Urbanistica/edilizia

Ristrutturazione e cessione di cubatura

Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sez. giurisdizionale, 3 giugno 2025 n. 422

Intervento di ristrutturazione – Ricostruzione di un manufatto preesistente su un diverso sedime – Ammissibilità – Cessione di cubatura

L’art. 3 comma 1 lett. d) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come innovato dall’art. 10, comma 1, lett. b), n. 2), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, nell’ammettere la ristrutturazione anche in caso di ricostruzione di un manufatto preesistente su un diverso “sedime”, ossia su un’area diversa da quella originariamente occupata dal manufatto da demolire e ricostruire, consente, in assenza di specifiche indicazioni contrarie, siffatta attività edificatoria anche mediante l’utilizzo di un’area diversa, anche se appartenente ad un altro lotto.

La ristrutturazione edilizia secondo la rinnovata ottica desumibile dal tenore testuale dell’art. 3 co. 1 lett. d) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come novellato dall’art. 10, comma 1, lett. b), n. 2), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120,  non è più vincolata da una rigida “continuità” tra le caratteristiche strutturali dell’immobile preesistente e quelle del manufatto da realizzare, ivi inclusa l’area di edificazione, giacché la nozione di sedime richiamata nella nuova formulazione dell’art. 3 lett. d) del t.u. edilizia è, infatti, molto generica e non riporta alcuna specificazione, con conseguente impossibilità di limitarne il concetto all’ambito perimetrale di un determinato lotto.

La ristrutturazione edilizia secondo la rinnovata ottica desumibile dal tenore testuale dell’art. 3 co. 1 lett. d) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come novellato dall’art. 10, comma 1, lett. b), n. 2), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, consente di edificare su un diverso lotto avendo riguardo alle capacità edificatorie del terreno da utilizzare, salva la possibilità di ricorrere alla cessione di cubatura.

Convenzioni urbanistiche e mancata trascrizione

Tar Lombardia, Milano, sez. II, 16 giugno 2025, n. 2300

Convenzioni urbanistiche – Diritti ed obblighi connessi – Natura giuridica – Mancata trascrizione – Conseguenze – Prescrizione – Decorrenza – Rinuncia – Interruzione

Gli obblighi nascenti dalle convenzioni urbanistiche hanno natura di obbligazioni propter rem (o anche “ambulatorie”), connesse alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e destinate a trasferirsi in capo agli eventuali acquirenti unitamente al bene immobile di riferimento. L’omessa trascrizione delle convenzioni non consente alla parte di sottrarsi agli obblighi derivanti dalle convenzioni stesse.

I diritti nascenti da una convenzione urbanistica sono soggetti all’ordinario termine decennale di prescrizione ex art. 2946 del codice civile, decorrente di regola dalla scadenza della convenzione medesima.

In materia di obblighi derivanti da convenzioni urbanistiche, posto che non è ammessa la rinuncia preventiva alla prescrizione, l’eventuale rinuncia in pendenza della prescrizione può valere come riconoscimento del diritto altrui e quindi come evento interruttivo della prescrizione stessa ai sensi dell’art. 2944 del codice civile.

Abusi edilizi, sanatoria e vincoli

Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 13 giugno 2025, n. 4467

Abuso edilizio – Aree assoggettate a vincoli – Sanabilità – Condizioni – Rilevanza paesaggistica – Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda – Non necessarietà

Ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d), d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella l. 24 novembre 2003 n. 326, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni – e cioè che le opere siano realizzate prima dell’imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche che vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo – siano opere minori senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria di cui all’art. 3 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato.

Hanno una indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se trattasi di volumi tecnici ed anche se si tratta di una eventuale pertinenza.

La natura vincolata delle determinazioni in materia di sanatoria degli abusi edilizi esclude la necessità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, l’obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda.

Sanzione per mancata rimozione di un abuso edilizio

Tar Lazio, Roma, sez. II quater, 18 giugno 2025, n. 11983

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello status dei luoghi – Inottemperanza – Sanzione pecuniaria – Natura giuridica – Ratio

La sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4-bis, d.P.R. n. 380/2001 è finalizzata a sanzionare la mancata rimozione di un abuso edilizio a seguito della constatata inottemperanza all’ordine di demolizione, ragion per cui si è in presenza di una misura coercitiva indiretta, volta ad indurre i soggetti — che potrebbero anche non avere responsabilità nella realizzazione dell’abuso — a rimuovere lo stesso laddove ne abbiano la possibilità materiale e giuridica. Come noto, la ratio di tale previsione si basa sull’esigenza di salvaguardare i valori tutelati dagli artt. 9, 41, 42 e 117 Cost., avendo il responsabile dell’illecito cagionato un vulnus al paesaggio, all’ambiente ed all’ordinato assetto del territorio, in contraddizione con la funzione sociale della proprietà, sicché il legislatore ha inteso sanzionarlo — oltre che con la perdita della proprietà — anche con una sanzione pecuniaria conseguente alla mancata ottemperanza all’ordinanza di demolizione.

L’attività edilizia “libera”

Tar Lazio, Latina, sez. II, 4 giugno 2025, n. 508

Titolo edilizio – Attività edilizia libera – Ambito applicativo – Pertinenze – Requisiti

Ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e-ter) del d.P.R. n. 380/2001, “sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo: […] e-ter) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l’indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati”.

Dal soprariportato testo traspare che le opere ivi indicate possono ritenersi effettivamente rientranti nel perimetro di applicazione della previsione normativa, laddove: i) siano contenute entro i limiti di permeabilità; ii) per le loro caratteristiche concrete siano del tutto inidonee a influire in modo rilevante sullo stato dei luoghi, e quindi non determinino una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (cioè abbiano una portata limitata sia in termini assoluti sia in rapporto al contesto in cui si collocano).

Le pertinenze edilizie devono possedere le seguenti caratteristiche:

i) hanno un nesso oggettivo che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente e funzionale all’edificio principale;

ii) sono sfornite di un autonomo valore di mercato;

iii) non comportano un “carico urbanistico proprio”, in quanto esauriscono la loro finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale.

SCIA, autotutela e false rappresentazioni

Tar Toscana, Firenze, sez. III, 4 giugno 2025, n. 981

Procedimento amministrativo – SCIA – Autotutela – Differenze dal modello generale di cui all’art. 21 novies L. 241/1990 – Doverosità – Termini – Derogabilità – Falso in rappresentazione dei fatti o in dichiarazioni sostitutive

L’autotutela di cui al comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241/1990 si diversifica per così dire sul piano ontologico dal modello generale declinato dall’art. 21-novies, cui pure rinvia, innanzi tutto per il fatto che non incide su un precedente provvedimento amministrativo, connotandosi pertanto per conseguire ad un procedimento di primo e non di secondo grado, tanto da indurre la dottrina a rivederne finanche la qualificazione definitoria. Inoltre, mentre di regola il potere di autotutela è ampiamente discrezionale nell’apprezzamento dell’interesse pubblico che può imporne l’esercizio e pertanto non coercibile, al punto che la p.a. non ha neanche l’obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l’esercizio, nel caso di cui all’art. 19, comma 4, della l. n. 241 del 1990, si ritiene che l’Amministrazione abbia l’obbligo di rispondere, sicché la discrezionalità risulta piuttosto relegata alla verifica in concreto della sussistenza o meno dei presupposti di cui all’articolo 21-novies. Depongono nel senso della doverosità, sia l’argomento letterale ‒ segnatamente, la differente formulazione dell’art. 21-nonies rispetto all’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990, il quale ultimo, a differenza del primo, dispone che l’amministrazione “adotta comunque” (e non già semplicemente “può adottare”) i provvedimenti repressivi e conformativi (sempre che ricorrano le ‘condizioni’ per l’autotutela) ‒, sia la lettura costituzionalmente orientata del disposto normativo.

L’art. 21 nonies, comma 2 bis, della legge n. 241/90 prevede che: “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”. La predetta disposizione deve interpretarsi nei seguenti termini: “Il superamento del rigido limite temporale di dodici mesi per l’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 21-nonies deve ritenersi ammissibile, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte in cui il soggetto richiedente abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, atteso che, in questi casi, viene in rilievo una fattispecie non corrispondente alla realtà”. Tale contrasto, tra la fattispecie rappresentata e quella reale, può essere determinato da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive), dovrà scontare l’accertamento definitivo in sede penale, ovvero da una falsa rappresentazione dei fatti, che può essere rilevante al fine di superamento del termine fisso anche in assenza di un accertamento giudiziario della falsità, purché questa sia accertata inequivocabilmente dall’amministrazione con i propri mezzi.

L’articolo 21-nonies, in definitiva, contempla due categorie di provvedimenti – differenziabili in ragione dell’uso della disgiuntiva “o” – che consentono all’Amministrazione di esercitare il potere di annullamento d’ufficio oltre il termine di dodici (o diciotto, a seconda del regime ratione temporis applicabile) mesi dalla loro adozione, a seconda che siano, appunto, conseguenti a false rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive false.

Ricostruzione di manufatti distrutti e oneri probatori

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, sez. unica, 19 maggio 2025, n. 88

Intervento edilizio – Ricostruzione di manufatti distrutti – Destinazione d’uso – Caratteri originari – Onere probatorio – Normativa statale e della Provincia autonoma di Trento

L’art. 107, comma 2, della legge provinciale n. 15 del 2015, dispone che “è consentita la ricostruzione filologica o tipologica dei manufatti distrutti, individuati catastalmente alla data di entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per l’edificabilità dei suoli), o la cui esistenza a tale data possa essere documentalmente provata, anche mediante immagini fotografiche, e collocati in aree non destinate specificatamente all’insediamento, in presenza di elementi perimetrali tali da consentire l’identificazione della forma e sulla base di documenti storici o fotografie d’epoca; per questi manufatti è ammessa la destinazione d’uso originaria o il riutilizzo a fini abitativi non permanente”.

La disposizione esige non solo la dimostrazione della forma in pianta dell’edificio diruto ma anche delle altre dimensioni atte ad identificarne la consistenza originaria, le quali possono essere comprovate non solo mediante gli elementi perimetrali sopravvissuti ma anche sulla scorta di documenti storici o fotografie d’epoca; tale documentazione deve essere idonea a comprovare la configurazione originaria dello specifico edificio diruto in quanto la ricostruzione consentita dall’art. 107, comma 2, della l.p. n. 15 del 2015 costituisce deroga alla disciplina urbanistica applicabile all’area di proprietà della ricorrente, che è inedificabile e non ammette nuove costruzioni ma solo interventi di ricostruzione, in via derogatoria, di edifici preesistenti e pertanto presuppone la dimostrazione della originaria consistenza dell’edificio che si tratta di ricostruire, seppure in termini di attendibilità, ma con riferimento alla peculiarità dell’edificio diruto e non per mero richiamo a tipologie ritenute simili. In mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare, l’intervento di ricostruzione è qualificabile come nuova costruzione.

La normativa statale all’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001 qualifica come interventi di ristrutturazione edilizia quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

L’accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell’edificio diruto, da intendersi quali mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, e ciò in base allo ius receptum della giurisprudenza amministrativa, per cui sia il restauro ed il risanamento, sia la ristrutturazione presuppongono, in ciò consistendo il discrimen rispetto alle attività di nuova edificazione, che sia dimostrata non solo la preesistenza di un manufatto, ma anche la relativa consistenza, ossia il complessivo ingombro plani-volumetrico calcolato sulla base di altezza, sagoma, prospetto, estensione.

In ogni caso la prova diversa da quella fotografica – che rimane la più idonea – non può comportare una riduzione della soglia di attendibilità sull’originaria consistenza dell’immobile da ricostruire; e quindi la prova deve essere in ogni caso rigorosa e condurre ad un risultato plausibile.

Localizzazione di impianti di telefonia mobile e silenzio-assenso

Tar Campania, Salerno, sez.I, 29 aprile 2025, n. 799

Pianificazione urbanistica – Localizzazione – Impianti di telefonia mobile – Silenzio assenso

Allorché si reputi indispensabile, al fine di garantire la copertura del territorio, posizionare gli impianti di telefonia mobile in aree diverse da quelle individuate dal Comune, grava sull’operatore dimostrare – nell’ambito del dialogo procedimentale con la p.a. – la necessità di una diversa allocazione onde assicurare la corretta distribuzione del servizio di comunicazione.

La previsione del silenzio assenso non solo costituisce una forma di semplificazione procedimentale volta ad accelerare la realizzazione e l’espansione della rete di comunicazione elettronica ma può essere giustificata anche in ragione del necessario vaglio tecnico delle diverse soluzioni in termini di punto di impianto della infrastruttura che la società installante deve preventivamente compiere, offrendo all’amministrazione, con la presentazione dell’istanza, una soluzione ottimale, già frutto di una valutazione, non solo tecnica, finalizzata a minimizzare l’impatto della nuova stazione radio base sul territorio e a renderla compatibile con i diversi interessi insistenti sullo stesso, a cui può perciò seguire un iter decisorio semplificato.

Impianto privato di trattamento rifiuti e contributo di costruzione

Intervento di nuova costruzione – RSU – Impianto di trattamento rifiuti privato – Contributo di costruzione – Esonero – Presupposti

L’esenzione dal contributo di costruzione previsto dalla prima parte della lett. c) del comma 3 dell’art. 17 d.P.R. 380 del 2001 deve fondarsi sull’esistenza di un vincolo indissolubile tra l’opera da realizzare e l’erogazione diretta del servizio – da desumere delle sue oggettive caratteristiche – non essendo sufficiente un rapporto strumentalità o la mera possibilità che le opere, in futuro, per effetto della concessione o di accordi convenzionali, possano divenire di proprietà pubblica.

Ad un impianto di trattamento rifiuti privato, realizzato da un soggetto anch’esso privato, che persegue finalità lucrative, non può applicarsi l’esenzione del contributo di costruzione previsto dalla prima parte della lett. c) del comma 3 dell’art. 17 d.P.R. 380 del 2001.

L’abuso edilizio sopravvenuto

Tar Lombardia, Milano, sez. II, 15 aprile 2025, n. 1364

Abuso edilizio sopravvenuto – Caratteri – Presupposti – Eccezionalità – Buona fede –

L’art. 38 d.P.R. n. 380/2001 concerne il regime sanzionatorio degli “abusi edilizi sopravvenuti” (ossia quelli conseguenti alla realizzazione di interventi eseguiti sulla base di titolo edilizio annullato successivamente alla realizzazione edilizia) e ha natura eccezionale: il più mite trattamento previsto dalla norma è diretto a sanzionare esclusivamente la specifica condotta consistente nella realizzazione di un’opera del tutto conforme a un titolo edilizio annullato. Solo in questo caso si versa in quella situazione di buona fede che giustifica l’applicazione di misure più favorevoli.

L’art. 38, primo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che venga irrogata una sanzione pecuniaria pari al valore delle opere eseguite. La norma è chiara nel rapportare la sanzione al valore delle opere e non all’aumento di valore conseguente alla loro realizzazione. Si deve pertanto ritenere che, anche in caso di interventi di ristrutturazione edilizia con recupero della superficie lorda di pavimento (s.l.p.) esistente, la misura della sanzione debba essere calcolata facendo riferimento al valore finale complessivo delle opere senza scomputare il valore che le stesse avevano prima dell’effettuazione dell’intervento.