Procedimenti e regimi amministrativi

La revoca di un assessore comunale

Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 18 novembre 2024, n. 3145

Organi comunali – Competenze – Procedimento di revoca di un assessore – Discrezionalità – Presupposti – Onere motivazionale – Comunicazione di avvio del procedimento – Omissione – Legittimità

La valutazione degli interessi coinvolti nel procedimento di revoca di un assessore è rimessa in via esclusiva al titolare politico dell’amministrazione, connotandosi come scelta ampiamente discrezionale, ferma peraltro la valutazione dell’organo consiliare, cui deve esserne data comunicazione ai sensi dell’art. 46, comma 4, del t.u.e.l. (e che potrebbe eventualmente opporsi con il rimedio della mozione di sfiducia motivata ai sensi dell’art. 52, comma 2, dello stesso corpus legislativo).

La revoca non presuppone la contestazione di addebiti (riguardando tale onere la bene differente materia disciplinare e, più in generale, sanzionatoria), ma soltanto un’adeguata motivazione, volta ad escludere il rischio dell’esercizio arbitrario (id est, non volto alla cura degli interessi della comunità locale) del potere.

Le esigenze di corretto funzionamento dell’amministrazione, ove adeguatamente motivate, potrebbero di per sé portare alla revoca dell’assessore.

La revoca dell’incarico di assessore comunale è esente dalla previa comunicazione dell’avvio del procedimento in considerazione del fatto che, in un contesto normativo nel quale la valutazione degli interessi coinvolti è rimessa in modo esclusivo al Sindaco, cui compete in via autonoma la scelta e la responsabilità della compagine di cui avvalersi per l’Amministrazione del Comune nell’interesse della comunità locale, con sottoposizione del merito del relativo operato unicamente alla valutazione del consiglio comunale, non c’è spazio logico, prima ancora che normativo per concepire l’esistenza dell’istituto partecipativo di cui all’art. 7 L. 241/1990.

Inoltre, poiché il procedimento in esame è semplificato al massimo per consentire un’immediata soluzione della crisi intervenuta nell’ambito del governo locale, l’interposizione della comunicazione dell’avvio del procedimento osterebbe a tale finalità e, dunque, può legittimamente essere omessa.

Sicurezza dei centri urbani e poteri sanzionatori sindacali

Consiglio di Stato, sez. VI, 2 dicembre 2024, n. 9615

Sicurezza del centro urbano – Coordinamento organi statali-Enti locali – Pubblici esercizi – Quiete urbana – Potere sanzionatorio del sindaco – Presupposti – Delegabilità – Principi di proporzionalità e adeguatezza della sanzione

Nella cornice normativa di nuovo conio tracciata in materia di sicurezza integrata dal d. l. 20 febbraio 2017, n. 14 (convertito dalla l. 18 aprile 2017, n. 48), l’art. 47 l. p. 58/1988 concorre, unitamente all’omologo istituto statale di cui all’art. 100 del T.U.L.P.S., “alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali”.

In vista di tutelare la sicurezza sul territorio – più precisamente del centro urbano –, cui obbedisce la recente normativa di settore, si riproduce un modello di coordinamento/intesa degli organi dello Stato con l’ente locale comunale.

Inoltre, la norma provinciale richiamata è parte della disciplina complessiva dei pubblici esercizi della Provincia di Bolzano, volta a garantire la quiete pubblica all’interno dei locali, con l’onere di allontanare le persone che compromettono il normale esercizio dell’attività di somministrazione, e di richiedere, ove necessario, anche l’intervento degli organi di polizia.

Il bene giuridico tutelato dalla norma provinciale – riferito all’ordine e alla morale genericamente intesa – è eterogeneo rispetto a quello salvaguardato dal potere di prevenzione dei reati di cui all’art. 100 del Regio decreto 16 giugno 1931, n. 773; coerentemente il potere sanzionatorio esercitato dal sindaco ha ad oggetto comportamenti lesivi della quiete pubblica, non omologabile concettualmente, ancor prima che giuridicamente, alla sicurezza e all’ordine pubblico nell’accezione tecnica che li connota.

La norma (cfr. art. 47, comma 3, l.p. cit.) testualmente prevede che “…il sindaco può sospendere la licenza di esercizio fino a un massimo di tre mesi, oppure anticipare, in casi meno gravi o di reiterato o indebito disturbo del vicinato a causa dell’attività dell’esercizio stesso, l’orario di chiusura. Qualora i fatti che hanno determinato la sospensione si ripetano, può revocare la licenza di esercizio”.

Il sindaco, quindi, è titolare ope legis del potere di cui si discute, il quale può essere esercitato dall’assessore, ove legittimamente delegato.

Quanto all’adozione del provvedimento di sospensione, va precisato che non sono necessariamente richiesti tumulti o gravi disordini, essendo sufficiente che il pubblico esercizio sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o costituisca, comunque, un pericolo per l’ordine, la moralità o la sicurezza pubblica.

La gradazione della sanzione deve tenere conto dei fatti accertati, corrispondenti ai comportamenti ed alle situazioni contrarie alla quiete pubblica, nel rispetto dei principi ordinamentali di proporzionalità ed adeguatezza.

Obbligo della PA di provvedere

Tar Campania, Napoli, sez. V, 2 dicembre 2024, n. 6732

Procedimento amministrativo – Obbligo di provvedere in capo agli Enti pubblici – Obbligo di buona fede – Obbligo della P.A. di provvedere a fronte dell’istanza del privato – Art. 2 L. n. 241/1990

Nel tempo, il giudice amministrativo ha progressivamente ampliato i presupposti per la configurabilità dell’obbligo di provvedere a carico degli enti pubblici: la maggiore apertura si ricollega ad una nuova consapevolezza circa lo statuto giuridico della relazione procedimentale in quanto soggetta non solo alle c.d. regole di validità degli atti ma anche a quelle di comportamento, tra cui campeggia l’obbligo di buona fede, da tempo ritenuto cogente anche nell’ambito del diritto pubblico, quale regola generale non solo di interpretazione ma avente anche una concorrente funzione correttiva ed integrativa delle relazioni giuridicamente rilevanti, obbligo che incombe su entrambe le parti e, dunque, anche sull’amministrazione, in ragione del suo ruolo “servente”, in funzione del soddisfacimento dei bisogni della comunità, in attuazione del principio solidaristico e di quello democratico.

Ebbene, l’obbligo di provvedere è stato ritenuto sussistente anche in mancanza di una espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un’istanza e, dunque, anche in tutte le fattispecie particolari nelle quali “ragioni di giustizia e di equità” impongano l’adozione di un provvedimento, ovvero le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni – qualunque esse siano – dell’amministrazione.

La giurisprudenza ha inoltre chiarito che, in presenza di una formale istanza, l’amministrazione è tenuta a concludere il procedimento anche se ritiene che la domanda sia irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata, non potendo rimanere inerte; in altri termini, il legislatore ha imposto alla P.A. di rispondere in ogni caso alle istanze dei privati nel rispetto dei principi di correttezza, buon andamento, trasparenza, consentendo alle parti di difendersi in giudizio in caso di provvedimenti lesivi dei loro interessi giuridici; ne consegue che, anche in assenza di un formale procedimento e di una norma che espressamente ne disponga l’apertura, l’amministrazione ha l’obbligo (quale che sia il contenuto della relativa decisione) di provvedere sull’istanza non pretestuosa né abnorme del privato.

Edilizia residenziale pubblica, concessione di alloggi e silenzio-assenso

Tar Lazio, Roma, sez. V ter, 26 novembre 2024, n. 21258

Edilizia residenziale pubblica – Concessione di alloggi – Silenzio assenzo – Esclusione – Ratio

La materia della concessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica non contempla il silenzio assenso come fattispecie provvedimentale, coerentemente alla natura sostanzialmente concessoria del provvedimento, in quanto espressione della comparazione dei rilevanti interessi pubblici connessi alla regolare gestione del patrimonio abitativo popolare con quelli privati, riconducibili all’accesso all’abitazione di individui e nuclei familiari svantaggiati.

Mancato esercizio della concessione amministrativa

Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 14 novembre 2024, n. 916

Concessioni amministrative – Decadenza del concessionario per mancato esercizio – Potere autoritativo di accertamento – Contraddittorio – Provvedimento motivato

La decadenza della concessione per mancato esercizio non costituisce un effetto che si verifica ex lege al ricorrere del presupposto normativo, richiedendo, viceversa, l’intermediazione del potere pubblico attraverso l’emanazione di un provvedimento motivato, all’esito di un procedimento necessariamente preceduto dalla contestazione al concessionario delle circostanze che giustificano la decadenza. La posizione soggettiva che si fa valere in giudizio riveste la consistenza di interesse legittimo e non di diritto soggettivo; per cui la domanda giudiziale ha ad oggetto l’esercizio di un potere autoritativo di accertamento dell’intervenuta decadenza del rapporto di concessione, spettante all’amministrazione ed avente natura costitutiva.

Sale da gioco

Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 8 novembre 2024, n. 3083

Sale da gioco – Disciplina degli orari di apertura – Potere sindacale – Regolamento consiliare – Istruttoria – Onere motivazionale

È legittima l’attività di un Comune che, con regolamento consiliare, individui restrizioni orarie all’apertura degli esercizi autorizzati o limitazioni agli orari di accensione delle macchinette. Questo perché il potere sindacale di coordinare e riorganizzare gli orari degli esercizi commerciali interviene sulla base degli indirizzi del consiglio comunale, il quale può esprimersi anche tramite un preciso atto regolamentare. A fronte di una significativa riduzione dell’orario di apertura delle apparecchiature, l’amministrazione comunale non può limitarsi a un’apodittica e indimostrata enunciazione dei rischi collegati al gioco lecito, ma deve dare atto di ragioni specifiche, da esplicitare e documentare in modo puntuale. Va, in buona sostanza, dimostrata la necessità che uno specifico territorio abbisogni di una maggior tutela di quello nazionale; fermo restando che, una volta attuata, questa misura non comporti effetti indesiderati, tra cui il “dirottamento” della domanda verso il gioco illegale. E ciò deve avvenire con una specifica istruttoria effettuata in relazione al territorio di competenza.

Farmacie abusive e poteri sindacali

Tar Lazio, Roma, sez. II, 16 ottobre 2024, n. 17899

Apertura abusiva di farmacie – Illegittima erogazione di farmaci – Ordine di chiusura – Ordinanze sindacali contingibili e urgenti – Presupposti applicativi

Con riferimento all’ordine di chiusura di una farmacia abusiva, l’art. 3 della legge 8 novembre 1991, n. 362, recante “Norme di riordino del settore farmaceutico” dispone che “chiunque apre una farmacia o ne assume l’esercizio senza la prescritta autorizzazione è punito con l’arresto fino a un mese e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire dieci milioni” e che in tali casi “l’autorità sanitaria competente ordina l’immediata chiusura della farmacia”.

Ora, in applicazione di tali previsioni, l’autorità sanitaria competente – vale dire il Sindaco del Comune nel cui territorio è compresa la farmacia – ove accerti la vendita da parte di un’attività commerciale di farmaci, deve ordinare “l’immediata” chiusura della farmacia, abusivamente attivata, dato l’evidente pericolo per la salute.

A ciò si aggiunga che la legge 23 dicembre 1978 n. 833, di “Istituzione del servizio sanitario nazionale”, nel disciplinare, all’art. 32 le funzioni di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, dopo aver previsto che la legge regionale debba stabile norme per l’esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, di vigilanza sulle farmacie e di polizia veterinaria, ha disposto che “nelle medesime materie sono emesse dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente”.

L’art. 117 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 112, di conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, ha al riguardo disposto che “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale”, così come l’art. 50 del d.lgs. n. 267/2000 (Testo unico degli enti locali – T.U.E.L.), che, nel disciplinare le competenze del Sindaco, testualmente prevede, al comma 5, che “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale”.

Tale normativa, per altro verso, attribuisce sempre al Sindaco, quale ufficiale del Governo, il potere di assumere ordinanze contingibili e urgenti e tale potere presuppone, da un lato, una condizione di pericolo effettivo, da evidenziare con congrua motivazione e, dall’altro, una situazione eccezionale che possa provocare rischi imminenti per la salute o per l’incolumità pubblica, alla quale non sia possibile far fronte con i mezzi previsti in via ordinaria dall’ordinamento (art. 54 del T.U.E.L.).

Il Sindaco può emanare un’ordinanza contingibile e urgente, indifferentemente ai sensi degli artt. 50 o 54 T.U.E.L., rilevando a tal fine, non la circostanza (estrinseca) che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, ma la sussistenza (intrinseca) della necessità e dell’urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità, che dall’imputabilità (se del caso) perfino all’amministrazione stessa della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere, con la conseguenza che, quindi, il decorso del tempo non consuma tale potere, rilevando esclusivamente la dimostrazione dell’attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio.

Ne discende come il Sindaco possa ricorrere a detto strumento al fine di fronteggiare con immediatezza sia una situazione di natura eccezionale e imprevedibile (in attesa dell’adozione delle misure ordinarie), sia una condizione di pericolo imminente al momento dell’adozione dell’ordinanza, indipendentemente dalla circostanza che la situazione di emergenza fosse sorta in epoca antecedente. Indispensabile, comunque, è sempre la sussistenza, l’attualità e la gravità del pericolo, cioè il rischio concreto di un danno grave e imminente.

Ordinanze contingibili e urgenti e principio di precauzione

Consiglio di Stato, sez. V, 6 novembre 2024, n. 8864

Ordinanze contingibili e urgenti – artt. 50 e 54 TUEL – Distinzioni – Presupposti – Vendita di bevande alcoliche a minori – Principio di precauzione – Competenza

La riconduzione dell’atto sindacale alla fattispecie disciplinata all’art. 50 piuttosto che a quella di cui all’art. 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) non è neutra e non si risolve in una mera indicazione nominalistica, atteso che il legislatore ha inteso diversificare il procedimento di adozione dell’atto, prevedendone l’esecutorietà solo nel secondo caso (supportata dal Prefetto, quale organo preposto al coordinamento delle forze dell’ordine sul territorio provinciale). Le emergenze di sicurezza urbana, in quanto afferenti alla sicurezza pubblica, rientrano nella competenza del Sindaco quale ufficiale di governo (art. 54) e si diversificano da quelle a tutela della “vivibilità” che afferiscono all’attività del vertice dell’amministrazione locale (art. 50).

Le ordinanze sindacali contingibili e urgenti possono essere adottate anche a fronte di un pericolo potenziale in applicazione del principio di precauzione che richiede l’intervento restrittivo da parte della pubblica amministrazione in presenza di un rilevante pericolo per interessi pubblici particolarmente sensibili anche in assenza di una evidenza scientifica del nesso di causalità, secondo lo standard del c.d. “più probabile che non”, tra la circostanza fattuale su cui si interviene e il pregiudizio che potrebbe arrecare. Tale principio di derivazione comunitaria previsto dall’art. 7 del Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002 impone che, in presenza di ragionevole dubbio riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure di protezione senza dover attendere che sia previamente accertata l’effettiva esistenza della gravità del rischio occorso.

I presupposti per l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente risiedono nella sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per il bene protetto dalla norma (la pubblica incolumità, la sicurezza urbana, la vivibilità cittadina ovvero la quiete, quale valore considerato a parte, l’igiene pubblica), ma purché lo stesso non sia altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, il che avviene tipicamente laddove esista un sistema punitivo comprensivo di sanzioni principali, sanzioni accessorie capaci ex se di cauterizzare l’attività pericolosa. Non è pertanto ammissibile farvi ricorso per irrogare sanzioni espressamente previste dall’ordinamento (nel caso di specie, con l’art. 14-ter della legge 30 marzo 2001, n. 125 in caso di violazione del divieto di vendita di bevande alcoliche a minori) al solo scopo di accelerarne gli effetti, superando le garanzie difensive, a meno che non sia dimostrata in concreto la pericolosità, anche potenziale, del differimento dell’irrogazione della misura sanzionatoria prevista.

Il legislatore sanziona amministrativamente (art. 14-ter della legge 30 marzo 2001, n. 125) e penalmente (art. 689 c.p.) le condotte di vendita e somministrazione di bevande alcoliche a minori, commisurando il trattamento sanzionatorio all’effettiva portata lesiva della condotta. La prima fattispecie di illecito (art. 14-ter) opera in tutti i casi di vendita di alcolici a minorenne (ipotesi estranea alla formulazione dell’art. 689 c.p.) nonché di somministrazione a maggiore degli anni sedici ma minore di anni diciotto, stante che per il minore di anni sedici trova invece applicazione la norma penale, estensibile a qualunque tipologia di somministrazione ovunque effettuata, dovendo necessariamente essere attualizzati i riferimenti ai locali ivi indicati come osterie e pubblici spacci.

È illegittima l’ordinanza sindacale contingibile e urgente che disponga la sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande in sostanziale applicazione dell’art. 14-ter della legge 30 marzo 2001, n. 125 (nella specie, a causa della vendita di bevande alcoliche a persona di età compresa tra i sedici e i diciotto anni) poiché, dovendosi riqualificare l’atto in senso sanzionatorio, sussiste vizio di incompetenza del firmatario, in quanto organo politico di vertice del governo locale, trattandosi di normale atto gestionale.

Ordinanze contingibili urgenti e presupposti d’urgenza

Tar Toscana. Firenze, sez. IV, 8 novembre 2024, n. 1272

Ordinanze contingibili e urgenti – Ratio – Presupposti – Attualità del pericolo – Situazioni di pericolo che si protraggono nel tempo – Urgenza

L’art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267/2000, attribuisce al Sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana.

Un costante orientamento giurisprudenziale ha avuto modo di chiarire i presupposti per l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente che, a loro volta, vanno individuati nell’esistenza di un pericolo irreparabile ed imminente, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, nonché nella provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti, non essendo pertanto possibile adottare ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità.

L’ordinanza contingibile e urgente ben può essere adottata anche per situazioni di pericolo che si protraggono nel tempo, in quanto l’esercizio dei poteri di cui agli artt. 50 o 54 T.U.E.L., presuppone l’esistenza di una situazione eccezionale ed imprevedibile: tale presupposto, tuttavia, va interpretato nel senso che rileva non la circostanza (estrinseca) che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero ad un evento nuovo ed imprevedibile, ma la sussistenza (intrinseca) della necessità e dell’urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità, che, soprattutto, dall’imputabilità se del caso perfino all’Amministrazione stessa della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere. In definitiva, il decorso del tempo non consuma il potere di ordinanza, perché ciò che rileva è esclusivamente la dimostrazione dell’attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio, sicché l’immediatezza dell’intervento urgente del Sindaco va rapportata all’effettiva esistenza di una situazione di pericolo al momento di adozione dell’ordinanza. E, a ben guardare, la circostanza che la situazione di pericolo perduri da tempo può addirittura aggravare la situazione di pericolo.

È noto che l’ordinanza contingibile e urgente ben può essere adottata anche per situazioni di pericolo che si protraggono nel tempo e, ciò, considerando come sia sufficiente l’esistenza di una necessità e urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare.

Il requisito dell’urgenza non solo è sufficiente, ma prescinde dalla prevedibilità e, soprattutto, dall’imputabilità della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere.

In definitiva, il decorso del tempo non consuma il potere di ordinanza, perché ciò che rileva è esclusivamente la dimostrazione dell’attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio, sicché l’immediatezza dell’intervento urgente del Sindaco va rapportata all’effettiva esistenza di una situazione di pericolo al momento di adozione dell’ordinanza. E, a ben guardare, la circostanza che la situazione di pericolo perduri da tempo può addirittura aggravare la situazione di pericolo.

Titolo edilizio e silenzio-assenso

Tar Liguria, Genova, sez. II, 7 novembre 2024, n. 755

Titolo edilizio – Silenzio-assenso – Conformità/Difformità alla disciplina urbanistica – Contrasto interpretativo

È noto che, in merito all’applicazione dell’art. 20 comma 8 del D.P.R. n. 380/2001 (“Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”), si confrontano in giurisprudenza due orientamenti.

Un primo orientamento a mente del quale “la conformità di un progetto alla disciplina urbanistica costituisce un [mero] requisito di validità del silenzio-assenso che matura sulla richiesta del permesso di costruire; di conseguenza, la difformità della disciplina urbanistica può legittimarne l’annullamento, ma non impedisce la formazione del silenzio-assenso”.

Un secondo orientamento ritiene invece che, nonostante la natura tendenzialmente vincolata del permesso di costruire, il mero decorso del termine non sia di per sé sufficiente alla formazione del silenzio-assenso, essendo a tal fine anche necessario che l’intervento edilizio sia effettivamente conforme agli strumenti urbanistici ed alle altre disposizioni di legge.

E ciò, non potendosi ipotizzare che, a seguito di un non tempestivo esercizio del potere amministrativo, possa ottenersi per silenzio ciò che non sarebbe altrimenti possibile mediante l’esercizio espresso del potere da parte dell’Amministrazione.

Orbene, il collegio ritiene di aderire a quest’ultimo orientamento, allo stato ancora prevalente.