nuova costruzione – Attività edilizia libera – Qualificazione del manufatto – Criterio funzionale – Pertinenza – Caratteri – Recinzioni – Necessarietà del titolo edilizio

Dal punto di vista prettamente edilizio, si deve seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un’opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili.

Ai fini urbanistici ed edilizi il concetto di pertinenza ha un significato del tutto diverso rispetto alla nozione civilistica e si fonda sulla assenza di: a) autonoma destinazione del manufatto pertinenziale; b) incidenza sul carico urbanistico; c) modifica all’assetto del territorio.

La distinzione tra l’esercizio dello ius aedificandi, assoggettato a titolo edilizio, ed esercizio dello ius excludendi alios, rientrante nell’attività edilizia libera, va operata caso per caso sulla scorta delle concrete caratteristiche della recinzione realizzata.

In particolare, occorre il preventivo rilascio del titolo edilizio autorizzatorio in caso di recinzione che presenti un basamento in muratura sul quale è infissa la rete.

Sono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un’opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali, ad esempio, recinzioni in rete metalliche, sorrette da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo “ius excludendi alios” o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà. Viceversa, è necessario il permesso di costruire quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull’assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica o da opera muraria.

Milano-Cortina 2026: pianificazione urbanistica, accordi di programma e atti integrativi

Consiglio di Stato, sez. IV, 2 luglio 2025, n. 5719

Pianificazione urbanistica – Accordo di programma – Giochi olimpici invernali Milano Cortina 2026 – Mancata acquisizione dell’area alla proprietà pubblica – Legittimità

È legittima la scelta dell’amministrazione, in sede di approvazione dell’atto integrativo all’accordo di programma per la riqualificazione urbanistica e ambientale delle aree inserite nell’ambito urbano di Milano, che non preveda, quale contropartita dei vantaggi concessi al privato, che l’area diventi di proprietà pubblica.

Vincolo paesaggistico e fascia di rispetto

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 10 luglio 2025, n. 8

Beni culturali, paesaggistici e ambientali – Vincolo paesaggistico – Fascia di rispetto – Argini e sponde – Aree sopraelevate

La lettera c) del comma 1 dell’art. 142 del decreto legislativo n. 42 del 2004 sottopone a vincolo paesaggistico le aree ricomprese nelle fasce ricomprese nei 150 metri adiacenti ai fiumi, ai torrenti ed ai corsi d’acqua, da computare tenendo conto dei piedi degli argini e dalle sponde, incluse le aree sopraelevate.

Accertamento di compatibilità paesaggistica

Tar Campania, Salerno, sez. I, 25 luglio 2025, n. 1380

Procedure paesaggistiche – Accertamento di compatibilità paesaggistica – Competenze – Normativa regionale campana – Provvedimenti sanzionatori

Nell’ambito delle procedure paesaggistiche (sia ordinarie che semplificate) che si inseriscono nel procedimento gestito dall’ente locale, il ruolo della Soprintendenza è di co-decisione, i.e. espressione di una vera e propria “cogestione attiva” del vincolo ed in via generale ha ad oggetto l’apprezzamento di merito correlato alla tutela del valore paesaggistico.

L’autorità competente a pronunciarsi sulla domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica è il dirigente comunale competente e la sua determinazione deve essere preceduta dalla acquisizione del parere vincolante della Soprintendenza.

Ai sensi della normativa regionale campana, il parere della Commissione edilizia comunale integrata, che parimenti si iscrive nella sequenza istruttoria come mero atto endoprocedimentale, è obbligatorio ma non vincolante e riguarda la stretta materia dei beni ambientali.

Una volta scaduto il termine per il rilascio del parere da parte della Soprintendenza, è pacifico che resti in capo al Comune, quale autorità ugualmente competente, il potere/dovere di provvedere, motivatamente e autonomamente.

Ne discende che ugualmente competente ad adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall’articolo 167 d.lgs. 42/2004 è il Comune che, al pari della Soprintendenza, è titolare di un potere di cogestione del vincolo paesaggistico e, quindi, esercitabile solo ai fini della tutela del paesaggio, distinguendosi dal potere sanzionatorio spettante, invece, in via esclusiva al Comune ai sensi di una delle previsioni di cui agli articoli 31 e ss. del D.P.R. n. 380/2001 per motivi edilizi.

Responsabilità da inquinamento e da abbandono

Consiglio di Stato, sez. IV, 4 agosto 2025, n. 6885

RSU – Responsabilità da inquinamento e da abbandono – Caratteri e differenze

La responsabilità da inquinamento è un istituto diverso da quello della responsabilità da abbandono (o deposito incontrollato) di rifiuti. Le due fattispecie sono, infatti, disciplinate in distinti Titoli della Parte IV del codice dell’ambiente (d.lgs. 152/2006). Il legislatore si premura, tra l’altro, di vietare l’estensione della regolamentazione della responsabilità da inquinamento all’abbandono di rifiuti, laddove, nell’incipit del Titolo V della Parte IV, cod. amb., contenente per l’appunto la disciplina della responsabilità da inquinamento e dei conseguenti obblighi di bonifica, stabilisce che «[f]erma restando la disciplina dettata dal titolo I della parte quarta del presente decreto, le disposizioni del presente titolo non si applicano: a) all’abbandono dei rifiuti disciplinato dalla parte quarta del presente decreto. In tal caso qualora, a seguito della rimozione, avvio a recupero, smaltimento dei rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, si accerti il superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere alla caratterizzazione dell’area ai fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale da effettuare ai sensi del presente titolo» (art. 239, co. 2, cod. amb.).

La responsabilità da abbandono o deposito incontrollato di rifiuti (di cui al Titolo I, Parte IV, cod. amb.) è regolata dall’art. 192 cod. amb., che, dopo aver disposto che «[l]’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati» (co. 1), al co. 3 individua le conseguenze della violazione del divieto: salva l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli artt. 255 e 256 cod. amb., chiunque viola il divieto di abbandono o di deposito incontrollato di rifiuti «è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate».

L’art. 192, co. 3, cod. amb. estende espressamente la responsabilità da abbandono di rifiuti anche al proprietario (o al titolare di diritti reali o personali di godimento) dell’area, al quale la violazione del divieto di cui al co. 1 sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Da tale specificazione normativa la giurisprudenza ha tratto la conclusione che al proprietario del fondo può far carico una responsabilità da omessa custodia, derivante dalla mancata assunzione delle cautele e degli accorgimenti che l’ordinaria diligenza suggerisce per prevenire che terzi possano abbandonare rifiuti sul fondo. La responsabilità di cui all’art. 192 cod. amb., dunque, è integrata, oltre che dalla commissione di condotte positivamente orientate al deposito dei rifiuti, anche dall’omissione, da parte del proprietario o da chi ha comunque la disponibilità giuridica della cosa, di quei doverosi controlli che potrebbero distogliere terzi soggetti dal compiere le condotte sanzionate dalla norma. Il non aver prevenuto la violazione del divieto di abbandono di rifiuti, pur avendo gli strumenti per farlo, equivale ad aver violato il divieto in proprio ed espone il trasgressore alle conseguenti sanzioni, tra cui l’ordine sindacale di rimuovere i rifiuti e avviarli allo smaltimento o al recupero, nonché di ripristinare lo status quo del fondo.

La responsabilità da inquinamento (di cui al Titolo V, Parte IV, cod. amb.) è integrata dall’aver provocato o contribuito a provocare la contaminazione di un sito oltre le CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) valevoli per i vari elementi inquinanti. Essa determina l’assunzione ex lege degli obblighi di prevenzione, di messa in sicurezza, di bonifica e di rispristino ambientale enucleati dall’art. 240 cod. amb., da adempiersi nel rispetto della procedura operativa di cui all’art. 242 cod. amb. Ai sensi dell’art. 244 cod. amb., ove si riscontri il superamento delle CSC in un determinato sito, la provincia (o, se istituita, la città metropolitana) individua, con apposite indagini, il responsabile della contaminazione e, sentito il comune competente, lo diffida, con ordinanza motivata, ad assumere le necessarie misure di contrasto del danno ambientale. In sostanza, l’art. 244 cod. amb. attribuisce all’autorità competente il potere di compulsare l’adempimento di quegli obblighi (di prevenzione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino) facenti capo ex lege al responsabile dell’inquinamento, ove questi non si sia attivato spontaneamente.

Rispetto al responsabile dell’inquinamento, completamente diversa è la posizione del mero proprietario del fondo inquinato.

Il cd. proprietario incolpevole, che non ha contribuito all’inquinamento del sito, è tenuto esclusivamente a segnalare alle autorità il superamento o il pericolo di superamento delle CSC e ad adottare le misure di prevenzione del danno ambientale, mentre ha la mera facoltà di assumere in proprio le restanti iniziative di contrasto e riparazione del danno (art. 245 cod. amb.), onde mantenere il fondo libero dai pesi derivanti dall’eventuale attivazione d’ufficio delle autorità. Infatti, il proprietario rimane esposto al privilegio speciale e agli oneri reali sul fondo per il caso in cui, non essendo stato individuato il responsabile dell’inquinamento, le amministrazioni competenti realizzino d’ufficio le misure di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, rivalendosi poi delle spese sul proprietario, nei limiti del valore del fondo (artt. 250 e 253 cod. amb.). Pertanto, non è configurabile alcuna responsabilità in capo al proprietario dell’area inquinata né, quindi, l’obbligo di bonificare il sito per il solo fatto di rivestire tale qualità, ove non si dimostri il suo apporto causale all’inquinamento riscontrato.

Il proprietario incolpevole, tenuto all’esecuzione delle sole misure di prevenzione (definite all’art. 240, co. 1, lett. i, cod. amb.), non è obbligato a porre in essere neppure le misure di messa in sicurezza di emergenza (definite all’art. 240, co. 1, lett. m, cod. amb.), queste ultime essendo interventi miranti alla riparazione del danno ambientale e, come tali, gravanti esclusivamente sul responsabile dell’inquinamento.

Come noto, l’impianto normativo è stato ritenuto conforme al principio “chi inquina paga” di cui all’art. 191 TFUE, la Corte di giustizia avendo chiarito che il diritto europeo non osta a una normativa nazionale la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito (Corte Giust. UE, Sez. III, 4 marzo 2015, n. 534).

Quindi, il proprietario che non ha contribuito all’inquinamento del proprio fondo non può essere considerato responsabile in forma omissiva per mancato controllo dell’area, salvo che abbia violato uno specifico obbligo giuridico di attivarsi: va esclusa, infatti, la configurabilità, quale concorso nel determinare – l’aggravamento di – una contaminazione, del comportamento omissivo del proprietario rispetto a condotte positive cui esso non era tenuto, non essendo responsabile del relativo inquinamento originario, ma che avrebbero potuto costituire a norma di legge solo delle sue mere iniziative volontarie. La posizione di proprietario c.d. incolpevole, in altre parole, non viene meno per il solo fatto che il proprietario avrebbe potuto, in ipotesi, attivarsi efficacemente, ma solo quando la relativa omissione abbia comportato la violazione di un preciso obbligo giuridico di azione positiva, obbligo in difetto del quale è la stessa causalità giuridica a fare difetto (arg. ex art. 40 cpv. cod. pen.).

Un obbligo giuridico di azione è rinvenibile, per esempio, nella mancata segnalazione alle autorità di attività inquinanti in essere sul fondo, delle quali il proprietario era a conoscenza, nonché nell’inottemperanza a specifici ordini dell’autorità propedeutici a prevenire la diffusione di un fattore contaminante, mentre non può essergli ascritta una generica responsabilità da omissione di cautele volte a evitare la propagazione dell’inquinamento sul fondo, posto che la riparazione del danno ambientale grava, a norma di legge, solo sul responsabile della contaminazione (art. 242 cod. amb.) o, in mancanza, sull’amministrazione (art. 250 cod. amb.), non anche sul proprietario incolpevole.

Titolo edilizio, decadenza e provvedimento dichiarativo

Tar Veneto, Venezia, sez. II, 28 luglio 2025, n. 1359

Titolo edilizio – Decadenza – Effetti – Provvedimento formale – Necessarietà – Ratio – Principi di trasparenza e certezza giuridica – Mancanza di agibilità e la mancanza del certificato di agibilità – Differenza – Interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), d.P.R. 380/2001

Sebbene la decadenza del permesso di costruire ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 costituisca un effetto che discende dall’inutile decorso del termine di inizio e/o completamento dei lavori autorizzati, costituisce una condizione indispensabile affinché detto effetto diventi operativo l’adozione di un provvedimento formale da parte del competente organo comunale, ancorché meramente dichiarativo e con efficacia ex tunc: la ratio della necessaria intermediazione di un formale provvedimento amministrativo di carattere dichiarativo va ravvisata nell’esigenza di assicurare il contraddittorio con il privato in ordine all’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che giustificano la pronuncia stessa.

È opportuno distinguere tra la mancanza dell’agibilità, e la mancanza del certificato di agibilità, che operano su piani diversi, sostanziale l’uno, e formale l’altro. Va pertanto valutato quando la mancanza del certificato è dovuta a motivi formali o quando è dovuta alla carenza sostanziale dei requisiti di agibilità, perché solo nel secondo caso è sempre giustificata un’ordinanza di sgombero.

Allo stato attuale non vi è una norma che disciplini espressamente le conseguenze della mancanza, sul piano formale, del certificato di agibilità, posto che l’art. 221, secondo comma, del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, che puniva con una sanzione pecuniaria il mancato possesso del certificato, è stato abrogato a decorrere dal 30 giugno 2003, dall’articolo 136, comma 2, lettera a), del DPR 6 giugno 2001, n. 380, senza essere sostituito da una norma dello stesso tenore (l’art. 24, comma 3, del DPR 6 giungo 2001, n. 380, sanziona la mancata presentazione dell’istanza), ed anche il primo comma, il quale dispone che gli edifici o le parti di essi di nuova costruzione non possono essere abitati senza la previa autorizzazione dell’Autorità comunale, a giudizio del Collegio, deve essere interpretato tenendo conto della finalità che gli è propria di tutela, in senso sostanziale, della salute e dell’incolumità della collettività.

Gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), d.P.R. 380/2001, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, purché non riguardino le parti strutturali dell’edificio, possono essere eseguiti senza alcun titolo, anche se previa comunicazione, con conseguente illegittimità dell’ordine di demolizione di opere edilizie e di ripristino dello stato dei luoghi, nel caso di interventi ascrivibili alle fattispecie assoggettate al regime della comunicazione di inizio lavori (c. i. l.), qualora essi si concretizzino nella diversa distribuzione interna.

Atto confermativo e meramente confermativo

Consiglio di Stato, sez. II, 8 agosto 2025, n. 6983

Procedimento amministrativo – Atto confermativo e meramente confermativo – Ordine di demolizione e acquisizione gratuita dell’immobile – Destinatari

La distinzione tra atto confermativo (cd. conferma) e meramente confermativo deriva dalla circostanza che l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi, escludendosi che possa considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione, che aveva condotto al precedente provvedimento, mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata; ricorre invece l’atto meramente confermativo (non impugnabile), allorché l’Amministrazione si limiti a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione.

Mentre l’ordine di demolizione, avendo natura ripristinatoria, prescinde dalla valutazione dei requisiti soggettivi del trasgressore, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine violato, l’ulteriore misura sanzionatoria, consistente nell’acquisizione gratuita dell’immobile, non può essere disposta quando non sia possibile muovere alcun addebito di responsabilità nei confronti di chi la subisce.

La mancata ottemperanza all’ordine di demolizione entro il termine da esso fissato dall’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001, impone l’emanazione dell’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, tranne il caso in cui sia stata dedotta e comprovata la “non imputabilità dell’inottemperanza” ( o sia stata formulata l’istanza di accertamento di conformità prevista dall’art. 36 del medesimo d.P.R.); ciò in quanto la fonte dell’acquisizione del bene al patrimonio comunale è costituita dalla mancata ottemperanza all’ordine demolitorio, che costituisce una diversa violazione e, quindi, un diverso illecito, rispetto all’abuso edilizio, di cui sono responsabili i destinatari dell’ordine demolitorio.

Se quindi l’indisponibilità giuridica o materiale del bene non esclude che l’ordine di demolizione debba essere rivolto anche al proprietario, il quale, stante la titolarità del diritto, è in grado di recuperare le facoltà di godimento e di disposizione al fine di adempiere all’ordine di ripristino, l’indisponibilità del bene è invece rilevante nella fase successiva dell’acquisizione gratuita, che avendo natura afflittiva, non può essere emessa nei confronti del destinatario dell’ordine di demolizione, il quale dimostri che, pur essendosi attivato, non ha potuto ottemperare all’ingiunzione per causa non imputabile.

Ai sensi del comma 4 bis dell’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001, “l’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima”.

Trattandosi di una sanzione amministrativa, non può che essere irrogata in caso di imputabilità dell’inottemperanza. Si tratta, infatti, di una misura coercitiva indiretta, volta ad indurre i soggetti che potrebbero anche non avere responsabilità nella realizzazione dell’abuso a rimuovere lo stesso, laddove ne abbiano la possibilità materiale e giuridica e che presuppone un comportamento antigiuridico di non conformarsi all’ordine ricevuto, con conseguente rilevanza anche delle circostanze concrete che denotino la sussistenza di tale antigiuridicità.

Soccorso istruttorio

Consiglio di Stato, sez. III, 5 agosto 2025, n. 6905

Procedure ad evidenza pubblica – Soccorso istruttorio – Ratio – Funzioni – Ipotesi applicative e eccezioni

A norma dell’art. 101, co. 1 d.lgs. 36/2023, l’istituto del soccorso istruttorio opera in chiara chiave antiformalistica e, in omaggio al favor partecipationis, consente l’integrazione di ogni elemento mancante nella documentazione trasmessa alla stazione appaltante nel termine per la presentazione delle offerte con la domanda di partecipazione alla procedura di gara o con il documento di gara unico europeo, oppure permette di sanare ogni omissione, inesattezza o irregolarità della domanda di partecipazione, del documento di gara unico europeo e di ogni altro documento richiesto dalla stazione appaltante per la partecipazione alla procedura di gara. La disciplina codicistica, di contro, reputa superflua l’attivazione del soccorso istruttorio nell’ipotesi in cui i documenti siano già presenti nel fascicolo virtuale dell’operatore economico, mentre preclude la sanabilità di elementi o documenti che compongono l’offerta tecnica e l’offerta economica, a presidio della par condicio competitorum, specificando da ultimo che non sono sanabili le omissioni, inesattezze e irregolarità che rendono assolutamente incerta l’identità del concorrente.

È ferma la non soccorribilità (sia in funzione integrativa, sia in funzione sanante) degli elementi integranti, anche documentalmente, il contenuto dell’offerta (tecnica od economica): ciò che si porrebbe in contrasto con il superiore principio di parità dei concorrenti.

Ed invero, si possono emendare le carenze o le irregolarità che attengono alla allegazione dei requisiti di ordine generale (in quanto soggettivamente appartenenti all’operatore economico in quanto tale), non quelle inerenti ai requisiti di ordine speciale (in quanto atte a strutturare i termini dell’offerta, con riguardo alla capacità economica, tecnica e professionale richiesta per l’esecuzione delle prestazioni messe a gara).

In sostanza, non è consentito il soccorso istruttorio attivato non tanto per integrare e chiarire la documentazione prodotta a comprova della dichiarazione, ma per rettificare il contenuto della dichiarazione medesima nella sua integralità. Ciò in quanto, nell’ambito del settore dell’evidenza pubblica, non può essere in alcun modo pregiudicato il principio della par condicio fra i concorrenti.

Ordine di sgombero, giudicato e autotutela

Consiglio di Stato, sezione VII, 25 marzo 2025, n. 2495

Demanio marittimo – Attività di maricoltura – Concessione – Scadenza – Riassegnazione – Ordine di sgombero – Giudicato sostanziale

Formatosi il giudicato sull’ordine di sgombero di un’area demaniale marittima adibita a maricoltura, volto all’indizione di una procedura di evidenza pubblica finalizzata alla riassegnazione, all’esito della scadenza del rapporto concessorio, il successivo ordine di rimozione delle strutture adibite a detta attività è atto meramente esecutivo del giudicato sostanziale, formatosi, ai sensi dell’art. 2909 c.c., sull’accertamento relativo alla legittimità dell’esercizio del potere di autotutela demaniale, una volta divenuta abusiva l’occupazione per scadenza della concessione.

Immobili abusivi e acquisizione al patrimonio comunale

Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sez.giurisdizionale, 9 luglio 2025, n. 530

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Presupposti necessari – Mancata notifica – Acquisizione al patrimonio comunale – Illegittimità

È illegittimo il provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale emesso nei confronti del comproprietario dell’immobile abusivo, laddove la presupposta ordinanza di demolizione non solo non sia stata notificata a quest’ultimo, ma nemmeno lo individui quale destinatario e nulla abbia inteso ingiungergli. In tal caso, indipendentemente dalla piena conoscenza eventualmente raggiunta dell’ingiunzione, il comproprietario non può qualificarsi inottemperante rispetto ad un ordine rivolto esclusivamente ad altro comproprietario.

Sanatoria, epoca di realizzazione delle opere e oneri probatori

Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sez. giurisdizionale, 21 luglio 2025, n. 596

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Epoca di realizzazione delle opere – Onere della prova – Inversione

Nel caso in cui il richiedente un provvedimento di sanatoria produca elementi probatori dotati di alto grado di plausibilità in ordine all’epoca di realizzazione delle opere, grava sull’amministrazione l’onere di fornire elementi di prova contraria, mediante un’adeguata attività istruttoria. L’inversione dell’onere della prova, inoltre, si giustifica laddove l’amministrazione intervenga in autotutela, su titoli in sanatoria già rilasciati, per ritenuta falsità delle dichiarazioni rese dall’istante in ordine alla data di realizzazione delle opere, dal momento che l’anteriorità del manufatto ad una certa data rappresenta un elemento costitutivo della legittimità dell’esercizio dell’autotutela.

Permesso di costruire e piano attuativo

Consiglio di Stato, sez. IV, 5 maggio 2025, n. 3809

Titoli edilizi – Permesso di costruire – Piano attuativo – Necessarietà – Eccezioni

Sono del tutto eccezionali le ipotesi in cui è consentito prescindere dalla formazione del piano attuativo, al quale lo strumento urbanistico di livello superiore subordini il rilascio del permesso di costruire su un dato lotto, pertanto non è consentito superare l’assenza del piano attuativo facendo leva sulla situazione di sufficiente urbanizzazione della zona.