Ambiente

Abbondono di rifiuti e proprietà dell’area

Tar Toscana, Firenze, sez. II, 12 marzo 2024, n. 285

RSU – Abbandono – Onere accertativo e probatorio della corresponsabilità in capo al Comune – Disponibilità del bene

Ai sensi dell’art. 192, comma 3, D. Lgs. n. 152/2006, il Comune deve provvedere ad uno specifico accertamento dell’eventuale corresponsabilità del proprietario dell’area, volta ad appurare l’infrazione, anche da parte di quest’ultimo, “a titolo di dolo o colpa”.

Tanto è predicabile laddove il proprietario (a parte i casi di connivenza o complicità negli illeciti) si disinteressi del proprio bene e resti inerte, senza affrontare concretamente la situazione o la affronti con misure palesemente inadeguate, omettendo accorgimenti e cautele che l’ordinaria diligenza impone per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area.

Nei casi in cui il proprietario dell’area inquinata non abbia nemmeno la materiale disponibilità del bene interessato dall’abbandono dei rifiuti, è ancor più evidente l’onere dell’Amministrazione di dimostrarne la corresponsabilità, considerato che prima di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati ed il ripristino dello stato dei luoghi, il Comune deve accertare l’elemento soggettivo dolo o colpa in capo al proprietario non responsabile dello sversamento di rifiuti.

Abbandono rifiuti e responsabilità

Tar Sicilia, Catania, sez. I, 26 febbraio 2024, n. 688

RSU – Abbandono – Responsabilità solidale – Elemento soggettivo – Misure di protezione e prevenzione – Art. 192 D. Lgs. n. 152/2006 – Criteri interpretativi

In forza dell’art. 192 TUA, alla rimozione dei rifiuti devono provvedere non solo i responsabili dell’abbandono di rifiuti ma anche “in solido” (e quindi indipendentemente dall’individuazione dei primi) il proprietario e i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. La colpa dei predetti soggetti, in quanto qualificati dal loro rapporto proprietario o di titolarità di diritti reali o personali di godimento rispetto all’area, non può riguardare l’attività altrui, invece dolosa e criminosa, di abbandono dei rifiuti (rispetto alla quale i predetti soggetti non si differenziano dalla generalità dei consociati) e deve, quindi, invece, riguardare la mancanza di un’adeguata cura nella tenuta del terreno del quale hanno la titolarità, o comunque la disponibilità, evidenziata proprio dall’abbandono dei rifiuti.

Il termovalorizzatore di Roma Capitale

Consiglio di Stato, sez. IV, 9 febbraio 2024, n. 1349

Rifiuti – Piano di smaltimento rifiuti di Roma Capitale – VAS – Realizzazione termovalorizzatore – Diritto dell’Unione europea e legislazione degli Stati membri – Principio della gerarchia dei rifiuti – Ratio – Discrezionalità

Abbandono di rifiuti e principio di precauzione

Consiglio di Stato, sez. IV, 2 febbraio 2024, n. 1110

RSU – Abbandono – Responsabilità – Principio di precauzione e di prevenzione – Misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza – Gestione d’affari altrui – Presupposti – Gestione nomine proprio o con spendita del nome – Principio di proporzionalità – Teoria dei tre gradini – Cessione della proprietà del sito – Traslazione dell’obbligo di bonifica – Acque emunte – Classificazione

Le misure di messa in sicurezza di emergenza, così come le misure di prevenzione, non hanno analoga natura sanzionatoria, ma preventiva e cautelare, trovando fondamento nel principio di precauzione e nel correlato principio dell’azione preventiva, e, in quanto tali, possono gravare sul proprietario (o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente) solo perché egli è tale, senza necessità di accertarne il dolo o la colpa.

Il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell’inquinamento (c.d. proprietario incolpevole) e che non sia stato negligente nell’attivarsi con le segnalazioni e le denunce imposte dalla legge, è tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza definitiva, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia su colui al quale – per una sua condotta commissiva od omissiva – sia imputabile l’inquinamento; la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d’ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un’azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito, dopo l’esecuzione degli interventi medesimi.

Ne discende che il proprietario non responsabile dell’inquinamento – nell’accezione prima chiarita – è tenuto, ai sensi dell’ art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152 del 2006 (ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”) e le misure di messa in sicurezza d’emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale.

Tali consolidati principi non possono, nondimeno, trovare applicazione nel caso in cui il proprietario, ancorché non responsabile, ha attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale. In tale caso, infatti, la fonte dell’obbligazione del proprietario incolpevole va rinvenuta nell’istituto della gestione di affari non rappresentativa.

Secondo l’art. 2028 c.c. colui che, scientemente e senza esservi tenuto, assume la gestione di un affare altrui ha l’obbligo di proseguirla fino a quando l’interessato possa provvedervi da sé stesso.

I presupposti necessari perché si configuri una gestione di affari altrui sono tradizionalmente individuati: a) nella c.d. absentia domini, dedotta dall’art. 2028 c.c. allorché fa riferimento ad un dominus che non è in grado di provvedere ai suoi interessi; b) nell’altruità dell’affare, dato l’esplicito riferimento normativo alla gestione di un affare altrui; c) nella spontaneità dell’intervento del gestore che, infatti, ai sensi dell’art. 2028 c.c., deve agire “senza essere obbligato”; d) nella consapevolezza dell’alienità dell’affare, desumibile dall’avverbio “scientemente”. Particolarmente discusso è, poi, il c.d. requisito dell’utiliter coeptum che, data la formulazione dell’art. 2031 c.c., è da una parte della dottrina considerato condicio iuris di efficacia di una fattispecie già strutturalmente perfetta e, da altra parte, ritenuto presupposto dei soli effetti a carico del dominus.

Il requisito della c.d. absentia domini deve essere inteso in senso ampio, in modo da comprendervi il caso in cui l’interessato, pur presente fisicamente nei luoghi ove la gestione è eseguita, non sia comunque in grado di presidiare all’amministrazione dei propri interessi esistenziali. A tal riguardo, non rileva che vi sia una condizione di assoluto impedimento dell’interessato alla gestione dei propri affari, ovvero che sussista una impossibilità materiale rispetto alla cura di questi, ritenendosi soddisfatto l’anzidetto requisito là dove il dominus non abbia manifestato, espressamente o tacitamente, il divieto a che altri si ingerisca nella cura dei propri affari.

Quanto agli effetti della gestione, deve essere distinta la fattispecie in cui il gestore ha agito nomine proprio,da quella in cui spende il nome dell’interessato (art. 2031, comma 1, c.c.). Nel primo caso (c.d. gestione rappresentativa fondata sulla legge e condizionata dal presupposto dell’utiliter coeptum), gli effetti della gestione sono proiettati recta via nella sfera giuridico-patrimoniale dell’interessato, il quale deve pertanto adempiere le obbligazioni assunte in suo nome. Nel secondo caso, valgono le regole in tema di mandato senza procura, di guisa che l’interessato dovrà tenere indenne il gestore delle obbligazioni assunte in nome proprio e rimborsargli le spese necessarie o utili con gli interessi dal giorno in cui sono state fatte. Il gestore è tenuto a continuare la gestione e a completarla finché l’interessato non sia in grado di provvedervi autonomamente (art. 2028, comma 1, c.c.).

Nella negotiorum gestio, si ravvisano i tratti distintivi dell’obbligazione – che nasce per effetto della libera determinazione del gerente – senza obbligo primario di prestazione, da cui discende la eventuale responsabilità ex art. 1218 c.c., quale conseguenza della c.d. mala gestio.

Il principio di proporzionalità, di derivazione europea, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Alla luce di tale principio, nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa una adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, l’esercizio del potere in esame rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi.

Inoltre, il principio di proporzionalità postula un giudizio di valutazione che si articola in tre passaggi successivi, che prevedono l’utilizzo di altrettanti criteri di valutazione (c.d. «teoria dei tre gradini»):

– l’idoneità della decisione a raggiungere lo scopo, intesa come rapporto fra mezzo utilizzato e fine da raggiungere. Secondo questo primo indice di valutazione, la soluzione prospettata dalla pubblica amministrazione dev’essere effettivamente idonea a realizzare gli obiettivi legittimi di interesse pubblico, o la tutela di diritti fondamentali, per come dichiarato dalla stessa amministrazione;

– la sua necessarietà, intesa come inesistenza di alternative più miti per il raggiungimento dello stesso risultato. In base a tale criterio, la scelta amministrativa deve necessariamente ricadere su quella che determini il sacrificio minore per i soggetti che ricevono un pregiudizio dalla decisione: in questo secondo passaggio si ha, dunque, un quid pluris rispetto al primo, consistente nella valutazione delle alternative plausibili per il raggiungimento degli stessi interessi pubblici con misure meno gravose;

– l’adeguatezza o proporzionalità in senso stretto, intesa come tollerabilità della decisione da parte del suo destinatario. In virtù di quest’ultimo indice valutativo, l’amministrazione deve effettuare una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, onde verificare se la misura sia «non eccessiva» rispetto all’obiettivo da perseguire.

La proporzionalità non deve essere considerata come un canone rigido e immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa e come concreto bilanciamento tra interessi potenzialmente antagonisti: il bilanciamento tra interessi potenzialmente incompatibili è una vicenda di allontanamento più o meno intenso da quel nucleo di massima protezione e che dipende dalle relazioni di prevalenza o subordinazione che, all’interno della ponderazione, si stabiliscono con i principi concorrenti.

La cessione della proprietà del sito non determina una vicenda estintiva, né a livello soggettivo, né a livello oggettivo, dell’obbligazione volontariamente assunta, venendo nel caso in esame in rilievo un’obbligazione di fonte legale, discendente da un fatto/atto idoneo, ai sensi dell’art. 1173, a generare la nascita di un’obbligazione in capo al soggetto che ha spontaneamente intrapreso la gestione dell’attività di bonifica. In tale direzione depone anche la considerazione che, anche nel caso di cessione di azienda, l’art. 2560, comma 1, c.c. espressamente dispone che, dopo la cessione, il cedente rimane ex lege titolare degli obblighi (e, più in generale, delle posizioni di responsabilità) rivenienti dalla gestione del ramo di azienda precedente alla cessione.

La fattispecie della traslazione dell’obbligo di bonifica a carico del successore si verifica, invece, nel diverso caso della successione a titolo universale, ovvero quando si sia verificata l’estinzione soggettiva del cedente (si pensi all’incorporazione): in tali ipotesi, la responsabilità per l’inquinamento e, quindi, il connesso dovere di bonifica passano in capo al successore in universum jus.

Il principio di precauzione consiste, come noto, in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica. Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti”. Muovendo da tale preliminare considerazione, è possibile coglierne il principale tratto distintivo rispetto all’idea di “prevenzione”. Mentre, infatti, la prevenzione può entrare in gioco solo a fronte di “rischi certi”, ossia in presenza di rischi scientificamente accertati e dimostrabili, ovverosia in presenza di rischi noti, misurabili e controllabili, la precauzione, al contrario, trova il proprio campo di applicazione allorché un determinato rischio risulti ancora caratterizzato da margini più o meno ampi di incertezza scientifica circa le sue cause o i suoi effetti.

Il fondamento concettuale della logica precauzionale può essere ricondotto al principio del cosiddetto maximin, in base al quale, quando si tratta di assumere una decisione in condizioni di incertezza, le scelte devono essere valutate tenendo conto del peggior scenario possibile in termini di possibili conseguenze.

Ne discende che, in nome dell’idea di precauzione, l’intervento preventivo non può attendere l’inconfutabile prova scientifica degli effetti dannosi, ma deve essere predisposto sulla base di attendibili valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecniche “attualmente” e “progressivamente” disponibili.

Le acque emunte, di regola, devono essere ricondotte all’interno della categoria dei rifiuti liquidi, non potendosi in linea di principio ritenere che la norma di cui all’art. 243, d.lgs. 152/06, consenta una equiparazione tout court tra le acque di falda emunte nell’ambito di interventi di bonifica di siti inquinati e le acque reflue industriali. L’individuazione del regime normativo concretamente applicabile non può non tenere conto della particolare natura dell’oggetto dell’attività posta in essere.

Vincoli di inedificabilità

Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sez. giurisdizionale, 25 gennaio 2024, n. 70

Intervento di nuova costruzione – Vincolo di inedificabilità a ridosso della battigia – Tutela del paesaggio – Sanzione pecuniaria alternativa

Le esigenze di urbanizzazione non possono superare le prerogative legate alla tutela del paesaggio, come evidenziato anche dal principio di prevalenza del piano paesaggistico sugli altri strumenti di pianificazione urbanistica, sancito dall’art. 146, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, che costituisce espressione della cura esclusiva, che spetta allo Stato, degli interessi paesaggistici e ambientali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.: in altri termini, non può ammettersi che la reiterata violazione di un precetto, specie di diritto pubblico, valga quale motivo di superamento del medesimo, che, altrimenti, la forza cogente delle prescrizioni di diritto pubblico sarebbe affidata alla volontà dei destinatari del precetto. Infatti, ciò comporterebbe, oltre a un vulnus alla forza cogente dell’attività amministrativa, una irragionevole violazione del principio di uguaglianza, determinando un atteggiamento più indulgente nelle zone a più alta attività illecita, e quindi colpite da una più incisiva lesione dell’interesse sotteso alla regola violata, rispetto alle aree caratterizzate da sporadiche violazioni.

L’applicazione della sanzione pecuniaria in sostituzione di quella demolitoria costituisce una possibilità applicabile solo agli abusi meno gravi riferibili all’ipotesi della parziale difformità dal titolo abilitativo (in ragion del minor pregiudizio causato all’interesse urbanistico) e dell’annullamento del permesso di costruire; viceversa, con riferimento alle ipotesi di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, la sanzione della demolizione e della riduzione in pristino rimane l’unica applicabile, quale strumento per garantire l’equilibrio urbanistico violato.

Quando un manufatto è stato interamente realizzato in mancanza del titolo abilitativo e non rientra quindi nell’ambito applicativo dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, anche in ragione del fatto che si tratta una categoria residuale, il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, come si desume, in negativo, dall’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001.

Rifiuti abbandonati e responsabilità dei proprietari e concessionari delle aree

Tar Lazio, Roma, sez. II stralcio, 29 gennaio 2024, n. 1752

RSU – Sversamento sul suolo e abbandono – Responsabilità – Diritto personale di godimento sul bene pubblico – Condotte colpose – Dovere di bonifica

In materia ambientale e di gestione dei rifiuti, il requisito della colpa postulato dall’art. 192 del D.lgs. n. 152/2006 consiste, oltre che nella commissione di condotte positivamente orientate all’abbandono dei rifiuti, anche nell’omissione di quei doverosi controlli che potrebbero distogliere o impedire che terzi soggetti compiano le condotte sanzionate dalla norma, tra cui quelle di deposito incontrollato e di abbandono di rifiuti.

Può essere chiamato in causa al fine della bonifica dell’area invasa dai rifiuti non solo il proprietario, ma anche il concessionario e, dunque, il titolare di un diritto personale di godimento del suolo in cui sono stati versati rifiuti richiedenti la bonifica del suolo.

La responsabilità del concessionario di un bene pubblico, a titolo di colpa, discende dal non aver custodito adeguatamente il bene pubblico concesso in uso, in violazione dei doveri su di questi gravanti e dal non aver vigilato, oltre che sulle altre attività illecite svolte in loco, sullo sversamento di rifiuti sul suolo.

Abbandono di rifiuti

Tar Sicilia, Catania, sez. II, 12 luglio 2023, n. 2180

RSU – Abbandono – Responsabilità – Obbligo di vigilanza – Recinzione

La responsabilità del proprietario ai sensi dell’art. 192 del decreto legislativo n. 152/2006 non può riguardare l’attività altrui, dolosa e criminosa, di abbandono dei rifiuti e deve, invece, riguardare la mancanza di un’adeguata cura nella tenuta del terreno del quale ha la titolarità o comunque la disponibilità. Tuttavia, l’omessa recinzione del suolo non costituisce ex se un indice di negligenza nella vigilanza sul fondo da parte del proprietario, essendo oltre tutto le recinzioni scarsamente dissuasive in determinati contesti. Ai sensi dell’art. 841 c.c., inoltre, la chiusura del fondo è una facoltà e la scelta di non fruirne non può tradursi in un fatto colposo (art. 1127, comma primo, c.c.) ovvero nella violazione di un onere di ordinaria diligenza (art. 1227, comma secondo, c.c.). A maggior ragione, ciò vale per la mancata implementazione di un sistema di video-sorveglianza, connotato da alti costi di acquisto e manutenzione.

Classificazione acustica

Consiglio di Stato, sez. V, 3 luglio 2023, n. 6451

Pianificazione – Classificazione acustica – Zonizzazione – Sindacato giurisdizionale – Limiti  

L’onere della classificazione acustica del territorio spetta ex lege ai Comuni, che esprimono una funzione lato sensu pianificatoria, inserita in un nucleo particolarmente ampio di discrezionalità amministrativa, sicché l’ambito del sindacato giurisdizionale del Giudice amministrativo si presenta ristretto e sostanzialmente limitato ad un riscontro ab externo del rispetto dei canoni di logicità formale.

Il sindacato giurisdizionale sul piano di classificazione acustica, come per gli altri atti di pianificazione del territorio, incontra necessariamente precisi limiti al fine di non impingere nel merito delle scelte discrezionali adottate dalla Amministrazione; tale sindacato è ammesso, infatti, nei soli casi di gravi illogicità, irrazionalità ovvero travisamenti sintomatici della sussistenza del vizio di eccesso di potere.

RSU

Tar Campania, Salerno, sez. III, 3 luglio 2023, n. 1611

RSU – Gestione – Potere di intervento ordinario ed extra ordinem – Accertamento responsabilità

Fra le attività di gestione di rifiuti urbani di competenza comunale non sono riconducibili le attività di rimozione e raccolta di altre species di rifiuti, quali i detriti presenti nelle aste torrenziali.

Il d.lgs. n. 152 del 2006, prevedendo un ordinario potere d’intervento attribuito all’Autorità amministrativa in caso di accertato abbandono o deposito incontrollato di rifiuti e rappresentando, quindi, una specifica norma di settore, non esclude a priori la possibilità per l’ente di far uso, per garantire la rimozione dei rifiuti, del potere extra ordinem, proprio delle ordinanze contingibili ed urgenti. Invero, diversa è la funzione dei due atti, il primo, sanzionatorio, con accertamento in contraddittorio della responsabilità a titolo di dolo o colpa, il secondo, meramente ripristinatorio, in via d’urgenza.

Ai fini dell’emanazione delle ordinanze contingibili ed urgenti da parte del Sindaco, ex art. 54, T.U.E.L., volte a prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini, stante l’indispensabile celerità che caratterizza l’intervento, si può prescindere dalla verifica della responsabilità di un determinato evento dannoso provocato dal privato interessato.

RSU – Principio del “chi inquina paga”

Tar Campania, Salerno, sez. III, 15 giugno 2023, n. 1400

RSU – Ordinanza di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi – Illegittimità – Principio del “chi inquina paga”

Della condotta vietata di abbandono e deposito di rifiuti sui fondi risponde, in solido con l’autore materiale, anche il proprietario dell’area, o il titolare di diritto reale o personale di godimento, al quale l’azione sia addebitabile a titolo di dolo o colpa; è onere dell’amministrazione accertare la condotta asseritamente colposa.

È illegittima l’ordinanza di bonifica emessa unicamente sul rilievo dell’appartenenza del bene interessato: la ricerca di un necessario criterio di imputazione della responsabilità in capo al proprietario del fondo, che vada al di là della mera titolarità giuridica del bene, è in linea col principio di derivazione comunitaria secondo cui “chi inquina paga”.