Urbanistica/edilizia

I limiti alle misure di delocalizzazione di edifici in aree a rischio

Tar Campania, Salerno, sez. II, 15 ottobre 2025, n. 1668
Pianificazione urbanistica – Zonizzazione – Piano urbanistico comunale – Norme tecniche di attuazione – Deroghe – Limiti operativi
In tema di delocalizzazione di edifici residenziali ricadenti in aree a rischio, la deroga al piano urbanistico comunale (PUC) non è assoluta, trovando limite nelle zone residenziali sature e non potendo estendersi alle aree aventi destinazione omogenea di tipo A, per le quali valgono le prescrizioni inderogabili del D.M. n. 1444/1968.

Abuso edilizio, ordine di demolizione e giudicato penale

Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 31 luglio 2025, n. 5774
Abuso edilizio – Ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Giudicato penale –Permesso di costruire in sanatoria – Dichiarazione di illegittimità in sede di esecuzione penale – Ritiro in autotutela – Limiti temporali
Il giudicato penale in materia di abusivismo edilizio non priva l’amministrazione del potere di provvedere sulla medesima questione edilizia mediante il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, tuttavia qualora tale provvedimento venga ritenuto illegittimo dal giudice penale in sede di incidente di esecuzione, alla medesima amministrazione non resta che procedere al ritiro in autotutela del titolo edilizio, anche oltre il termine ordinario di autotutela.
In tema di reati edilizi, l’ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, per la sua natura di sanzione amministrativa applicata dall’autorità giudiziaria, non è suscettibile di passare in giudicato essendone sempre possibile la revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con provvedimenti dell’amministrazione che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività.
L’ordine di demolizione, conseguente alla pronuncia di una sentenza penale irrevocabile di condanna per illecito edilizio, costituisce espressione di un potere dispositivo autonomo attribuito dalla legge alla autorità giudiziaria, il quale può eventualmente concorrere con quello omologo dell’amministrazione, onde è il pubblico ministero competente ad eseguirlo, mentre è il giudice dell’esecuzione che deve accertarne in sede di incidente la compatibilità con eventuali atti che siano stati emanati medio tempore dalla autorità amministrativa.

“Terzo condono” e dichiarazioni non veritiere

Consiglio di Stato, sez. III, 22 settembre 2025, n. 7428
Abuso edilizio – Aree vincolate – Terzo condono – Condizioni – Aumento di volume e superficie – Dichiarazioni non veritiere – Annullamento d’ufficio – Onere motivazionale – Sisma dell’Isola di Ischia del 21 agosto 2017 – Contributi per la ricostruzione – Normativa – Eccezionalità
Ai sensi dell”art. 32, comma 27, lett. d) del  decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (cd. “terzo condono”)  le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, anche di carattere relativo come il vincolo d’insieme, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere di alte condizioni, siano opere minori senza aumento di volume e superficie.
Risulta adeguatamente motivato un atto di annullamento d’ufficio del titolo edilizio rilasciato in sede di condono con riguardo alla non veritiera dichiarazione, nella pratica di condono, dell’insussistenza di vincoli paesaggistici, in grado di escludere qualunque legittimo affidamento del privato, anche alla luce della responsabilità assunta con il rilascio della dichiarazione, ai sensi del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445. La natura non veritiera delle dichiarazioni, indipendentemente dal rilievo penale della vicenda, giustifica il superamento del termine di 18 mesi (ora 12) previsto dal comma 1 dell’art. 21 nonies legge 7 agosto 1990, n. 241, ai sensi dell’art. comma 2 bis del medesimo articolo.
L’art. 25 del decreto legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito dalla legge 16 novembre 2018 n. 109,  detta una disciplina eccezionale per la rapida definizione delle istanze di condono degli immobili danneggiati o distrutti dal sisma del 21 agosto 2017 (situati nei comuni di Casamicciola Terme, Forio, Lacco Ameno dell’Isola di Ischia) in quanto presupposto necessario per la positiva definizione del procedimento di concessione dei contributi per la ricostruzione (ai sensi del comma 3) e non si applica pertanto al di fuori dell’indicato ambito territoriale; a fronte della diversità delle situazioni non è invocabile la violazione del principio di eguaglianza e quello della omogeneità territoriale.

Espropriazioni e comunicazione di avvio del procedimento

Tar Molise, Campobasso, sez. I, 10 ottobre 2025, n. 283

Procedimento amministrativo – Comunicazione avvio procedimento – Ratio – Applicabilità – Procedimenti espropriativi – Dichiarazione di pubblica utilità

La comunicazione dell’avvio del procedimento costituisce una regola applicabile alla generalità dei procedimenti amministrativi, ivi compresi quelli a carattere autonomo attinenti alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, sia esplicita che implicita.

L’art. 7 della legge n. 241/90 è applicabile come regola generale a tutti i procedimenti espropriativi.

La ratio di un siffatto principio risiede nel fatto che in ipotesi di approvazione di progetti di opere pubbliche ove si escluda la partecipazione del privato alle determinazioni relative alle scelte progettuali discrezionali, il proprietario espropriando verrebbe formalmente reso edotto di detta approvazione soltanto al momento dello spossessamento del bene, impedendosi quindi l’apporto di opportuni elementi di valutazione da parte degli interessati.

La partecipazione degli interessati, nel corso della fase che precede la dichiarazione di pubblica utilità, ha il fine di consentire la rappresentazione degli interessi privati coinvolti, prima che sia disposta la dichiarazione di pubblica utilità; e ciò per realizzare una ponderata valutazione degli interessi in conflitto. Essa vale come primo atto della procedura espropriativa e pertanto si deve verificare in concreto se la valutazione dell’Amministrazione di escludere le comunicazioni personali di avvio dalla procedura in questione risulta ragionevole e coerente col principio di trasparenza ovvero se, per l’inidoneità delle attuate forme di pubblicità, l’Amministrazione stessa abbia finito per non porre in grado gli interessati di attivarsi per prendere effettiva visione degli atti.

Il parere della Soprintendenza

Consiglio di Stato, sez. IV, 22 luglio 2025, n. 6497

Beni culturali, paesaggistici e ambientali – Soprintendenza – Parere – Annullabilità – Eccesso di potere – Disparità di trattamento – Esclusione – Adeguamento degli strumenti urbanistici – Degradazione – Presupposti – Struttura amovibile – Motivazione – Legittimità

Ai sensi dell’art. 146, comma 5 del d.lgs. 22 gennaio 2024. n. 42, la verifica ministeriale sullo strumento urbanistico locale, adeguato alle prescrizioni d’uso contenute negli atti di pianificazione paesaggistica, costituisce una fase aggiuntiva alla fase di predisposizione e adozione dell’adeguamento degli strumenti urbanistici, essenziale per la degradazione della portata del parere della soprintendenza, da vincolante, in obbligatorio non vincolante.

Non è affetto da deficit istruttorio e motivazionale il parere negativo della soprintendenza, reso in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, relativamente ad una struttura in fascia costiera, motivato anche in ragione del rilievo che la struttura progettata  (un bar/ristorante con parcheggio), sebbene  amovibile, di fatto non si presta a essere rimossa a seguito del periodo estivo, ospitando un’attività commerciale suscettibile di fruizione tutto l’anno, per cui determina una trasformazione definitiva del paesaggio, anche alla luce del consequenziale influsso antropico.

Ai fini dello scrutinio della legittimità del parere soprintendizio non rilevano le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate in relazione ad altre strutture, anche finitime, in considerazione del margine di apprezzamento rimesso all’autorità e alla specificità dei casi concreti per cui il giudizio di compatibilità paesaggistica  normalmente non è comparabile con altri giudizi già operati e in quanto l’eccesso di potere per disparità di trattamento  è configurabile solo sul presupposto dell’identità assoluta della situazione presa a confronto, il cui onere probatorio ricade sulla parte ricorrente.

Titolo edilizio e soccorso istruttorio

Consiglio di Stato, sez. IV, 3 ottobre 2025, n. 7742

Titolo edilizio – Procedura di rilascio – Richiesta di aggiornamento – Modalità – Tipi di modifiche – Soccorso istruttorio – Operabilità

In base all’art. 20 del d.p.r. n. 380 del 2001, possono essere previsti due modi di richiesta di aggiornamento della pratica edilizia presentata:

a) una richiesta per modifiche di lieve entità prevista dal comma 4 (Il responsabile del procedimento, qualora ritenga che ai fini del rilascio del permesso di costruire sia necessario apportare modifiche di modesta entità rispetto al progetto originario, può, nello stesso termine di cui al comma 3, richiedere tali modifiche, illustrandone le ragioni. L’interessato si pronuncia sulla richiesta di modifica entro il termine fissato e, in caso di adesione, è tenuto ad integrare la documentazione nei successivi quindici giorni. La richiesta di cui al presente comma sospende, fino al relativo esito, il decorso del termine di cui al comma 3);

b) una richiesta per documentazione più sostanziale, prevista dal comma 5 (Il termine di cui al comma 3 può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell’amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. In tal caso, il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa).

Dalla disposizione testé citata si evince che il soccorso istruttorio può (deve) trovare applicazione nel caso di richieste integrative di lieve entità o meramente documentali.

Pianificazione urbanistica e discrezionalità

Tar Piemonte, Torino, sez. II, 1° settembre 2025, n. 1295

Pianificazione urbanistica – Zonizzazione – Discrezionalità – Onere motivazionale – Caratteri – Legittimo affidamento – Ipotesi applicative

Per pacifica giurisprudenza, rientra nella piena discrezionalità pianificatoria del Comune la possibilità di imprimere ad una determinata zona un certo regime urbanistico-edilizio. Per tale ragione, la destinazione data dagli strumenti urbanistici alle singole aree del territorio non necessita di apposita motivazione, salvo che particolari situazioni, qui non ravvisabili, abbiano creato qualificate aspettative o affidamenti meritevoli di tutela in favore dei privati interessati. All’ampia discrezionalità di cui godono gli enti locali in sede di pianificazione urbanistica corrisponde un sindacato giurisdizionale di carattere estrinseco, limitato al riscontro di palesi elementi di illogicità e irrazionalità senza che lo scrutinio possa spingersi all’apprezzamento nel merito circa la condivisibilità delle scelte pubbliche.

Anche l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e “mirata”, salvo i casi in cui la variante, oltre ad incidere su zone territorialmente circoscritte, leda anche le già menzionate, legittime aspettative in capo ai privati. Tale legittimo affidamento alla conservazione delle qualità urbanistiche di un’area è tuttavia configurabile solo in presenza di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio – rifiuto su una domanda di concessione o, ancora, nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.

Annullamento del titolo edilizio e fiscalizzazione dell’abuso

Consiglio di Stato, sez. II, 19 settembre 2025, n. 7413

Abuso edilizio – Fiscalizzazione – Ipotesi applicative – Eccezioni – Impossibilità di riduzione in pristino – Natura

L’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 contempla tre diverse fattispecie di annullamento del titolo. La prima riguarda il caso in cui il titolo sia stato annullato perché affetto da un vizio di procedura emendabile. La seconda fattispecie è quella in cui il titolo sia stato annullato per un vizio di procedura insanabile e l’intervento è quindi abusivo, ma, essendo conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia, può essere mantenuto previa applicazione di una sanzione pecuniaria, il cui integrale versamento produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria. Il terzo caso è quello del permesso annullato per un vizio sostanziale, ossia perché l’intervento è contrastante con la disciplina applicabile, circostanza che preclude tanto la convalida, quanto la “fiscalizzazione” e impone il ripristino dello stato dei luoghi, a tutela dell’effettività della normativa urbanistica ed edilizia nonché dell’ordinato sviluppo del territorio nei termini disposti dalle Autorità cui è attribuita la funzione di governarlo.

Con riferimento alla seconda ipotesi, l’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 prevede, come eccezione alla regola della riduzione in pristino stato, la possibilità di fiscalizzazione dell’abuso, ovverosia l’applicazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, soltanto «In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, (…) la restituzione in pristino». Quanto alla concreta individuazione di tale impossibilità di riduzione in pristino, essa non può che essere di ordine squisitamente tecnico costruttivo; diversamente opinando, l’art. 38 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si presterebbe a letture strumentali, consentendo sanatorie ‘ex officio’ di abusi attraverso lo strumento dell’annullamento in autotutela del titolo edilizio originario. La riduzione in pristino, pertanto, deve risultare impraticabile alla luce di una valutazione tecnica e non di una ponderazione dei vari interessi in gioco.

La natura dell’impossibilità, in quanto riferita ad aspetti di ordine tecnico-costruttivo, esclude che essa possa essere rinvenuta nella temporanea indisponibilità dell’ente alla demolizione di ufficio (per ragioni finanziarie o altro), tenuto altresì conto della acquisizione conseguente all’inottemperanza alla disposta demolizione. Né essa può essere ravvisata nella circostanza che, per effetto della demolizione, si provocherebbe danno o pregiudizio alla restante costruzione di proprietà dell’autore dell’illecito (preesistente o legittimamente assentita) o a quella di terzi. Difatti, la commissione dell’illecito non esclude, per principio generale, che l’autore si faccia carico di tutte le conseguenze della propria condotta, ivi compresi i pregiudizi arrecati alla sua stessa res (o a quella altrui) per effetto della doverosa attività di restituzione in pristino. Posto che risulta difficile ipotizzare una attività di demolizione che non comporti danni o pregiudizi, anche minimi, alla costruzione preesistente o legittimamente assentita (mentre nel caso di immobile totalmente abusivo è, in linea di massima, da escludere l’impossibilità di demolizione), rinvenire l’impossibilità di demolizione nel mero danno così arrecato finisce per costituire, in pratica, un sostanziale aggiramento della regola che vede nella riduzione in pristino la ordinaria sanzione dell’abuso edilizio, così finendo con il “legittimare” un abuso e, tramite la fiscalizzazione – costituire, anche in questo caso, una sorta di “condono a titolo oneroso”. L’impossibilità di restituzione in pristino deve, quindi, essere individuata nei soli (eventuali) casi in cui la demolizione risulti tecnicamente impossibile (e ciò – si ribadisce – è difficile che riguardi immobili totalmente abusivi), ovvero laddove la stessa esponga a pericolo, non altrimenti ovviabile, la pubblica o privata incolumità; ovvero ancora nei casi in cui la demolizione comporti danni ingenti a terzi ed il risarcimento di questi risulti eccessivamente oneroso.

Titolo edilizio e durata

Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 10 settembre 2025, n. 1452

Titolo edilizio – Termini di efficacia – Decadenza – Elusione – Proroga – Inizio dei lavori nei termini di legge – Onere probatorio

L’inizio dei lavori idoneo a evitare la decadenza del permesso di costruire deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto, consistenti nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici.

Tale inizio deve essere sempre rapportato all’entità e alle dimensioni dell’intervento edilizio autorizzato, in quanto la stessa nozione di inizio lavori è dinamica, dovendosi parametrare all’opera definitiva; l’inizio dei lavori rilevante al fine di impedire la decadenza dal titolo edificatorio deve dunque essere comprovato dall’effettuazione di trasformazioni che superino la soglia delle mere attività preparatorie, dovendo essere di entità significativa non prescindendo dalla valutazione dell’opera da eseguire.

L’art. 15 comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, che si riferisce ad una decadenza «di diritto», esclude qualsiasi sospensione automatica del termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una sua automatica proroga. Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata un’istanza di proroga, sulla quale l’amministrazione deve pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti per accogliere l’istanza effettivamente sussistono.

Inderogabilità della pubblicità dell’istanza di autorizzazione all’installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici

Tar Liguria, Genova, sez. II, 12 settembre 2025, n. 994

Installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici – Procedimento di autorizzazione – Istanza – Pubblicità – Necessarietà – Inderogabilità – Ratio

Nell’economia del procedimento di autorizzazione all’installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici, la pubblicizzazione dell’istanza (ai sensi dell’art. 44, comma 5 del D. Lgs. n. 259/2003, a mente del quale “Lo sportello locale competente provvede a pubblicizzare l’istanza, pur senza diffondere i dati caratteristici dell’impianto”) non costituisce un adempimento meramente formale, essendo funzionale all’attuazione di un principio di democraticità del processo decisionale, che non consente deroghe di sorta.