Ambiente

La valutazione d’impatto “postuma”

Tar Campania, Napoli, sez. V, 7 aprile 2025, n. 2861

Ambiente – Intervento di trasformazione – Valutazione di impatto ambientale – Presupposti – Effetti – Stato dei luoghi – Rappresentazione – Valutazione dell’amministrazione – VIA postuma – Nozione – VIA postuma patologica e fisiologica – Caratteri – Carenza titoli edilizi – Non sanabilità

La valutazione di impatto ambientale presuppone la fedele rappresentazione da parte del richiedente che fotografi lo stato dei luoghi prima della progettata trasformazione, al fine di consentire all’amministrazione di valutare adeguatamente gli effetti significativi derivanti dalla realizzazione e dall’esercizio del progetto sui fattori ambientali.

In materia di valutazione di impatto ambientale “postuma” di cui all’articolo 29, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, può distinguersi tra v.i.a. postuma “patologica” e v.i.a. postuma “fisiologica”: la prima riguarda i casi di realizzazione di un progetto senza la previa valutazione ambientale, pur essendo questa prescritta dalla legge applicabile ratione temporis, la seconda attiene, viceversa, ai casi in cui il progetto è stato realizzato nella vigenza di un contesto normativo che non imponeva lo svolgimento della v.i.a. che, tuttavia, è poi richiesta in caso di modifica dell’opera o di rinnovo del relativo titolo autorizzativo.

La valutazione di impatto ambientale “postuma” di cui all’articolo 29, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 consente di portare a conclusione una fase già avviata, realizzando il bilanciamento di interessi rispetto a quella parte dell’intervento che ha già determinato una modifica sull’ambiente: esso non può trovare applicazione in caso di inizio di nuove attività.

L’istituto della valutazione di impatto ambientale “postuma” di cui all’articolo 29, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 non può sanare la carenza dei titoli abilitativi eventualmente necessari per la realizzazione di un progetto, in quanto non assegna all’amministrazione preposta alla tutela dell’ambiente alcun potere di sostituzione delle autorizzazioni che siano di competenza di altre amministrazioni.

Abbandono di rifiuti e danno all’immagine

Tar Campania, Napoli, sez. V, 24 marzo 2025, n. 2502

RSU – Abbandono – Ordinanza di rimozione ex art. 192 cod. amb. – Danno all’immagine – Responsabilità civile – Danno conseguenza – Onere probatorio – Diritto di cronaca

Non può essere accolta la domanda di risarcimento dei danni connessa al presunto danno all’immagine conseguente alla adozione di una ordinanza di rimozione dei rifiuti ex art. 192 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) qualora l’articolo di stampa si limiti a riportare il contenuto del provvedimento impugnato e non risultino violati i parametri elaborati dalla giurisprudenza in materia di diritto di cronaca, quali la rilevanza sociale dell’argomento, l’informazione rispondente alla verità obiettiva, l’uso di espressioni corrette in relazione ai correnti livelli di decenza espressiva.

Non può essere accolta la domanda di risarcimento dei danni connessa al presunto danno non patrimoniale all’immagine conseguente alla adozione di una ordinanza di rimozione dei rifiuti ex art. 192 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) qualora il danneggiato non fornisca la prova del presupposto rappresentato dal “danno-conseguenza”, che non può essere superata invocando la liquidazione equitativa del quantum risarcitorio, trattandosi di uno degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità amministrativa da illecito civile ex artt. 2043 del codice civile.

Impianti eolici e autorizzazione unica ambientale

Consiglio di Stato, sezione IV, 5 marzo 2025, n. 1877

Realizzazione ed esercizio di un impianto eolico – Autorizzazione unica ambientale – Illegittimità – Onere istruttorio e motivazionale rafforzato

È illegittimo il provvedimento di autorizzazione unica ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 qualora non siano state esplicitate le ragioni per le quali i pareri contrari della Soprintendenza e dell’unione dei comuni in ordine alla tutela del paesaggio e alla conformità agli strumenti di pianificazione siano stati ritenuti recessivi rispetto ai pareri di altre amministrazioni preposte alla tutela di interessi più settoriali che esprimono le proprie determinazioni da un angolo prospettico meno ampio rispetto alla tipologia di opera.

La previsione contenuta nell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 secondo cui l’autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico, non toglie rilevanza agli oneri di fornire una motivazione adeguata e di effettuare una istruttoria completa nel caso in cui siano state formalizzate, in conferenza di servizi e/o con appositi atti, argomentate obiezioni da parte delle amministrazioni locali, nel senso della non conformità del progetto da autorizzare agli strumenti urbanistici di pianificazione.

Inquinamento e responsabilità degli amministratori di società

Consiglio di Stato, sez. IV, 5 marzo 2025, n 1882

Doveri in materia ambientale contro il rischio di inquinamento – Obbligo di messa in sicurezza – Abbandono di rifiuti – Misure di ripristino – Persone fisiche e giuridiche – Srl – Rapporto di immedesimazione organica – Responsabilità degli amministratori – Solidarietà – Nesso di causalità – Onere probatorio rafforzato – Abuso della personalità giuridica

In linea di principio, non può ammettersi un’estensione automatica dei doveri in materia ambientale gravanti sulla persona giuridica anche alle persone fisiche che in essa hanno rivestito e svolto funzioni decisorie di amministrazione. In virtù del rapporto di immedesimazione organica, che lega l’amministratore di una società di capitali, avente autonoma personalità giuridica, alla medesima società, il destinatario dell’obbligo di messa in sicurezza va individuato nell’ente medesimo, salvo che l’amministratore abbia agito di propria ed esclusiva iniziativa ed in contrasto con gli interessi della società, ovvero abbia contribuito con il proprio anomalo comportamento ad aggravare (o male prevenire) il rischio di inquinamento, agendo quale inquinatore diretto.

Nelle società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio ai sensi dell’art. 2462 c.c. Pertanto, l’esistenza di un mero rapporto di immedesimazione organica, che lega gli amministratori alla società, e che consente alla seconda di operare nel mondo giuridico attraverso i primi, non può implicare, in via automatica, una concorrente responsabilità degli amministratori per tutti gli illeciti posti in essere dalla società, pena il dissolvimento stesso del particolare regime di separazione patrimoniale in cui il concetto stesso di persona giuridica si risolve. Pertanto in linea generale la legittimazione passiva relativamente alle misure di ripristino in materia ambientale, salva la ricorrenza di ipotesi eccezionali, grava sulla società e non sugli amministratori.

Anche con riferimento ai doveri ambientali, affinché si possa ipotizzare una concorrente responsabilità degli amministratori della società proprietaria del sito, l’amministrazione pubblica deve compiere uno sforzo probatorio aggiuntivo e ulteriore, diretto a dimostrare che la condotta delle persone fisiche amministratrici abbia aggiunto un sovrappiù di efficienza causale, tale da aggravare (o male prevenire) il rischio di inquinamento, oltre che l’imputabilità di tale anomalo contegno quanto meno alla colpa del singolo amministratore.

La circostanza che in materia ambientale la responsabilità gravi sulla società di capitali e non sugli amministratori si evince anche dall’art. 192, comma 4, decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, (c.d. t.u. ambiente) che, pur nel quadro della diversa fattispecie relativa al divieto di abbandono di rifiuti, dopo aver disciplinato al comma 3 gli obblighi di rimozione e di ripristino a carico del soggetto responsabile, prende espressamente in considerazione la posizione degli amministratori di persone giuridiche, responsabili dell’abbandono, e della società, prevedendo la correlativa responsabilità solidale, rinviando alle previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni. Detto disposto si riferisce infatti a comportamenti, per così dire, ultra vires degli amministratori, rispetto ai quali non opera il normale regime dell’immedesimazione organica, come evincibile dal fatto che il legislatore è dovuto intervenire con una disposizione espressa al fine di estendere, in via solidale, anche alla persona giuridica le conseguenze patrimoniali delle condotte degli amministratori.

In caso di inosservanza dell’obblighi relativi alla gestione dei rifiuti, la società risponde sotto il profilo patrimoniale, mentre, solo con riferimento alla responsabilità penale (rispetto al quale ovviamente viene in rilievo il principio della personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost.) essa grava su colui che ha poteri di gestione dell’ente al momento consumativo del reato. A ciò fa eccezione il caso di macroscopico uso distorto dello schema societario che, con riferimento ai soci, prende, come è noto, il nome di “abuso dello schermo della personalità giuridica”.

Anche in materia ambientale è configurabile la responsabilità degli amministratori laddove si sia in presenza di un “abuso della personalità giuridica” (c.d.“piercing the corporale veil” ossia “perforamento del velo societario”), che implica l’abuso dei diritti nascenti dalle norme (rectius del regime normativo) che la legge riassume nel concetto di persona giuridica. Infatti, il rimedio contro gli abusi della personalità giuridica va identificato nel superamento da parte del giudice dello schermo della personalità giuridica, con l’imputazione degli atti o delle condotte illecite direttamente a coloro che si sono avvalsi strumentalmente di tale istituto.

Ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p., applicabili sia pure con alcuni adattamenti relativi allo standard probatorio, all’accertamento del rapporto di causalità relativo all’illecito civile e all’illecito ambientale, il subentrare di una successiva posizione di garanzia elide la rilevanza causale del precedente contributo solo quando integra una condotta di per sé idonea a provocare l’evento, mentre nei casi di illecito permanente in materia ambientale ricorre un unico evento di danno che ciascun soggetto garante, con la propria condotta inerte, concorre ad aggravare e per il quale, dunque, in base all’art. 2055, c.c. dovrà essere chiamato a risponderne. Una interruzione del nesso causale è, di contro, configurabile solo quando la condotta successiva crea un rischio nuovo e molto diverso rispetto a quello originario attivato dalla condotta iniziale del primo garante.

Gestione dei rifiuti e principio della responsabilità condivisa

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 10 febbraio 2025, n. 293

RSU – Gestione dello smaltimento – Principio della responsabilità condivisa fra i soggetti coinvolti in produzione, detenzione, trasporto e smaltimento – Posizione di garanzia – Esclusione di responsabilità – Requisito della continuità temporale – Responsabilità per abbandono e deposito incontrollati – Rapporti con la sentenza penale di proscioglimento per intervenuta prescrizione

In materia ambientale, in ragione delle prescrizioni di cui al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, vige il principio della responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti. Da esso discende il corollario secondo cui la corretta gestione dei medesimi grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, essendo detti soggetti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi. Ne segue che l’esclusione di responsabilità presuppone che il produttore sia in possesso del formulario di cui all’art. 193 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 controfirmato e datato dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore. Il requisito della continuità temporale ai fini dell’applicazione della scriminante in esame non può dirsi soddisfatto dalla produzione in giudizio da parte del produttore di un contratto stipulato per dare copertura a frazioni temporali pregresse in quanto detto titolo non è inidoneo ad assicurare le finalità di cui all’art. 188, comma 4, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e s.m.i. e a rispettare quanto prescritto dal successivo art. 193.

Il Sindaco del Comune può trarre elementi idonei ad accertare la responsabilità per l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 dalla sentenza penale che dichiari l’improcedibilità dell’azione per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’art. 425 c.p.p. Nell’ambito della generale categoria delle “sentenze di proscioglimento”, il codice di procedura penale pone, infatti, una fondamentale distinzione tra sentenza di non luogo a procedere, o di proscioglimento anticipato, e sentenza di assoluzione. La sentenza che dichiari l’improcedibilità dell’azione penale per intervenuta prescrizione ai sensi dell’art. 425 c.p.p. contiene una formula procedurale che prevale su quella assolutoria di merito solo perché non è stata raggiunta la dimostrazione dell’evidenza della prova di circostanze che escludessero la colpevolezza degli imputati.

Ciclo integrato dei rifiuti e integrazione verticale

Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 18 febbraio 2025, n. 140

RSU – Piano di smaltimento – Gestione integrata in senso verticale in unico lotto funzionale – Onere istruttorio e motivazionale rafforzato – Principio di proporzionalità – Salvaguardia della libera concorrenza

Il Comune può, nell’ambito della propria discrezionalità, optare per una gestione dei rifiuti integrata in senso verticale, affidando congiuntamente il servizio a monte di spazzamento, raccolta e traporto, ed il servizio a valle di recupero e smaltimento, anziché prevedere due distinti lotti funzionali, con ciascuna tipologia di servizio. Questa scelta di prevedere un unico lotto funzionale, anziché due distinti, deve essere frutto di un’adeguata istruttoria, deve essere supportata da un’idonea motivazione e deve essere proporzionata agli scopi perseguiti, com’è necessario in ogni caso in cui una stazione appaltante opti per un unico lotto anziché per lotti frazionati. L’onere istruttorio e motivazionale nonché il vincolo derivante dal rispetto dal principio di proporzionalità, sono ancora più stringenti quando la scelta di articolare la gara in un unico lotto abbia ad oggetto il servizio di gestione dei rifiuti, e l’unico lotto accorpa in sé il servizio a monte di spazzamento, raccolta e trasporto, e il servizio a valle di recupero e smaltimento, in un’ottica di gestione integrata verticale, poiché una tale scelta può determinare significativi effetti distorsivi della concorrenza.

Provvedimento autorizzatorio unico regionale e conferenza di servizi

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 febbraio 2025, n. 1071

Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (P.A.U.R.) – Ratio – Procedimento – Proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area interessata dall’intervento nelle more del rilascio del P.A.U.R. – Principio di “doppia conformità” strumentale

Il procedimento scandito dall’art. 27-bis del decreto legislativo  3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), ha  ad oggetto il rilascio di tutte le autorizzazioni necessarie non solo alla realizzazione, bensì anche all’esercizio del progetto stesso, configurando pertanto un procedimento “unico” che permette al proponente di ottenere il provvedimento finale che gli consenta, a seguito della sua adozione, di realizzare il progetto e porre in esercizio l’opera senza dover acquisire più alcun ulteriore titolo. Il P.A.U.R. peraltro non comporta un assorbimento dei singoli titoli autorizzatori necessari alla realizzazione dell’opera e non sostituisce i diversi provvedimenti, emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, che mantengono la loro autonomia formale, bensì li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di servizi.

La circostanza che sia conclusa la conferenza di servizi ex art. 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), con il rilascio della V.I.A., non comporta il rilascio del P.A.U.R. Infatti, affinché la conferenza di servizi possa valere come provvedimento autorizzatorio unico regionale, deve concludersi con una determinazione motivata che deve recare in allegato non solo la relazione finale della conferenza di servizi e il provvedimento di V.I.A. ma anche   le autorizzazioni e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto. Pertanto, ove nelle more del rilascio del P.A.U.R., comprensivo dell’A.I.A., sia intervenuta una proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area interessata dall’intervento, devono applicarsi le misure di salvaguardia di cui all’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio), con conseguente immodificabilità dell’area oggetto di protezione, ai sensi dell’art. 146, comma 1 del citato decreto legislativo. Pertanto, a decorrere dalla data di adozione della proposta, e fino all’emanazione dell’eventuale decreto, l’amministrazione è obbligata a sospendere ogni determinazione in ordine ai progetti che risultino in contrasto con le relative previsioni, operando immediatamente il principio di “doppia conformità” strumentale, dovendo ogni intervento risultare conforme agli strumenti vigenti e alle previsioni medio tempore adottate.

Impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti e autorizzazione unica ambientale

Tar Campania, Napoli, sez. V, 30 gennaio 2025, n. 812

RSU – Installazione di nuovi impianti di smaltimento e recupero – Autorizzazione unica ambientale – Conferenza di servizi – Pareri discordanti – Bilanciamento – Onere motivazionale – Legittimazione al ricorso – Concessione di acque minerali – Requisito della vicinitas

È illegittimo il provvedimento di autorizzazione unica di cui all’art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) per nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti qualora difetti ogni riferimento ai contenuti dei pareri negativi resi dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi di cui al comma 3 e non siano spiegate le ragioni della prevalenza riconosciuta ai pareri favorevoli. Difatti, in presenza di pareri discordanti resi nella conferenza di servizi, l’amministrazione procedente è tenuta ad operare il bilanciamento tra quelli negativi e quelli positivi, stabilendo a quali dare la prevalenza, fermo restando che, in caso di rilascio dell’autorizzazione, la prevalenza dei pareri favorevoli può considerarsi in re ipsa solo se, in sede di valutazione dei pareri negativi, le ragioni poste a fondamento di tali pareri risultino non fondate.

In caso di impugnazione dell’autorizzazione unica per nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti ai sensi dell’art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), sussiste la legittimazione al ricorso degli enti partecipanti alla conferenza di servizi titolari di interessi sensibili, tra cui rientrano quelli in materia urbanistico – paesaggistica, che abbiano espresso formale e motivato dissenso rispetto alla determinazione finale.

La legittimazione ad agire degli enti partecipanti alla conferenza di servizi nel procedimento di autorizzazione unica di cui all’art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) per nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti non è esclusa dalla mancata opposizione espressa nella conferenza di servizi ai sensi dell’articolo 14 quinquies, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto il mancato esercizio di questa facoltà non preclude la tutela giurisdizionale.

La realizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti speciali in posizione prossima a una concessione di acque minerali può determinare una lesione degli interessi del titolare di essa, quantomeno sotto il profilo dell’immagine e della reputazione dell’operatore economico, ravvisandosi in tale ipotesi sia la legittimazione al ricorso in ragione della vicinitas, sia l’interesse a ricorrere correlato ad uno specifico pregiudizio che può essere desunto dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso.

I rifiuti da fanghi derivanti dal trattamento di acque reflue

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 febbraio 2025, n. 1064

RSU – Nozione – Fanghi derivanti dal trattamento di acque reflue

I fanghi prodotti nell’ambito dell’attività di depurazione dei reflui possono essere sottoposti alla disciplina dei rifiuti solo una volta completato il processo di trattamento, ovvero se il produttore abbia necessità di disfarsene, sì che il recupero dei fanghi presso impianti di depurazione più grandi e avanzati deve ritenersi consentito.

La nozione di rifiuto è definita dall’art. 183, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale stabilisce che come tale deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi; la definizione fornita da tale norma si basa sul dato funzionale, con la conseguenza che, per stabilire se una determinata sostanza o un determinato oggetto siano da considerare rifiuto, non occorre individuarne gli elementi intrinseci che ne determinano la qualificazione, ma occorre piuttosto far riferimento appunto alla sua funzione, essendo rifiuto tutto ciò da cui il detentore non tragga alcuna utilità e di cui, quindi, si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo; si deve pertanto ritenere, in tale quadro, che un bene o una sostanza (soprattutto se privi di apprezzabile valore economico) debbano essere considerati rifiuto non solo quando questi vengano abbandonati dal detentore, ma anche quando questi li depositi nell’ambiente assegnando ad essi una funzione che non è loro propria senza ricavarne alcuna apprezzabile utilità all’evidente fine quindi di sottrarsi dall’obbligo di recupero o smaltimento.

La Corte di Giustizia UE ha poi precisato che l’espressione “disfarsi” (utilizzata anche nella definizione di “rifiuto” fornita dalla direttiva 2006/12/CE) deve essere intesa in senso non restrittivo dovendosi tener conto dell’obiettivo di tale direttiva che, ai sensi del suo considerando 2, consiste nella tutela della salute umana e dell’ambiente (cfr. Corte di Giustizia UE, sez. I, 12 dicembre 2013, cause riunite C-241/12 e C-242/12, par 38). Rilevante nella ricostruzione del quadro normativo è l’art. 127 del d.lgs. n.152 del 2006 (Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue), secondo cui “i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”. L’espressione “comunque solo” è stata inserita dall’articolo 9, comma 1, del d.l. del 14 aprile 2023, n. 39, convertito con modificazioni dalla legge 13 giugno 2023, n. 68, e rafforza sostanzialmente quanto poteva già desumersi prima del citato intervento normativo ovvero che la qualifica di rifiuto può essere attribuita ai fanghi solo al termine del complessivo processo di trattamento.

Autorizzazione integrata ambientale, conferenza dei servizi e legittimazione dei Comuni

Consiglio di Stato, sez. VI, 13 gennaio 2025, n. 215

AIA – Conferenza di servizi – Interessi rilevanti – Legittimazione alla partecipazione – Comune

L’art. 29 quater del D. L.vo n. 152/2006 impone, all’autorità procedente, di invitare alla conferenza di servizi solo i soggetti titolari di competenze in materia ambientale e il Comune non rientra tra queste ultime.

La partecipazione al procedimento ed alla conferenza di servizi per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale è prevista esclusivamente nei confronti dei soggetti direttamente interessati al provvedimento da emanare; gli altri soggetti istituzionali o meno, che non hanno un interesse diretto nel procedimento in corso, possono essere facoltativamente invitati, senza che gli stessi possano incidere sulle decisioni da trattare.

Nell’ambito di una conferenza di servizi per il rilascio di un’autorizzazione integrata ambientale (a.i.a.), avente a oggetto un impianto già esistente per il trattamento di rifiuti pericolosi e per la rigenerazione di olii usati, in un caso nel quale le Amministrazioni istituzionalmente preposte alla tutela della salute hanno espresso parere positivo al rilascio del suddetto titolo, per di più basato su una articolata e adeguata motivazione, non sussiste prevalenza del parere contrario del Comune, le cui contestazioni poggiano, peraltro, su motivazioni di carattere sostanzialmente urbanistico, in quanto trattasi di Amministrazione non specificamente preposta alla tutela di interessi paesistico-ambientali o della salute (con possibile devoluzione del caso alla Presidenza del Consiglio): la conferenza di servizi, infatti, è retta da un criterio maggioritario e, comunque, non conosce poteri di veto in capo alle singole Amministrazioni partecipanti.