Contratti pubblici

Modifiche contrattuali ed evidenza pubblica

Tar Piemonte, Torino, sez. I, 10 luglio 2024, n. 835

Contratti pubblici – Modifica contrattuale – Condizioni – Fase esecutiva

La modifica contrattuale può essere concordata anche nella fase tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, ma l’elasticità consentita alle parti in fase esecutiva non può tradursi in una sostanziale elusione delle regole di evidenza pubblica. Devono quindi essere addotti e documentati seri motivi indipendenti dalle parti che non modifichino per altro in modo sostanziale l’oggetto della gara; non trovano spazio invece ortopedie rispetto ad offerte ab origine non sostenibili ovvero modifiche delle condizioni di contratto tali che, ove manifestate in gara, lo avrebbero reso appetibile per ben diverse fasce di mercato.

Project financing

Consiglio di Stato, sez. V, 22 marzo 2024, n. 2805

Consiglio comunale – Attribuzioni – Tassatività – Project financing – PPP – Valutazione fattibilità – Programmazione finanziaria e nuove opere pubbliche – Proposte dei privati

Le funzioni attribuite al Consiglio comunale costituiscono delle ipotesi tassative, come si desume dal tenore letterale dell’art. 42 del TUEL, il quale affida all’organo consiliare la competenza ad approvare unicamente gli atti fondamentali elencati dal secondo comma, tra i quali non figura la dichiarazione di fattibilità delle proposte di project financing o di partenariato pubblico privato. Il Consiglio comunale è certamente competente, invece, per l’inserimento dell’intervento nella programmazione finanziaria e nei programmi delle opere pubbliche, che peraltro non deve necessariamente precedere la presentazione della proposta, dal momento che – secondo quanto previsto dall’art. 183, comma 15, primo periodo, del d.lgs. n. 50 del 2016 – gli operatori economici «possono presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte relative alla realizzazione in concessione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità […] anche se presenti negli strumenti di programmazione approvati dall’amministrazione […] sulla base della normativa vigente»; il che implica che i privati possono presentare proposte anche se gli interventi non sono inseriti nella programmazione dell’ente (si veda anche il nono periodo del comma 15 cit.: «Il progetto di fattibilità eventualmente modificato, qualora non sia già presente […] è inserito in tale strumenti di programmazione»).

Il Consiglio comunale è competente solo ai fini dell’inserimento dell’intervento nella programmazione dell’ente, non nella fase di esame e valutazione della fattibilità della proposta.

Contratti pubblici e RTI verticale

Tar Lazio, Latina, sez. I, 15 marzo 2024, n. 219

Contratti pubblici – RTI verticale – Ratio – Anomalia offerte – Discrezionalità tecnica

Un raggruppamento di tipo verticale è quello in cui il mandatario realizza la prestazione di servizi principale ed i mandanti quelle secondarie, mentre quello orizzontale consiste in una riunione di operatori finalizzata a realizzare il medesimo tipo di prestazioni.

 Il r.t.i. verticale, infatti, è connotato dalla circostanza che l’impresa mandataria apporta competenze incentrate sulla prestazione prevalente, diverse da quelle delle mandanti, le quali possono avere competenze differenziate anche tra di loro, sicché nel raggruppamento di tipo verticale un’impresa, ordinariamente capace per la prestazione prevalente, si associa ad altre imprese provviste della capacità per le prestazioni secondarie scorporabili.

Nelle gare pubbliche, il giudizio circa l’anomalia o l’incongruità dell’offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o erroneità fattuale, non potendo essere esteso ad un’autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci. Stante la natura tecnico-discrezionale della funzione esercitata dalla stazione appaltante in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, sotto il profilo probatorio, al fine dimostrare la sussistenza del vizio della discrezionalità tecnica, è onere del ricorrente introdurre in giudizio elementi che sul piano sintomatico, in modo pregnante, evidente e decisivo rendano significativo il vizio di eccesso di potere in cui possa essere incorso l’organo deputato all’esame dell’anomalia.

Contratti pubblici e segretezza delle offerte

Tar Campania, Napoli, sez. III, 19 febbraio 2024, n. 1155

Contratti pubblici – Procedura di gara – Segretezza delle offerte – Principio di trasparenza – Mancata pubblicità – Principio di imparzialità – Annullamento e revoca in autotutela – Annullabilità – Titoli edilizi – Art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990 – Omessa comunicazione avvio procedimento

La segretezza delle offerte è riconducibile ai principi di imparzialità e buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), sub specie dei principii di trasparenza e par condicio dei concorrenti: la loro lesione deve essere apprezzata ex ante, rilevando, cioè, non solo la lesione effettiva del bene giuridico tutelato, ma anche il mero pericolo di lesione, sicché il condizionamento della valutazione rileva anche solo sotto il profilo potenziale, in quanto astrattamente idoneo a compromettere la garanzia di imparzialità dell’operato dell’organo valutativo.

L’obbligo di apertura delle offerte tecniche in seduta pubblica discende dal principio di trasparenza, espressamente richiamato dall’articolo 30 del d.lgs. 50/2016, secondo cui “nell’affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”.

La mancata pubblicità delle sedute di gara costituisce non una mera mancanza formale, ma una violazione sostanziale, che invalida la procedura, senza che occorra la prova di un’effettiva manipolazione della documentazione prodotta e le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post, una volta rotti i sigilli e aperti i plichi. Ne discende che la rilevanza della violazione prescinde dalla prova concreta delle conseguenze negative derivanti dalla sua violazione, rappresentando un valore in sé, di cui la normativa nazionale e comunitaria predica la salvaguardia a tutela non solo degli interessi degli operatori, ma anche di quelli della stazione appaltante. Ai fini della tutela della segretezza delle offerte e per assicurare la par condicio e la trasparenza delle operazioni concorsuali, occorre che la Commissione di gara predisponga particolari cautele per la conservazione delle buste contenenti le offerte e di dette cautele si faccia espressa menzione nel verbale di gara, non potendo tale verbalizzazione essere surrogata da dichiarazioni postume del presidente circa lo stato di conservazione dei plichi.

Nelle gare pubbliche, viola il principio di segretezza delle offerte la mera circostanza che il plico sia pervenuto aperto alla Commissione di gara, indipendentemente dal soggetto cui sia addebitabile l’erronea apertura, dato che la regola è posta a garanzia dei principi di par condicio e di segretezza delle offerte, che altrimenti non risultano assicurati, in quanto l’apertura del plico deve essere effettuata dalla Commissione pubblicamente, in contraddittorio ed il giorno della gara, e non invece in circostanze tali da non consentire alcuna certezza in ordine al rispetto delle regole di legalità previste per lo svolgimento della gara; e ciò ancorché la busta contenente l’offerta economica sia intatta, essendo pervenuta alla Commissione regolarmente sigillata.

L’obbligo di predisporre adeguate cautele a tutela dell’integrità delle buste contenenti le offerte delle imprese partecipanti a gare pubbliche, in mancanza di apposita previsione da parte del legislatore, discende necessariamente dalla ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l’individuazione del contraente, in quanto l’integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti è uno degli elementi sintomatici della segretezza delle offerte e della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità, consacrati dall’art. 97 Cost., ai quali deve uniformarsi l’azione amministrativa.

Il principio di imparzialità (art. 97 Cost.), inteso come terzietà della P.A. rispetto agli interessi toccati dall’azione amministrativa, rileva non solo in una dimensione sostanziale, ma anche in una dimensione formale.

La dizione letterale di cui all’art. 21 nonies legge n.241/1990 fa riferimento, in generale, a “ragioni di interesse pubblico”, sicché nulla esclude, a priori, una rivalutazione dell’interesse pubblico originario, anche nel caso dell’annullamento d’ufficio di un precedente provvedimento amministrativo: si deve, più precipuamente, avere, però, riguardo alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, che sia diverso dal mero ripristino della legalità violata, dovendo anche considerarsi le posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.

L’esercizio del potere di cui all’art. 21-nonies l. n. 241/1990, postula, in particolare, un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione dell’atto, che non possa essere soddisfatto se non a danno dell’interesse del privato alla conservazione dell’atto annullato.

Il potere di revoca in autotutela, ai sensi dell’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990, ha carattere discrezionale e si differenzia dal potere di autoannullamento, disciplinato dall’art. 21 nonies, l. n. 241/1990, in ragione della diversità dei presupposti, ricorrendo i quali può e deve essere esercitato l’uno o l’altro potere di secondo grado. In tal senso, se il presupposto per l’esercizio dell’annullamento d’ufficio è l’illegittimità del provvedimento originario, il presupposto della revoca, viceversa, consiste nella nuova valutazione della situazione originariamente giustificativa dell’emissione del primo provvedimento, ovvero della incompatibilità tra gli effetti dell’originario provvedimento e l’interesse pubblico che l’Amministrazione è chiamata a perseguire.

I presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento e dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, che è un principio diverso dal mero ripristino della legalità violata, tenendo anche conto delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari. Conseguentemente, l’annullamento concerne il caso di illegittimità che inficia il provvedimento che ne viene colpito e che conseguentemente viene ritirato con effetto ex tunc.

La Stazione appaltante conserva, anche dopo l’aggiudicazione definitiva e addirittura dopo il conseguimento dell’efficacia di quest’ultima, il suo potere di autotutela rispetto alla procedura seguita nel caso in cui il rapporto risulti già viziato a monte, come stabilito dall’art. 32, comma 8, d.lgs. n. 50/2016; potere da esercitare ai sensi dell’art. 21-nonies, l. n. 241/1990, all’esito di una puntuale ed approfondita istruttoria. Difatti, il potere di annullamento in autotutela, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa da parte della stessa Amministrazione procedente, deve riconoscersi alla stessa anche dopo l’aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto, con conseguente inefficacia di quest’ultimo, e trova ora un solido fondamento normativo, dopo le recenti riforme della l. n. 124/2015, anche nella previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, l. n. 241/1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa. Ciò che è precluso a seguito della stipulazione del contratto è soltanto l’esercizio del potere di revoca, ma non anche di quello di annullamento d’ufficio, che, per sua natura, presuppone il riscontro di un vizio di legittimità dell’atto oggetto di annullamento.

Laddove il contenuto dell’atto lesivo non possa essere diverso da quello in concreto adottato, l’apporto collaborativo del privato non sarebbe comunque stato in grado di influire nel processo di formazione del provvedimento finale, con conseguente applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990. Ed invero, l’art. 21-octies, l. 241/1990, deve essere interpretato nel senso di evitare che l’amministrazione sia onerata in giudizio di una prova diabolica, e cioè della dimostrazione che il provvedimento non avrebbe potuto avere contenuto diverso in relazione a tutti i possibili contenuti ipotizzabili; pertanto, si deve porre a carico del privato quanto meno l’onere di allegare gli elementi conoscitivi che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento.

L’omessa comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7, l. n. 241/1990 non inficia la legittimità del provvedimento finale in applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, della medesima legge, laddove l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto esser diverso da quello in concreto adottato.

Contratti pubblici e avvalimento

Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 20 febbraio 2024, n. 115

Contratti pubblici – Avvalimento – Indagine sugli elementi essenziali – Criteri – Contenuti – Accordo integrativo del contratto di avvalimento con la Stazione appaltante – Orientamenti giurisprudenziali – Dichiarazione di impegno

L’indagine in ordine agli elementi essenziali dell’avvalimento c.d. operativo deve essere svolta sulla base delle generali regole sull’ermeneutica contrattuale e, in particolare, secondo i canoni enunciati dal codice civile di interpretazione complessiva e secondo buona fede delle clausole contrattuali (artt. 1363 e 1367 cod. civ.).

Il contratto di avvalimento non deve necessariamente spingersi sino alla rigida quantificazione dei mezzi d’opera, all’esatta indicazione delle qualifiche del personale messo a disposizione, ovvero alla indicazione numerica dello stesso personale, purché l’assetto negoziale consenta l’individuazione delle esatte funzioni che l’impresa ausiliaria andrà a svolgere, direttamente o in ausilio all’impresa ausiliata e i parametri cui rapportare le risorse messe a disposizione; deve, cioè, prevedere, da un lato, la messa a disposizione di personale qualificato, specificando se per la diretta esecuzione del servizio, o per la formazione del personale dipendente dell’impresa ausiliata, dall’altro i criteri per la quantificazione delle risorse e/o dei mezzi forniti.

Nella giurisprudenza amministrativa ricorrono pronunce per le quali il contratto di avvalimento ha efficacia inter partes e, con lo stesso, l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente ausiliato a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto, mentre l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti della stazione appaltante con separata dichiarazione, mediante la quale mette a disposizione, per tutta la durata del contratto, le risorse necessarie di cui è carente il concorrente. Queste pronunce, tuttavia, sono condivisibili per i casi nei quali l’impegno dell’ausiliaria verso l’amministrazione, nel contratto di avvalimento, risulti lacunoso, generico o impreciso. Laddove, invece, l’impegno dell’ausiliaria verso la Stazione appaltante risulti chiaramente già dal contratto di avvalimento è preferibile aderire all’orientamento, anch’esso diffuso in giurisprudenza, per il quale costituirebbe un inutile aggravamento procedimentale richiedere a conferma dell’impegno assunto un atto autonomo e distinto dal contratto di avvalimento diretto personalmente ed autonomamente alla stazione appaltante.

La dichiarazione d’impegno e il contratto di avvalimento costituiscono atti distinti muniti di diversa funzione e la loro distinzione attiene al contenuto e significato (e conseguenti effetti giuridici) degli atti, non anche al supporto materiale (o “corpus physicum”) che li reca: la dichiarazione d’impegno, se provvista dei necessari requisiti e destinata alla stazione appaltante, può ben essere incorporata anche in un supporto coincidente con il contratto di avvalimento; ciò che rileva è l’assunzione delle obbligazioni da parte dell’ausiliaria direttamente nei confronti della stazione appaltante, non già il supporto redazionale che ne racchiude la fonte.

La dichiarazione d’impegno è una promessa unilaterale resa dall’ausiliaria alla stazione appaltante con l’impegno al rispetto delle obbligazioni assunte nel contratto di avvalimento (ed in particolare a non sottrarre le risorse messe a disposizione del concorrente per la durata dell’esecuzione del contratto di appalto). In tale prospettiva, la previsione nell’ambito del contratto (presentato alla stazione appaltante) di una clausola di tale tenore fa sì che si sia in presenza non già di un semplice contratto a favore di terzi, bensì di un negozio plurimo che contiene assieme una convenzione bilaterale fra l’ausiliaria e l’avvalente e una dichiarazione d’impegno unilaterale dell’ausiliaria nei confronti della stazione appaltante, efficace ex art. 1334 Cod. civ., una volta “presentata” ex art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 alla stazione appaltante.

Quando il concorrente ricorre all’avvalimento al fine di conseguire requisiti di cui è carente e, nello strutturare e formulare la propria offerta tecnica, contempla anche le utilità fornite dall’ausiliaria (beni, mezzi, attrezzature, risorse, personale), i termini dell’offerta devono poter essere valutati e apprezzati in quanto tali con l’attribuzione dei relativi punteggi, nella prospettiva di una effettiva messa a disposizione della stazione appaltante all’esito dell’aggiudicazione e dell’affidamento del contratto.

All’Adunanza Plenaria alcune questioni in materia di regolarità contributiva e tributaria

Consiglio di Stato, sez. III, 4 gennaio 2024, n. 161

Procedure ad evidenza pubblica – Regolarità contributiva e tributaria – Verifica e sindacabilità in corso di gara – Obbligo di esclusione

Primo orientamento: Nelle gare pubbliche, le certificazioni relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi preposti, si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni; spetta, infatti, in via esclusiva all’Agenzia delle entrate il compito di dare un giudizio sulla regolarità fiscale dei partecipanti a gara pubblica, non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione circa la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata agli enti previdenziali.

Secondo orientamento: Proprio perché la verifica può avvenire in tutti i momenti della procedura (a tutela dell’interesse costante dell’Amministrazione ad interloquire con operatori in via permanente affidabili, capaci e qualificati), allora in qualsiasi momento della stessa deve ritenersi richiesto il costante possesso dei detti requisiti di ammissione; tanto non in virtù di un astratto e vacuo formalismo procedimentale, quanto piuttosto a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa di presentare un’offerta credibile e dunque della sicurezza per la stazione appaltante dell’instaurazione di un rapporto con un soggetto, che, dalla candidatura in sede di gara fino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale, sia provvisto di tutti i requisiti di ordine generale e tecnico-economico-professionale necessari per contrattare con la P.A. E tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell’esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell’affidabilità del suo interlocutore “operatore economico” (e dunque di poter monitorare stabilmente la perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente ), ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest’ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all’ordinaria diligenza, che gli operatori professionali devono tenere, al fine di poter correttamente insistere e gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti pubblici; il che significa garantire costantemente la qualificazione loro richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica.

Quesiti rimessi all’Adunanza Plenaria:

i) se, fermo restando il principio della insussistenza di un potere della stazione appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni dell’Agenzia delle entrate attestanti l’assenza di irregolarità fiscali a carico dei partecipanti a una gara pubblica, le quali si impongono alla stessa amministrazione, il principio della necessaria continuità del possesso in capo ai concorrenti dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure selettive comporti sempre il dovere di ciascun concorrente di informare tempestivamente la stazione appaltante di qualsiasi irregolarità che dovesse sopravvenire in corso di gara;

ii) se, correlativamente, sussista a carico della stazione appaltante, ferma restando la richiamata regola della sufficienza delle certificazioni rilasciate dalle Autorità competenti, il dovere di estendere la verifica circa l’assenza di irregolarità in capo all’aggiudicatario della procedura in relazione all’intera durata di essa, se del caso attraverso l’acquisizione di certificazioni estese all’intero periodo dalla presentazione dell’offerta fino all’aggiudicazione;

iii) se, in ogni caso e a prescindere dalla sufficienza o meno delle verifiche condotte dalla stazione appaltante, il concorrente che impugni l’aggiudicazione possa dimostrare, e con quali mezzi, che in un qualsiasi momento della procedura di gara l’aggiudicataria ha perso il requisito dell’assenza di irregolarità con il conseguente obbligo dell’amministrazione di escluderlo dalla procedura stessa.

Interdittiva antimafia e cauzione

Consiglio di Stato, sez. III, 12 gennaio 2024, n. 392

Contratti pubblici – Cauzione definitiva – Ipotesi di riscossione – Interdittiva antimafia – Natura giuridica

L’art. 103 del d.lgs. 50 del 2016 impone che sussistano due condizioni al ricorrere delle quali la stazione appaltante è legittimata a riscuotere la cauzione definitiva: che vi sia un inadempimento contrattuale imputabile all’aggiudicatario e che risulti, allo stesso tempo, pregiudizievole per l’Amministrazione.

Nell’ipotesi di risoluzione intervenuta a causa del factum principis costituito dal sopravvenire di un provvedimento pubblicistico interdittivo, la ragione di impedimento opera dall’esterno del contratto, precludendone l’ulteriore corso: l’interdittiva antimafia non rientra tra le cause legittimanti l’escussione della garanzia definitiva previste dal citato art. 103 (cfr. comma 2 nel quale è indicato come la stessa cauzione può essere trattenuta solo qualora l’Amministrazione debba rivalersi per la maggiore spesa sostenuta in ragione dell’inadempimento di controparte ovvero debba provvedere al pagamento di quanto dovuto sempre dall’esecutore in ragione di inosservanze delle regole contrattuali). E, seppure volendo ricondurre l’interdittiva all’inadempimento di cui all’art. 103, deve essere sottolineato come la cauzione definitiva prevista dalla stessa disposizione, che si atteggia come garanzia di adempimento in senso stretto, cioè garanzia reale generica destinata a soddisfare le pretese, anche risarcitorie, vantate anche dalla stazione appaltante per l’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, potrebbe operare nei limiti del pregiudizio effettivamente subito (che dunque va dimostrato).

In definitiva, deve essere esclusa l’escussione della garanzia definitiva in via automatica basata sulla risoluzione per la sopravvenuta interdittiva prefettizia, in modo da attribuire alla stessa una funzione sanzionatoria che risulterebbe estranea all’istituto e tale da configurare l’indebito arricchimento della stazione appaltante.

Più in generale, l’interdittiva antimafia è una misura priva di portata sanzionatoria che prescinde da qualsivoglia colpevolezza dell’impresa colpita, trovando giustificazione in fondamentali esigenze di contrasto preventivo della criminalità organizzata. Tale impostazione, che peraltro assicura la compatibilità dell’eccezionale strumento interdittivo con principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, finirebbe per essere sostanzialmente disattesa laddove si equiparasse automaticamente, ai fini della disciplina sulla cauzione definitiva, il caso dell’inadempimento colpevole dell’appaltatore e quello dell’impossibilità di eseguire la prestazione per il sopraggiungere di un’interdittiva antimafia. In questo modo, infatti, si finirebbe per attribuire alla stessa quella base di colpevolezza che fonda la disciplina sull’inadempimento delle obbligazioni e che dovrebbe, invece, rimanere estranea, per evidenti ragioni di coerenza sistematica, rispetto a una fattispecie che non ha natura sanzionatoria perché non colpisce un illecito (quale, invece, è l’inadempimento delle obbligazioni in senso civilistico), configurandosi quale misura preventiva di contrasto della criminalità organizzata.

Società in house, rapporti con il socio pubblico e convenienza economica dell’affidamento

Tar Lombardia, Milano, sez. I, 30 ottobre 2023, n. 2540

Società in house – Azione contro il socio – Ammissibilità – Controllo analogo – Configurabilità – Affidamento in house – Presupposti di legittimità – Motivazione sulla convenienza economica

Benché le società in house siano o debbano essere caratterizzate da un vincolo così stretto con l’ente di appartenenza che questo esercita un “controllo analogo” quello esercitato sui propri servizi, ciò non vale a dequotare il rapporto tra i due enti ad un rapporto interorganico e quindi non è inammissibile l’azione proposta dalla società in house contro l’ente socio.

Ai fini della configurabilità di un “controllo analogo”, non è necessaria la ricorrenza, in capo ad un socio pubblico, di un potere di controllo individuale del singolo socio affidante sulla società-organo assimilabile a quello, individuale, delineato dai primi due commi dell’art. 2359 c.c. o dall’art. 2383 c.c. con riferimento alla nomina degli amministratori; ciò che è imprescindibile è solo che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati, anche se ottenuto tramite strumenti diversi.

In merito alla possibile valutazione della convenienza economica dell’affidamento in house, rispetto all’alternativa del ricorso al mercato, la giurisprudenza ha ritenuto sufficiente una comparazione tra dati, da svolgersi mettendo a confronto operatori privati operanti nel medesimo territorio attraverso la quale si riesca a dimostrare che il servizio fornito dalla società in house è il più economicamente conveniente ed in grado di garantire la migliore qualità ed efficienza; la verifica della convenienza può effettuarsi anche attraverso la dimostrazione dell’inadeguatezza degli operatori presenti sul mercato a garantire un livello adeguato di efficienza del servizio o comunque attraverso la prova, anche in caso di indisponibilità a reperire un operatore economico che renda il servizio alle stesse condizioni richieste dall’amministrazione affidante nel proprio territorio, di avere effettuato un’indagine di mercato rivolta a comparare la proposta della società in house con un benchmark di riferimento, risultante dalle condizioni praticate da altre società in house operanti nel territorio limitrofo.

La mancanza di una previa indagine di mercato per la verifica di congruità del contratto non inficia l’onere di motivazione rafforzato, con riferimento alle ragioni del mancato ricorso al mercato e alla convenienza dei costi del servizio. Questo perché l’onere di cui trattasi, imposto per evitare l’abuso dell’affidamento diretto, può ritenersi soddisfatto ove l’ente affidante abbia cura di indicare le plausibili e specifiche ragioni preferenziali a sostegno della convenienza globale dello strumento pubblico. Ne deriva un quadro di piena discrezionalità dell’amministrazione nello svolgimento di questo confronto, soprattutto se svolto tra società che sono controllate dal Comune stesso ed hanno con esso una relazione di controllo così stretto da sfiorare la relazione interorganica.

Noleggio di monopattini elettrici e Codice dei contratti pubblici

Consiglio di Stato, sez. V, 3 novembre 2023, n. 9541

Servizio di noleggio di monopattini elettrici – Natura – Attività imprenditoriale – Applicabilità Codice dei contratti pubblici – Limiti al numero operatori

In mancanza di assunzione del servizio da parte dell’amministrazione, presupposto anche dell’eventuale affidamento a terzi, il servizio di noleggio di monopattini elettrici non costituisce servizio pubblico, rientrando, pertanto, tra le attività imprenditoriali svolte da privati tendenzialmente liberalizzate in ossequio alla Direttiva 2006/123/CE sui servizi liberalizzati nel mercato europeo. In questa prospettiva, in quanto servizio rivolto al pubblico indistinto degli utenti, può trovare applicazione l’art. 9, Dir. 2006/123/CE, in base al quale queste attività sono soggette alla previa autorizzazione qualora lo richiedano ragioni imperative d’interesse generale, che possono anche essere rappresentate dalla tutela della sicurezza della circolazione stradale e dalla tutela degli stessi utenti che noleggiano i monopattini elettrici. La conseguenza rilevante è che la procedura mediante la quale il Comune intenda limitare – per i fini di interesse generale cui sopra si è accennato – il numero degli operatori privati abilitati a svolgere il servizio non rientra nell’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, non essendo qualificabile né come affidamento di un appalto di servizi, né come affidamento di una concessione di servizio pubblico.

Pubblica amministrazione e reponsabilità da atto illegittimo

Consiglio di Stato, sez. V, 12 settembre 2023, n. 8294

Contratti pubblici – Appalti – Enti locali – Revoca – Responsabilità da atto illegittimo – Natura aquiliana – Danno risarcibile In termini generali, deve osservarsi che la responsabilità da atto illegittimo va inquadrata nell’ambito della responsabilità aquiliana. Infatti, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ha anche di recente chiarito che la responsabilità in cui incorre l’Amministrazione per l’esercizio delle funzioni pubbliche è inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito. Ciò posto, gli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione sono, sotto il profilo oggettivo, il nesso di causalità materiale e il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo; sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati; occorre allora verificare la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), e successivamente quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa della p.a.); con riferimento alla ingiustizia del danno, deve rilevarsi, altresì, che presupposto essenziale della responsabilità è l’evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall’ordinamento e, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria – anche se non sufficiente – per accedere alla tutela risarcitoria; occorre quindi anche verificare che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole dell’amministrazione pubblica), l’interesse materiale al quale il soggetto aspira; ovvero il risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo. Tale orientamento giurisprudenziale, applicabile in termini generali alla responsabilità aquiliana da riconnettersi all’adozione di un atto illegittimo, va poi coordinato con la giurisprudenza specifica relativa al risarcimento del danno da mancata aggiudicazione e da mancata stipula del contratto a seguito dell’annullamento dell’atto di revoca dell’aggiudicazione.