Tar Puglia, Lecce, sez. III, 20 settembre 2024, n. 1025
Enti locali – Attività del revisore contabile – Gravi inadempienze – Mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto nei termini di legge – Potere di revoca – Natura giuridica – Contrasto interpretativo – Potestà/facoltà privatistica
La revoca del Revisore contabile degli Enti Locali è disciplinata dall’art. 235, comma 2, del D. Lgs. n. 267/2000 e ss.mm., secondo cui “2. Il Revisore è revocabile solo per inadempienza ed in particolare per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dall’articolo 239, comma 1, lettera d)”. Sul punto, la giurisprudenza maggioritaria ha qualificato la revoca di che trattasi alla stregua di un vero e proprio potere pubblicistico, inquadrabile nell’alveo dell’autotutela della P.A., finalizzata alla salvaguardia dell’interesse dell’Ente territoriale, allorquando il Revisore contabile si riveli inadempiente rispetto agli obblighi imposti dalla legge. Secondo tale impostazione, siffatto potere di revoca sarebbe necessariamente caratterizzato da elementi pubblicistici, rinvenibili nel fatto che il predetto potere sarebbe del tutto speculare rispetto a quello contemplato per la nomina di tale Revisore contabile, previsto, invece, dall’art. 234, comma 1, del D. Lgs. n. 267/2000 e ss.mm., secondo cui “1. I consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane eleggono con voto limitato a due componenti un collegio di revisori composto da tre membri”. Inoltre, tale orientamento valorizza la circostanza che la funzione di Revisore contabile degli Enti Locali costituisca un c.d. munus pubblico, per cui non potrebbero giammai venire in rilievo posizioni di diritto soggettivo. Ne conseguirebbe che ogni questione relativa al sindacato sull’esercizio di tale potere di revoca non possa che essere attratta nella giurisdizione generale di legittimità del G.A.
A fronte di tale orientamento, si contrappone invece, quello minoritario, secondo il quale tale provvedimento viene ad incidere su posizioni giuridiche di diritto soggettivo e, segnatamente, sul diritto all’esatto adempimento del contratto stipulato inter partes e, nonostante la formale qualificazione in termini di revoca, deve più propriamente essere qualificato quale atto di recesso espressione di un diritto potestativo. Ne discende che della controversia insorta in merito alla effettiva esistenza dei fatti di inadempimento contestati ed alle relative conseguenze patrimoniali, deve essere investito il giudice ordinario in applicazione dell’ordinario criterio di riparto della giurisdizione.
Ebbene, ritiene questo Collegio, meditatamente, di dover dare seguito al secondo orientamento – pur se allo stato minoritario.
In primo luogo, si evidenzia che il dato letterale dell’art. 235, comma 2, del D. Lgs. n. 267/2000 e ss.mm., secondo cui la “revoca” (rectius, recesso) possa avvenire solo per inadempienza ed in particolare per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto nei termini di legge, implica che si siano verificati gravi inadempimenti relativi alla fase di esecuzione dell’incarico professionale (ancorché connotato da tratti pubblicistici), ossia di vicende rispetto alle quali l’ente pubblico ed il revisore sono posti in posizione paritetica.
Ancora, il termine “revoca” adoperato dalla norma in parola non può essere in alcun modo dirimente, non essendo tale “atto” espressione di una potestà pubblicistica, dal momento che non si è in presenza di alcuna ipotesi (tipica) di autotutela della P.A.; nel dettaglio, non può trattarsi né di una ipotesi di annullamento d’ufficio, di cui all’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990 e ss.mm., poiché non viene in rilievo, nel caso di specie, alcuna illegittimità dell’atto di nomina, né di una ipotesi di revoca (pubblicistica) di cui all’art. 21-quinquies della Legge n. n. 241/1990 e ss.mm., atteso che non si verte in tema di inopportunità e di rivalutazione dell’(originario o sopravvenuto) interesse pubblico al verificarsi del denunciato inadempimento. In altri termini, l’Ente locale – nel disporre la revoca/risoluzione per ravvisate gravi inadempienze nell’espletamento dell’incarico di Revisore dei Conti – non esercita alcuna potestà discrezionale di valutazione comparativa di interessi pubblici (primari e secondari) rispetto all’interesse del privato destinatario dell’atto di “revoca”, né è tenuta ad esprime una motivazione sull’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale (necessaria, invece, nella diversa ipotesi di esercizio del potere pubblicistico di secondo grado di autotutela della P.A.), ma deve – solo – accertare se vi siano state (o meno) gravi inadempienze nell’espletamento dell’incarico di Revisore dei Conti (e se sussiste il grave inadempimento, non ha alcun potere discrezionale, ma deve operare la revoca/recesso).
Non può, peraltro, nemmeno essere applicato, nel caso di specie, il dedotto principio di simmetria delle forme, secondo cui la revoca dovrebbe possedere la stessa natura (pubblicistica) dell’atto di nomina di cui all’art. 234, comma 1, del D. Lgs. n. 267/2000 e ss.mm., dal momento che, una volta conclusasi la fase di nomina del Revisore contabile, tutte le vicende inerenti la corretta esecuzione dell’incarico professionale conferito non possono che attenere alla successiva fase esecutiva dell’incarico e, dunque, a posizione di diritto soggettivo come, pure, accade per le similari ipotesi di risoluzione o recesso dal contratto di appalto pubblico da parte della S.A. (vedi: artt. 122 – 123 del D. Lgs. n. 36/2023), stipulato a seguito del provvedimento amministrativo di aggiudicazione.
Tanto precisato, ritiene il Collegio che la revoca del Revisore contabile di cui all’art 235, comma 2, D. Lgs. n. 267/2000 e ss.mm. sia espressione di una potestà/facoltà privatistica attribuita all’Ente pubblico e riconducibile al generale principio di risoluzione dei rapporti contrattuali contenuto negli artt. 1453 e ss. c.c.