Rivista di Diritto ed Economia dei Comuni

La Rivista di Diritto ed Economia dei Comuni è una pubblicazione scientifica – con cadenza quadrimestrale – nata con l’ambizione di contribuire a una nuova stagione di studi sulle autonomie locali, attraverso un rigoroso confronto tra scienziati, magistrati, operatori.
Questo sito rappresenta una virtual open data room in cui selezionare e reperire, oltre che i fascicoli della Rivista, materiali di interesse, in una logica circolare di dialogo e confronto, interni ed esterni. Un luogo in cui intrecciare e rafforzare il dibattito – che vorremmo sempre più intenso – sul futuro del patrimonio istituzionale più prezioso del Paese: i suoi Comuni.
Per logica conseguenza, vorremmo che questo sito fosse non di chi lo fa, ma di quanti lo usano e, forse, ne traggono un’utilità.

Fondo di solidarietà comunale – Legge di Bilancio – autonomia finanziaria comunale –  vincoli di destinazione – strumenti di perequazione – inammissibilità
Corte Costituzionale, sent. 23.02.2023 n. 71/2023

Controllo collaborativo –Richiesta attività consultiva da parte di Unione di comuni – Finanziamento e sviluppo dei servizi sociali comunali – Assunzioni assistenti sociali – Fondo di solidarietà – Vincoli di bilancio 
Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, 7 marzo 2023, n. 38

Demanio marittimo – Concessioni – Articolo 12, paragrafi 1 e 2, Direttiva 2006/123/CE – Effetto diretto – Obbligo di procedura di selezione imparziale e trasparente – Divieto di rinnovo automatico autorizzazione – Carattere incondizionato e sufficientemente preciso – Normativa nazionale – Disapplicazione
Corte di Giustizia Europea, 20 aprile 2023, sent. C-348/22

Contratti pubblici – Appalti – Cottimo fiduciario – Natura giuridica – Principi applicabili – Bilanciamento – Principio di proporzionalità – Libertà di forme – Effetto utile
Consiglio di Stato, sez. IV, 20 aprile 2023, n. 4014

Agricoltura e zootecnia – Indicazione geografica e denominazione di origine – Norme della Regione Siciliana – istituzione della denominazione comunale [De.Co.]- non fondatezza – inammissibilità
Corte Costituzionale, sent. 23.02.2023 n. 75/2023

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Onere motivazionale attenuato – Irrilevanza decorso temporale dall’abuso
Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 14 aprile 2023, n. 203

Comuni, Province e Città metropolitane – Norme della Regione autonoma Sardegna – Durata del mandato del Sindaco – Segretario comunale – Modalità di accesso all’albo dei segretari comunali-  illegittimità costituzionale
Corte Costituzionale, sent. 07.03.2023 n. 60/2023 

Controllo bilanci – Esame relazioni Organo di revisione dell’Ente – Elementi di risposta parziali e non adeguati – Accertamento condotta omissiva – Pregiudizio all’espletamento dell’attività di controllo 
Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia,
28 marzo 2023, n. 92

Demanio marittimo – Concessioni demaniali – Proroga legale – Azione di accertamento
Consiglio di Stato, sez. VI, 14 marzo 2023, n. 2644

ANCI
Nota
Le norme di semplificazione vigenti per l’attuazione degli interventi di edilizia scolastica anche a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 24 del DL 13/2023, convertito con modificazioni, nella Legge n. 41/2023

ANCI
Nota
Rafforzamento della capacità amministrava dei Comuni

ANAC
Atto del Presidente del 19 aprile 2023
Richiesta di parere in merito alla compatibilità dell’incarico di RPCT con quello di RUP

ANAC
Atto del Presidente del 19 aprile 2023
Comune di Alta Valle Intelvi – raccomandazione ai sensi dell’art. 11 co. 1, lett. b) del Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di prevenzione della corruzione.

MINISTERO DELL’INTERNO
Circolare DAIT n.66 del 5 maggio 2023
Accesso generalizzato agli indici decennali dei registri dello stato civile.

IFEL
Dossier del 3 aprile 2023
Le Strategie territoriali nella Politica di coesione 2021-2027 – Agenda territoriale nazionale e Ruolo dei Comuni italiani

Conferenza unificata
Seduta del 27 aprile 2023  
Incentivi  – adesione riorganizzazioni e aggregazioni servizi pubblici locali

AGCOM
Bollettino 16/2023 del 24.04.2023
Avvisi pubblici per l’affidamento esternalizzato dei servizi legali

ARERA
Delibera 18 aprile 2023
Determinazione a consuntivo del corrispettivo a copertura dei costi riconosciuti per il funzionamento del Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A., per l’anno 2022

Giurisprudenza e Prassi

Dissesto finanziario e perentorietà dei termini

Tar Sicilia, Catania, sez. III, 18 giugno 2025, n. 1925

Procedura di dissesto finanziario di un ente locale – Termini – Non perentorietà – Rendiconto di gestione

Il termine quinquennale per la conclusione del dissesto finanziario di un ente locale, previsto dall’art. 265 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, non può essere considerato perentorio ma va inteso come sollecitatorio o ordinatorio, sicché il suo inutile decorso postula non l’illegittimità degli atti adottati, quanto piuttosto una mera irregolarità non viziante. L’inutile decorso di tale termine non può far obliterare la necessità che l’organismo straordinario di liquidazione (OSL) concluda le attività previste dall’articolo 256, giungendo fino all’approvazione del rendiconto di gestione finale.

Il Festival di Sanremo e gli oneri di evidenza pubblica

Consiglio di Stato, sez. V, 27 giugno 2025, n. 5602

Contratti pubblici – Concessioni amministrative – Uso del marchio del Festival di Sanremo – Qualificazione giuridica – Procedura di evidenza pubblica – Principio di concorrenza

Il festival di Sanremo, quale manifestazione canora ben individuata, costituisce un evento del quale è titolare il comune di Sanremo, in qualità di possessore del marchio; quest’ultimo ha una sua autonoma identità, nulla importando il fatto che a tale evento sia stato associato nel tempo un programma televisivo il cui format è ideato da (e perciò ricade nella eventuale proprietà intellettuale di) altri soggetti.

La concessione del marchio relativo al festival di Sanremo va qualificata come un contratto attivo, atteso che dallo stesso discende un’entrata a beneficio del comune; pertanto, tale contratto è sottratto all’applicazione del codice dei contratti pubblici ma resta soggetto ai relativi principi, ai sensi dell’articolo 13, commi 2 e 5, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 e quindi soggetto alla procedura di evidenza pubblica.

La Valutazione d’Impatto Ambientale

Consiglio di Stato, sez. IV, 23 giugno 2025, n. 5466

VIA – Natura giuridica – Ratio e finalità – Termini di efficacia

Come evincibile dall’art. 5, comma 1, lett. b) e c), decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice dell”ambiente), la valutazione di impatto ambientale mira a stabilire, e conseguentemente a governare, in termini di soluzioni più idonee al perseguimento degli  obiettivi di salvaguardia, gli effetti sull’ambiente di determinate progettualità, sussumibili nel concetto di “impatto ambientale”, che si identificano nella alterazione “qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa” che viene a prodursi sull’ambiente, laddove quest’ultimo a sua volta è identificato in un ampio contenitore, costituito dal “sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell’attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti”.

Anche in considerazione della sua matrice europea (cfr. art. 3, direttiva n. 85/337/CEE e successive modifiche apportate dalla direttiva n. 97/11/CE), il procedimento di valutazione di impatto ambientale mira ex ante a valutare gli effetti prodotti sull’ambiente da determinati interventi progettuali, al fine di  proteggere la salute, migliorare la qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie, conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema, promuovere uno sviluppo economico sostenibile.

La V.i.a. costituisce un giudizio sintetico globale di comparazione tra il sacrificio ambientale imposto e l’utilità socio economica procurata dall’opera medesima, tenendo conto anche delle alternative possibili e dei riflessi della c.d. opzione zero. La stessa non si sostanza in un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, venendo con essa esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo, con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico-sociale) e privati.

La previsione della durata di efficacia della V.i.a.  di cui all’art. 25, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006 – riferita al termine minimo quinquennale che può essere graduato nel provvedimento in relazione alla tipologia di opere da realizzare e con la possibilità del soggetto interessato di presentare un’istanza documentata di proroga – non contrasta con alcuna disposizione eurounitaria, ma, è coerente con le previsioni della direttiva 2010/75/CE (applicabile alle discariche ) e delle successive,  da cui si evince l’attenzione  riservata dal legislatore eurounitario sia all’adeguamento dei progetti e delle autorizzazioni alle “migliori tecniche disponibili” – necessariamente mutevoli nel tempo – sia in relazione all’evoluzione dei progetti.

La zonizzazione acustica

Consiglio di Stato, sez. IV, 25 giugno 2025, n. 5529

Pianificazione urbanistica – PRG – Zonizzazione urbanistica – Zonizzazione acustica – Disallineamento – Confronto

Ai sensi del d.P.C.M. del 14 novembre del 1997, il territorio comunale è suddiviso in “aree acusticamente omogenee” che, tendenzialmente e logicamente, corrispondono alle destinazioni urbanistiche delle singole aree del territorio, come evincibili dalla relazione tecnica del piano regolatore generale e dalle relative norme di attuazione, salvo possibili correzioni dovute ad aree nelle quali, ad una data destinazione urbanistica, corrispondono, di fatto, dimensioni acustiche diverse; qualora sia dunque contestato il disallineamento fra la zonizzazione urbanistica e quella acustica, occorre svolgere un confronto di coerenza, ragionevolezza e proporzionalità fra le due tipologie di strumenti di governo.

Silenzio assenso

Tar Lazio, Latina, sez. II, 3 luglio 2025, n. 582

Procedimento amministrativo – Silenzio assenso – Formazione – Presupposti – Indirizzi interpretativi – Cause di nullità del provvedimento – Difetto assoluto di attribuzione – Incompetenza assoluta e relativa – Funzioni di controllo del territorio – Competenza – Misure di salvaguardia – Operatività temporale

La fattispecie in esame involge la tematica centrale dell’istituto del silenzio assenso, ossia se il provvedimento tacito di accoglimento dell’istanza consegue al mero decorrere del tempo, oppure consegue al decorrere del tempo unitamente alla concreta sussistenza dei presupposti normativi per l’attribuzione del bene della vita.

Si confrontano in particolare due tesi: secondo una prima linea interpretativa la formazione tacita del provvedimento è subordinata alla mera presentazione dell’istanza ed al decorrere del tempo previsto dalla legge; mentre, per un’altra consistente prospettazione, la formazione tacita dei provvedimenti amministrativi per silenzio assenso presuppone, quale sua condizione imprescindibile, non solo il decorso del tempo dalla presentazione della domanda senza che sia intervenuta risposta dall’Amministrazione, ma anche la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l’avvenuto perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio assenso non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia conforme a quella normativamente prevista.

Il silenzio assenso non potrebbe in ogni caso formarsi in presenza di un’istanza incompleta o inidonea a generare un pronunciamento dell’Amministrazione.

Tanto premesso, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento della giurisprudenza che ha affermato che in materia di permesso di costruire, la formazione tacita dei provvedimenti amministrativi per silenzio assenso presuppone, quale sua condizione imprescindibile, non solo il decorso del tempo dalla presentazione della domanda senza che sia presa in esame e sia intervenuta risposta dell’Amministrazione, ma la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l’avvenuto perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio assenso non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia conforme a quella normativamente prevista. Quindi, perché possa ritenersi formato il provvedimento implicito di assenso, occorre verificare che, oltre all’inutile decorso del tempo necessario alla conclusione procedimento, la domanda sia stata presentata dal soggetto legittimato alla richiesta (ai sensi dell’art. 11, d.P.R. n. 380/2001), nonché corredata dalle attestazioni, dagli elaborati grafici e dalle asseverazioni espressamente richieste e che, infine, non sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientale, paesaggistici o culturali.

La nullità del provvedimento di cui all’art. 21 septies ha carattere eccezionale e il difetto assoluto di attribuzione, quale causa di nullità del provvedimento amministrativo, ricorre solo in caso di cosiddetta carenza di potere in astratto, vale a dire quando l’Amministrazione esercita un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce, essendo tale vizio configurabile solo nei casi “di scuola” in cui un atto non può essere radicalmente emanato da una autorità amministrativa, che non ha alcun potere nel settore, neppure condividendone la titolarità con un’altra amministrazione, risultando altrimenti un vizio di incompetenza.

Il vizio di incompetenza assoluta, che è causa di nullità del provvedimento, rilevabile d’ufficio dal giudice, ricorre soltanto se l’atto emesso concerne una materia del tutto estranea alla sfera degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo emittente appartiene, ossia se il provvedimento adottato da un certo organo riguardi una materia del tutto estranea all’ambito degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo stesso appartiene, mentre si ha incompetenza relativa nel rapporto tra organi od enti nelle cui attribuzioni rientri, sia pure a fini ed in casi diversi, una determinata materia.

Le funzioni di controllo sull’ordinato sviluppo del territorio sono attribuite ai Comuni tanto per ciò che concerne l’adozione degli strumenti urbanistici quanto per il rilascio dei singoli titoli autorizzatori edilizi.

In termini generali, l’attivazione delle misure di salvaguardia è disciplinata innanzitutto dall’art. 12, comma 3, del DPR 380/01, norma che risponde alla funzione di impedire che, nelle more del complesso procedimento di approvazione definitiva dello strumento urbanistico, siano posti in essere interventi edilizi che comportino una modificazione del territorio tale da rendere estremamente difficile, se non addirittura impossibile, l’attuazione del piano urbanistico in itinere.

Sotto il profilo dell’operatività temporale di tali misure di salvaguardia, proprio per tale finalità di carattere conservativo, esse si applicano a tutti gli interventi che rientrano nella cronologia dell’adozione del strumento urbanistico successivi al primo atto della pianificazione che è la delibera del Consiglio Comunale, dovendosi ritenere tali misure operative sin dal momento in cui l’organo deliberativo dell’ente locale ha manifestato la propria volontà sull’adozione del piano, quand’anche la relativa deliberazione non sia ancora esecutiva.

Indennizzo da mero ritardo

Tar Lazio, Roma, sez. IV ter, 14 luglio 2025, n. 13876

Procedimento amministrativo – Provvedimento finale – Mero ritardo – Domanda di indennizzo – Condizioni – Differenze dal risarcimento – Potere sostitutivo – Termine perentorio

Quanto alla domanda di indennizzo da ritardo mero, disciplinato nei suoi termini generali dall’art. 2 bis, co. 1 bis della l. n. 241/1990, deve osservarsi, in proposito, che mentre il risarcimento presuppone la prova del danno e del comportamento colposo o doloso dell’amministrazione, nonché del nesso di causalità, la fattispecie dell’indennizzo da ritardo prescinde dalla dimostrazione dei suddetti elementi, essendo sufficiente il solo superamento del termine di conclusione del procedimento.

Tuttavia, la possibilità di conseguire l’indennizzo da mero ritardo è condizionata alla previa tempestiva attivazione del potere sostitutivo di cui all’art. 28 del d.l. n. 69 del 2013, convertito dalla l. n. 98 del 2013, il quale prevede, al comma 2, che «al fine di ottenere l’indennizzo, l’istante è tenuto ad azionare il potere sostitutivo previsto dall’art. 2, comma 9-bis, della l. n. 241 del 1990», richiedendo l’emanazione del provvedimento non adottato. L’indennizzo per il danno c.d. da mero ritardo richiede quindi che il privato attivi il potere sostitutivo nel termine perentorio di venti giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.

Conferenza di servizi e assenso delle amministrazioni assenti

Consiglio di Stato, sez. VI, 25 giugno 2025, n. 5535
Procedimento amministrativo – Conferenza di servizi – Determinazione conclusiva – Annullamento in autotutela – Assenso delle amministrazioni assenti – Acquisizione
Ai fini dell’annullamento in autotutela della determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi non è richiesto dalla legge il previo annullamento di tutti gli atti che vengono sostituiti da tale determinazione finale.
Ai sensi dell’art. 14-ter, comma 7, l. n. 241 del 1990, l’assenso delle amministrazioni assenti può ritenersi acquisito solo con riferimento alle questioni che costituiscono oggetto della conferenza.

Beni pubblici e autotutela esecutiva

Consiglio di Stato, sez. VII, 13 giugno 2025, n. 5183

Beni pubblici – Patrimonio indisponibile dello Stato – Autotutela esecutiva – Condizioni di operatività – Competenza – Potere di sgombero di proprietà comunali

L’autotutela esecutiva di cui all’articolo 823, comma 2, del codice civile presuppone, per il suo legittimo esercizio, la dimostrazione che il bene in questione appartenga al demanio o al patrimonio indisponibile, presumendosi da siffatta qualità, iuris et de iure, la sua preordinazione al soddisfacimento di determinati interessi pubblici. Viceversa, non richiede la prova del possesso anteriore o di un diritto di proprietà ininterrotto per oltre venti anni, non essendo i beni demaniali e quelli del patrimonio indisponibile suscettibili di usucapione.

Il potere di autotutela esecutiva possessoria sui beni di proprietà pubblica compete ai dirigenti, atteso che la riforma degli enti locali ha comportato l’affermazione di un principio generale in ordine alla distinzione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni di gestione dell’amministrazione pubblica, riservando queste ultime alle figure amministrativo-dirigenziali. Tra queste ultime va annoverato il potere di sgombero di proprietà comunali che non ha contenuto politico, trattandosi di attività di mera gestione.

Limiti comunali al transito e alla sosta degli autocaravan e degli autocarri

Consiglio di Stato, sez. V, 15 aprile 2025, n 3235

Circolazione stradale – Divieto di transito e sosta per i soli autocaravan ed autocarri – Legittimità – Ratio

È legittima l’ordinanza comunale che vieti, in un determinato tratto del territorio comunale, il transito (oltre che la sosta) ai soli autocaravan ed autocarri di massa superiore a 3,5 tonnellate, in ragione delle più ingombranti dimensioni di tali mezzi rispetto agli altri autoveicoli e, dunque, alla maggior attitudine degli stessi – in caso sia di sosta, sia di transito nei tratti più stretti ed accidentati della carreggiata – di ostacolare una ordinata e sicura circolazione stradale (oltre al tempestivo accesso dei mezzi di soccorso).

Volumi tecnici e atto meramente confermativo

Tar Valle d’Aosta, Aosta, sez. unica, 25 giugno 2025, n. 22

Procedimento amministrativo – Atto meramente conformativo – Intervento di spostamento della parete – Qualificazione giuridica – Volume tecnico – Caratteri

L’atto meramente confermativo ricorre solo quando l’amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza esprimere una nuova motivazione.

L’intervento di spostamento della parete è qualificabile come ampliamento, non potendo il risultante nuovo vano ricadere nella nozione di “locale tecnico”, come tale irrilevante dal punto di vista del computo volumetrico. La giurisprudenza ha infatti enucleato le caratteristiche tipologiche di tali manufatti, chiarendo che il volume tecnico si caratterizza per: a) l’assenza di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale; b) un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione in quanto strettamente necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all’interno della medesima, quali, ad esempio, quelli connessi alla condotta idrica, termica, all’ascensore e simili.

Infrastrutture tecnologiche e criteri di localizzazione

Tar Umbria, Perugia, sez. I, 30 giugno 2025, n. 582

Infrastrutture tecnologiche – Localizzazione – Criteri – Potestà comunale e regionale – Divieti generalizzati – Inammissibilità – Principio della generale capillarità – Competenze – Interesse nazionale

In materia di localizzazione di infrastrutture tecnologiche e, nello specifico di stazioni radio base, la giurisprudenza ha avuto modo di fissare approdi ormai consolidati:

– la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall’articolo 8, comma 6, della legge 22 febbraio 1981, n. 36, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio;

– le infrastrutture per le reti di comunicazione, in quanto opere di urbanizzazione primaria, risultano in generale compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale, poiché dall’articolo 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/1993 si desume il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni;

– alle Regioni ed ai Comuni è consentito – nell’ambito delle proprie e rispettive competenze – individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).

– la scelta di individuare un’area specifica ove collocare gli impianti, anche se in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato, non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). La specificazione dei siti è ammessa dalla norma ma in negativo, a fini di tutela, e non può quindi estendersi alla ulteriore limitazione della specificazione dei siti quali unici punti ammessi, pena una illogica inversione del criterio normativamente stabilito;

– la potestà attribuita all’amministrazione comunale di individuare aree dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l’esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, come ritenuto dalla giurisprudenza, l’interesse nazionale alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio.

Localizzazione degli impianti di telefonia mobile

Tar Marche, Ancona, sez. II, 23 giugno 2025, n. 533

Installazione di impianti di telefonia mobile – Localizzazione – Potere comunale – Apposizione di limiti – Onere motivazionale rafforzato – Verifiche di compatibilità edilizia e urbanistica

Il potere comunale di disciplinare la localizzazione degli impianti di telefonia mobile nel territorio comunale non può essere esercitato con modalità tali da comportare limiti generalizzati alla loro localizzazione.

Le verifiche di compatibilità edilizia e urbanistica delle infrastrutture di comunicazioni elettroniche, ancorché assorbite nell’ambito del procedimento disciplinato dall’art. 44 del d.lgs. n. 259 del 2003, debbono comunque essere svolte dall’Amministrazione; esse, quindi, confluiscono nell’autorizzazione oppure possono valere a fondare il relativo diniego.

L’Amministrazione, infatti, ha sempre il potere di introdurre regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico-artistico, o anche per la protezione dall’esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali, etc.), purché il limite o il divieto posto dall’Ente locale non sia basato su motivazioni apparenti o irragionevole e non impedisca la capillare distribuzione del servizio sull’intero territorio. Tale necessità è riconosciuta dalla giurisprudenza, che evidenzia come il potere urbanistico di governo del territorio possa essere esercitato anche in relazione all’installazione di SRB proprio per consentire il mantenimento di un armonioso e corretto assetto del territorio medesimo, dato che le SRB rappresentano un elemento visibile dai luoghi circostanti e comportano una alterazione dei luoghi avente rilievo ambientale ed estetico.

Attività commerciali, autorizzazioni e conformità urbanistico-edilizia

Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 2 luglio 2025, n. 339

Attività commerciali – Autorizzazioni – Conformità urbanistico-edilizia dei locali – Imprescindibilità

Le autorizzazioni commerciali implicitamente riconoscono la legittimità dell’immobile atteso che l’esercizio dell’attività commerciale e il rilascio della relativa autorizzazione non può prescindere dalla conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività si svolge.

Società miste, società a controllo pubblico ed esclusività dell’oggetto sociale

Consiglio di Stato, sez. IV, 17 giugno 2025, n. 5289

Servizi pubblici locali – Affidamento diretto – Società miste a controllo pubblico frazionato – Nozione – Poteri di controllo – Società controllate – Oggetto sociale – Funzionalizzazione – Ratio – Tutela della concorrenza e del mercato – Limitazioni alle società partecipate da Regioni ed enti locali – Modello in house – Ratio

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettere b) ed m), del d. lgs. n. 175/2016 (cd. TUSP) e dell’art. 2359 del codice civile, sono società miste “a controllo pubblico” anche quelle “a controllo pubblico frazionato” in cui i soci pubblici dispongono complessivamente, in assemblea ordinaria, della maggioranza dei voti previsti dall’art. 2359, anche se la quota del socio privato è superiore alla quota di ciascun singolo socio pubblico, anche se mancano specifici patti parasociali o vincoli statutari e anche se il socio privato nomina l’amministratore delegato. Quanto affermato trova fondamento nel chiaro dettato normativo derivante dal combinato disposto delle norme sopra richiamate.

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera m), del d. lgs. n. 175/2016, sono “«società a controllo pubblico»: le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)”.

La lett. b) dello stesso articolo 2, nel definire i poteri di controllo dispone: “b) «controllo»: la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

Secondo l’art. 2359 c.c., richiamato dal TUSP, “Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi”.

In virtù del combinato disposto delle lettere b) ed m) dell’art. 2, comma 1, del TUSP, vanno qualificate come “società a controllo pubblico”, senza eccezioni, tutte quelle in cui “una o più amministrazioni pubbliche” dispongano della “maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”, ai sensi dell’art. 2359 c.c. Pertanto, ai fini dell’integrazione della fattispecie delle “società a controllo pubblico”, rilevante per definire l’ambito di applicazione, soggettivo e oggettivo, di alcune disposizioni del d.lgs. n. 175 del 2016, è necessario, ed è anche sufficiente, che una o più amministrazioni pubbliche dispongano, in assemblea ordinaria, dei voti previsti dall’art. 2359 cod. civ.

La legge contempla, come ipotesi tra loro alternative e incondizionate, quella per cui la predetta maggioranza dei voti debba essere garantita da “una” o “più amministrazioni pubbliche”, anche in assenza di vincoli giuridici di coordinamento.

La finalità di tale disciplina appare chiara: occorre evitare che le società a capitale pubblico frazionato – operanti soprattutto nell’ambito dei servizi pubblici locali – possano strumentalmente sottrarsi all’applicazione delle disposizioni speciali dettate dal TUSP nei confronti delle “società a controllo pubblico” (per esempio, quelle in materia di amministratori e di dipendenti: artt. 11, 19 e 25), eccependo l’assenza di norme statutarie o di patti di sindacato fra i soci pubblici, tutti di minoranza.

L’art. 17 TUSP non consente alle società miste, a differenza delle società in house, di concorrere a gare indette da Enti terzi e comunque di svolgere attività diverse da quelle rientranti nella “gara a doppio oggetto”.

La disciplina del modello della società mista appare chiaramente definito dagli artt. 17 e 26 TUSP, nonché dell’art. 16 del d.lgs. n. 201/2022 (che individua la società mista disciplinata dal TUSP quale possibile forma di gestione dei servizi di interesse economico generale di livello locale).

È possibile evincere una stretta funzionalizzazione tra società e servizio oggetto di affidamento, il nesso di esclusività esistente tra costituzione della società mista e svolgimento del servizio affidato dagli enti pubblici soci, la strumentalità della società mista rispetto al servizio per il quale l’ente è stato costituito da intendere in termini di esclusività dell’oggetto della società stessa, atteso che:

– l’art. 17, comma 1, afferma in modo inequivoco che l’affidamento del contratto di appalto o di concessione è “oggetto esclusivo dell’attività della società mista”, laddove il carattere della esclusività è chiaramente riferito al tipo di attività che la società può prestare in via generale e non al fatto che solo tale specifica attività in quanto oggetto del bando a doppio oggetto sia conferibile senza gara laddove ulteriori attività possano comunque essere svolte mediante gara. La società mista, infatti, rappresenta un importante modello di gestione dei servizi pubblici locali e, in una logica di partenariato pubblico privato e di valorizzazione dell’esperienza del socio privato operativo, si caratterizza come società di scopo finalizzata alla gestione dello specifico servizio oggetto della gara e non come società generalista. È dunque rispetto a questa ratio che il riferimento alla esclusività dell’oggetto deve essere interpretato e non rispetto al vincolo della concorsualità nella scelta del partener privato che attiene alla modalità di costituzione della società, non alla sua ratio e quindi ai suoi limiti di operatività;

– il successivo comma 2 fa riferimento ai requisiti di qualificazione richiesti al socio privato nella gara a doppio oggetto “in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita” e in questo senso la stessa proposta di piano industriale deve essere specificamente calibrata in relazione all’oggetto e quindi al servizio specifico per il quale la società è costituita (nella specie raccolta rifiuti in relazione ad un ben determinato bacino di utenza);

– il comma 3 collega indissolubilmente la durata della partecipazione privata alla società alla durata dell’appalto o della concessione prescrivendo, altresì, meccanismi statutari di scioglimento del rapporto societario in caso di risoluzione del contratto di servizio;

– il comma 4 stabilisce che i patti parasociali devono essere contenuti “entro i limiti di durata del contratto per la cui esecuzione la società è stata costituita”;

– il comma 6 fa riferimento alla “realizzazione dell’opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali [le società miste] sono state specificamente costituite”.

Vi è dunque una chiara funzionalizzazione dell’oggetto sociale della società mista – e quindi dell’ambito della sua stessa capacità giuridica e di agire rispetto allo specifico servizio per il quale la stessa è stata costituita e nel quale rinviene in via esclusiva la propria ragione d’essere – anche dal punto di vista causale.

Una volta costituita, la società mista non vive di vita propria ma resta funzionalmente collegata in via esclusiva allo scopo della sua costituzione, indicato nel bando, che ne delimita la capacità giuridica e di agire, precludendole la possibilità di partecipare a gare che esulano dalla finalità istitutiva della stessa in quanto estranee allo scopo dei soci pubblici che ne hanno promosso l’istituzione, delimitandone il campo di azione.

È evidente la finalità della disciplina (più restrittiva di quella delle società in house): essa risiede nell’esigenza di tutelare la concorrenza “ad armi pari” tra imprese private (il cd. leveling the playing field), circoscrivendo la peculiare posizione del privato che ha come soci soggetti pubblici alle (sole) prestazioni per le quali la società è stata costituita e lui è stato selezionato con la gara a doppio oggetto.

È il modello della società mista in sé a determinare un vantaggio concorrenziale in capo al socio privato che, ad esempio, potendo fare stabile affidamento sui proventi economici derivanti dalla gestione dei servizi pubblici ricompresi nell’oggetto sociale, gode di una stabilità economica e finanziaria che si traduce in una maggiore capacità competitiva nel caso fosse autorizzata a partecipare anche a gare indette a soggetti terzi.

Non si tratta pertanto di introdurre limitazioni ingiustificate che penalizzano un operatore economico, ma di tenere conto della sua natura giuridica peculiare al fine di prevenire possibili effetti distorsivi della concorrenza conseguenti al mancato rispetto della par condicio tra imprese, alcune delle quali, in forza del partenariato con soggetti pubblici, potrebbero godere, quantomeno, di una maggiore solidità e stabilità finanziaria, ed essere meno esposte alle conseguenze pregiudizievoli che possono segnare i partenariati tra soggetti privati in termini di inadempimenti, fallimento, contesti di crisi, ecc.

Per queste ragioni, anche sotto un profilo storico, l’art. 17 del TUSP si pone in continuità con il previgente art. 13 d. l. n. 223/06, emanato nell’ambito di una serie di norme finalizzate proprio alla tutela della concorrenza (come specificato dall’art. 1 d. l. n. 223/06), sebbene l’art. 13 del d. lgs. n. 223/06 abbia un ambito applicativo più ridotto di quello del vigente art. 17 d. lgs. n. 175/16, il quale ricomprende anche i servizi pubblici locali per effetto del richiamo operato dall’art. 16 d. lgs. n. 201/22.

L’articolo 13 in questione impone alcune limitazioni alle società partecipate da Regioni ed enti locali per lo svolgimento di funzioni amministrative o attività strumentali alle stesse.

A norma del comma 1, al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società a capitale interamente pubblico o misto – costituite dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza – devono operare esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti.

A norma del comma 2, le predette società sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.

Sia il criterio della interpretazione letterale, che quello teleologico, che quello storico (in relazione all’evoluzione delle norme succedutesi nel tempo) forniscono ampi e solidi argomenti per giungere alla conclusione che l’art. 17 del TUSP preclude alle società miste la partecipazione ad altre gare, anche se indette da enti non soci.

Il modello della società in house di cui all’art. 16 TUSP risponde alla scelta di ricorrere alla auto-organizzazione amministrativa, oggi sancita dall’omonimo principio di cui all’art. 7 del nuovo codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36 del 2023).

Il modello della società mista di cui all’art. 17 TUSP risponde, invece, alla scelta di ricorrere al privato – individuato tramite una vera e propria procedura di affidamento a evidenza pubblica – nella veste di socio e non di appaltatore: da tale modello il privato non può acquisire (come si è detto) indebiti vantaggi competitivi su commesse diverse. Tale diversità giustifica – anche sotto il profilo della costituzionalità – la mancata riproduzione, nell’art. 17, di una disposizione analoga a quella del comma 3 dell’art. 16, che consente espressamente una sia pur limitata attività esterna.

Localizzazione degli impianti di telecomunicazioni

Tar Liguria, Genova, sez. II, 13 giugno 2025, n. 686

Impianti di telecomunicazioni – Localizzazione – Competenza regolamentare comunale – Previsione di limitazioni – Ammissibilità – Localizzazione alternativa – Limiti distanziali – Deroghe

Il comma 6 dell’art. 8 della l. n. 36/2001 stabilisce che “i comuni possono adottare un regolamento nel rispetto delle vigenti disposizioni di legge e, in particolare, degli articoli 43, 44, 45, 46, 47 e 48 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell’articolo 4”.

I Comuni, pertanto, non possono introdurre prescrizioni di divieto che comportino limitazioni alla localizzazione degli impianti in aree generalizzate del proprio territorio (né, a maggior ragione, vietare l’istallazione di tali impianti in aree diverse da quelle individuate dai propri strumenti pianificatori o regolamentari).

Tuttavia, deve ritenersi consentito ai Comuni, nell’esercizio del potere di pianificazione territoriale, operare il raccordo tra le esigenze urbanistiche e quelle di minimizzazione dell’impatto elettromagnetico espressamente indicate dal citato comma 6, prevedendo anche limiti di carattere generale all’installazione degli impianti, purché sia garantita una possibile localizzazione alternativa degli stessi che garantisca la copertura di rete del territorio: possono ritenersi legittime, quindi, le disposizioni che non consentono la localizzazione degli impianti nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole e ospedali), qualora la copertura di rete possa essere garantita con impianti collocati in altre aree.

Non sussiste dunque una preclusione di carattere generale all’introduzione di misure di cautela distanziali che rispondano a particolari esigenze di interesse pubblico e non si traducano in divieti generalizzati o criteri eterogenei comportanti limitazioni alla copertura di rete.

Nonostante il favor legislativo per una tipologia di impianti che soddisfa un interesse pubblico generale, non sussiste un diritto incondizionato alla loro collocazione in qualunque area né un dovere di assicurarne la collocazione negli specifici punti in cui la copertura e la qualità del servizio assicurate sono massime. In ogni caso, il regolamento comunale consente di derogare al limite distanziale nei casi in cui l’operatore dimostri “tecnicamente” che tale soluzione è necessaria per garantire la copertura di rete.