Consiglio di Stato, sez. IV, 17 giugno 2025, n. 5289
Servizi pubblici locali – Affidamento diretto – Società miste a controllo pubblico frazionato – Nozione – Poteri di controllo – Società controllate – Oggetto sociale – Funzionalizzazione – Ratio – Tutela della concorrenza e del mercato – Limitazioni alle società partecipate da Regioni ed enti locali – Modello in house – Ratio
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettere b) ed m), del d. lgs. n. 175/2016 (cd. TUSP) e dell’art. 2359 del codice civile, sono società miste “a controllo pubblico” anche quelle “a controllo pubblico frazionato” in cui i soci pubblici dispongono complessivamente, in assemblea ordinaria, della maggioranza dei voti previsti dall’art. 2359, anche se la quota del socio privato è superiore alla quota di ciascun singolo socio pubblico, anche se mancano specifici patti parasociali o vincoli statutari e anche se il socio privato nomina l’amministratore delegato. Quanto affermato trova fondamento nel chiaro dettato normativo derivante dal combinato disposto delle norme sopra richiamate.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera m), del d. lgs. n. 175/2016, sono “«società a controllo pubblico»: le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)”.
La lett. b) dello stesso articolo 2, nel definire i poteri di controllo dispone: “b) «controllo»: la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.
Secondo l’art. 2359 c.c., richiamato dal TUSP, “Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi”.
In virtù del combinato disposto delle lettere b) ed m) dell’art. 2, comma 1, del TUSP, vanno qualificate come “società a controllo pubblico”, senza eccezioni, tutte quelle in cui “una o più amministrazioni pubbliche” dispongano della “maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”, ai sensi dell’art. 2359 c.c. Pertanto, ai fini dell’integrazione della fattispecie delle “società a controllo pubblico”, rilevante per definire l’ambito di applicazione, soggettivo e oggettivo, di alcune disposizioni del d.lgs. n. 175 del 2016, è necessario, ed è anche sufficiente, che una o più amministrazioni pubbliche dispongano, in assemblea ordinaria, dei voti previsti dall’art. 2359 cod. civ.
La legge contempla, come ipotesi tra loro alternative e incondizionate, quella per cui la predetta maggioranza dei voti debba essere garantita da “una” o “più amministrazioni pubbliche”, anche in assenza di vincoli giuridici di coordinamento.
La finalità di tale disciplina appare chiara: occorre evitare che le società a capitale pubblico frazionato – operanti soprattutto nell’ambito dei servizi pubblici locali – possano strumentalmente sottrarsi all’applicazione delle disposizioni speciali dettate dal TUSP nei confronti delle “società a controllo pubblico” (per esempio, quelle in materia di amministratori e di dipendenti: artt. 11, 19 e 25), eccependo l’assenza di norme statutarie o di patti di sindacato fra i soci pubblici, tutti di minoranza.
L’art. 17 TUSP non consente alle società miste, a differenza delle società in house, di concorrere a gare indette da Enti terzi e comunque di svolgere attività diverse da quelle rientranti nella “gara a doppio oggetto”.
La disciplina del modello della società mista appare chiaramente definito dagli artt. 17 e 26 TUSP, nonché dell’art. 16 del d.lgs. n. 201/2022 (che individua la società mista disciplinata dal TUSP quale possibile forma di gestione dei servizi di interesse economico generale di livello locale).
È possibile evincere una stretta funzionalizzazione tra società e servizio oggetto di affidamento, il nesso di esclusività esistente tra costituzione della società mista e svolgimento del servizio affidato dagli enti pubblici soci, la strumentalità della società mista rispetto al servizio per il quale l’ente è stato costituito da intendere in termini di esclusività dell’oggetto della società stessa, atteso che:
– l’art. 17, comma 1, afferma in modo inequivoco che l’affidamento del contratto di appalto o di concessione è “oggetto esclusivo dell’attività della società mista”, laddove il carattere della esclusività è chiaramente riferito al tipo di attività che la società può prestare in via generale e non al fatto che solo tale specifica attività in quanto oggetto del bando a doppio oggetto sia conferibile senza gara laddove ulteriori attività possano comunque essere svolte mediante gara. La società mista, infatti, rappresenta un importante modello di gestione dei servizi pubblici locali e, in una logica di partenariato pubblico privato e di valorizzazione dell’esperienza del socio privato operativo, si caratterizza come società di scopo finalizzata alla gestione dello specifico servizio oggetto della gara e non come società generalista. È dunque rispetto a questa ratio che il riferimento alla esclusività dell’oggetto deve essere interpretato e non rispetto al vincolo della concorsualità nella scelta del partener privato che attiene alla modalità di costituzione della società, non alla sua ratio e quindi ai suoi limiti di operatività;
– il successivo comma 2 fa riferimento ai requisiti di qualificazione richiesti al socio privato nella gara a doppio oggetto “in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita” e in questo senso la stessa proposta di piano industriale deve essere specificamente calibrata in relazione all’oggetto e quindi al servizio specifico per il quale la società è costituita (nella specie raccolta rifiuti in relazione ad un ben determinato bacino di utenza);
– il comma 3 collega indissolubilmente la durata della partecipazione privata alla società alla durata dell’appalto o della concessione prescrivendo, altresì, meccanismi statutari di scioglimento del rapporto societario in caso di risoluzione del contratto di servizio;
– il comma 4 stabilisce che i patti parasociali devono essere contenuti “entro i limiti di durata del contratto per la cui esecuzione la società è stata costituita”;
– il comma 6 fa riferimento alla “realizzazione dell’opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali [le società miste] sono state specificamente costituite”.
Vi è dunque una chiara funzionalizzazione dell’oggetto sociale della società mista – e quindi dell’ambito della sua stessa capacità giuridica e di agire rispetto allo specifico servizio per il quale la stessa è stata costituita e nel quale rinviene in via esclusiva la propria ragione d’essere – anche dal punto di vista causale.
Una volta costituita, la società mista non vive di vita propria ma resta funzionalmente collegata in via esclusiva allo scopo della sua costituzione, indicato nel bando, che ne delimita la capacità giuridica e di agire, precludendole la possibilità di partecipare a gare che esulano dalla finalità istitutiva della stessa in quanto estranee allo scopo dei soci pubblici che ne hanno promosso l’istituzione, delimitandone il campo di azione.
È evidente la finalità della disciplina (più restrittiva di quella delle società in house): essa risiede nell’esigenza di tutelare la concorrenza “ad armi pari” tra imprese private (il cd. leveling the playing field), circoscrivendo la peculiare posizione del privato che ha come soci soggetti pubblici alle (sole) prestazioni per le quali la società è stata costituita e lui è stato selezionato con la gara a doppio oggetto.
È il modello della società mista in sé a determinare un vantaggio concorrenziale in capo al socio privato che, ad esempio, potendo fare stabile affidamento sui proventi economici derivanti dalla gestione dei servizi pubblici ricompresi nell’oggetto sociale, gode di una stabilità economica e finanziaria che si traduce in una maggiore capacità competitiva nel caso fosse autorizzata a partecipare anche a gare indette a soggetti terzi.
Non si tratta pertanto di introdurre limitazioni ingiustificate che penalizzano un operatore economico, ma di tenere conto della sua natura giuridica peculiare al fine di prevenire possibili effetti distorsivi della concorrenza conseguenti al mancato rispetto della par condicio tra imprese, alcune delle quali, in forza del partenariato con soggetti pubblici, potrebbero godere, quantomeno, di una maggiore solidità e stabilità finanziaria, ed essere meno esposte alle conseguenze pregiudizievoli che possono segnare i partenariati tra soggetti privati in termini di inadempimenti, fallimento, contesti di crisi, ecc.
Per queste ragioni, anche sotto un profilo storico, l’art. 17 del TUSP si pone in continuità con il previgente art. 13 d. l. n. 223/06, emanato nell’ambito di una serie di norme finalizzate proprio alla tutela della concorrenza (come specificato dall’art. 1 d. l. n. 223/06), sebbene l’art. 13 del d. lgs. n. 223/06 abbia un ambito applicativo più ridotto di quello del vigente art. 17 d. lgs. n. 175/16, il quale ricomprende anche i servizi pubblici locali per effetto del richiamo operato dall’art. 16 d. lgs. n. 201/22.
L’articolo 13 in questione impone alcune limitazioni alle società partecipate da Regioni ed enti locali per lo svolgimento di funzioni amministrative o attività strumentali alle stesse.
A norma del comma 1, al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società a capitale interamente pubblico o misto – costituite dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza – devono operare esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti.
A norma del comma 2, le predette società sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.
Sia il criterio della interpretazione letterale, che quello teleologico, che quello storico (in relazione all’evoluzione delle norme succedutesi nel tempo) forniscono ampi e solidi argomenti per giungere alla conclusione che l’art. 17 del TUSP preclude alle società miste la partecipazione ad altre gare, anche se indette da enti non soci.
Il modello della società in house di cui all’art. 16 TUSP risponde alla scelta di ricorrere alla auto-organizzazione amministrativa, oggi sancita dall’omonimo principio di cui all’art. 7 del nuovo codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36 del 2023).
Il modello della società mista di cui all’art. 17 TUSP risponde, invece, alla scelta di ricorrere al privato – individuato tramite una vera e propria procedura di affidamento a evidenza pubblica – nella veste di socio e non di appaltatore: da tale modello il privato non può acquisire (come si è detto) indebiti vantaggi competitivi su commesse diverse. Tale diversità giustifica – anche sotto il profilo della costituzionalità – la mancata riproduzione, nell’art. 17, di una disposizione analoga a quella del comma 3 dell’art. 16, che consente espressamente una sia pur limitata attività esterna.