Varie

Locazione turistica e poteri di controllo comunale

Consiglio di Stato, sez. V, 7 aprile 2025, n. 2928

Attività di locazione turistica esercitata in forma non imprenditoriale – Normativa Regione Lombardia – Poteri di controllo comunale – Insussistenza – Turismo – Competenza legislativa – Titolo abilitativo – Ratio e finalità – Requisiti edilizi ed igienico-sanitari – Carenza – Conseguenze

La legge della regione Lombardia 1 ottobre 2015, n. 27 non conferisce ai comuni alcun potere di controllo sulla stipula di contratti di locazione turistica al di fuori dell’esercizio di un’attività imprenditoriale.

La materia del turismo rientra nella competenza legislativa residuale delle regioni, fermo restando la possibilità di intervento dello Stato nella materia dell’ordinamento civile di sua competenza esclusiva di cui all’articolo 117, comma 2 lett. l), della Costituzione, al quale è riconducibile la libertà contrattuale in materia di locazione turistica e che può interferire con il settore del turismo.

L’attività di locazione per finalità turistica esercitata in forma non imprenditoriale, riconducibile al mero godimento indiretto di beni immobili, non richiede la segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ma una mera comunicazione di inizio attività (c.i.a.), a fini di monitoraggio e non è quindi soggetta a poteri prescrittivi ed inibitori dell’amministrazione locale.

Gli immobili destinati a locazioni per finalità turistiche devono possedere i requisiti edilizi ed igienico-sanitari previsti dalla normativa primaria e secondaria per i locali di civile abitazione ma l’eventuale carenza di tali requisiti, mentre può ripercuotersi sulla validità o sull’adempimento del contratto di locazione eventualmente stipulato, non legittima l’inibizione, da parte dell’amministrazione, della stipula del contratto.

Impianto fotovoltaico e trasferimento della titolarità

Consiglio di Stato, sez. II, 23 aprile 2025, n. 3497

Energia elettrica ed energia in genere – Energia rinnovabile – Impianti fotovoltaici – Trasferimento della titolarità – Condizioni tariffarie – Vantaggi per gli Enti locali

Qualora un Comune trasferisca ad un terzo la titolarità di un impianto fotovoltaico, il subentrante non ha diritto al mantenimento delle originarie condizioni tariffarie, derivanti dalla mancata applicazione della rimodulazione introdotta dall’art. 26, comma 3, del d.l. 24 giugno 2014, n. 91; poiché l’esenzione dall’obbligo di tale rimodulazione tariffaria, di cui all’art. 22-bis del successivo d.l. 12 settembre 2014, n. 133, si applica solo a enti locali e scuole e non può essere trasferita a un qualsiasi operatore economico unitamente all’impianto, neanche qualora il G.S.E. (gestore dei servizi energetici) abbia autorizzato il trasferimento, atteso che tale atto non può legittimare una tariffa più vantaggiosa, che il legislatore ha inteso riservare solo a determinati soggetti.

Abbandono di rifiuti e danno all’immagine

Tar Campania, Napoli, sez. V, 24 marzo 2025, n. 2502

RSU – Abbandono – Ordinanza di rimozione ex art. 192 cod. amb. – Danno all’immagine – Responsabilità civile – Danno conseguenza – Onere probatorio – Diritto di cronaca

Non può essere accolta la domanda di risarcimento dei danni connessa al presunto danno all’immagine conseguente alla adozione di una ordinanza di rimozione dei rifiuti ex art. 192 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) qualora l’articolo di stampa si limiti a riportare il contenuto del provvedimento impugnato e non risultino violati i parametri elaborati dalla giurisprudenza in materia di diritto di cronaca, quali la rilevanza sociale dell’argomento, l’informazione rispondente alla verità obiettiva, l’uso di espressioni corrette in relazione ai correnti livelli di decenza espressiva.

Non può essere accolta la domanda di risarcimento dei danni connessa al presunto danno non patrimoniale all’immagine conseguente alla adozione di una ordinanza di rimozione dei rifiuti ex art. 192 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) qualora il danneggiato non fornisca la prova del presupposto rappresentato dal “danno-conseguenza”, che non può essere superata invocando la liquidazione equitativa del quantum risarcitorio, trattandosi di uno degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità amministrativa da illecito civile ex artt. 2043 del codice civile.

La conferenza dei capigruppo

Tar Campania, Napoli, sez. I, 7 marzo 2025, n. 1867

Consiglio comunale – Attività di rendiconto della gestione – Contenuti – Schema di rendiconto – Attribuzioni della giunta – Conferenza dei capigruppo – Natura giuridica

La struttura documentale che il consiglio comunale è chiamato ad approvare è costituita da una serie di documenti, che il legislatore individua quali elementi del rendiconto della gestione. Lo strumento di rendicontazione della gestione dell’esercizio finanziario dell’ente locale è dunque costituito dal conto del bilancio, dal conto economico e dallo stato patrimoniale. La giunta comunale, la cui competenza è residuale rispetto alle attribuzioni del consiglio, è l’organo deputato ad elaborare lo schema del rendiconto, da sottoporre alla successiva deliberazione del consiglio comunale per la relativa approvazione.

La conferenza dei capigruppo è organismo consultivo del sindaco e/o del presidente del consiglio comunale, concorrendo a definire la programmazione ed a stabilire quant’altro risulti utile per il proficuo andamento dell’attività del consiglio; essa costituisce, ad ogni effetto, commissione consiliare permanente.

Divieto di fuochi di artificio e competenze comunali

Consiglio di Stato, sez. IV, 18 marzo 2025, n. 2232

Disciplina degli esplosivi e dell’ambiente – Sorgenti di emissione aventi un impatto negativo sulla qualità dell’aria – Competenza comunale – Non sussistenza – Disciplina restrittiva – Illegittimità per contrasto con il decreto legislativo 29 luglio 2015, n. 123 recante attuazione della direttiva 2013/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio

È illegittima la previsione regolamentare adottata dal comune recante divieto di accendere fuochi d’artificio di ogni tipologia nel periodo compreso tra il 1° ottobre e il 31 marzo, trattandosi di disposizione riconducibile alle materie della disciplina degli esplosivi e dell’ambiente di cui all’articolo 117, lettere d) ed s) della Costituzione, riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, con la conseguenza che, in base al principio del parallelismo tra competenza legislativa e regolamentare di cui all’articolo 117, comma 6, della Costituzione, la potestà regolamentare in tali materie spetta allo Stato, salva la facoltà di delega alle regioni, ma non ai comuni.

È illegittima la previsione regolamentare adottata dal comune recante divieto di accendere fuochi d’artificio di ogni tipologia nel periodo compreso tra il 1° ottobre e il 31 marzo per contrasto con il decreto legislativo 29 luglio 2015, n. 123 recante attuazione della direttiva 2013/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013 (concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici) in quanto volta a limitare l’utilizzo degli articoli pirotecnici mediante una disciplina più restrittiva rispetto a quella prevista dallo Stato, ad incidere in misura rilevante sulla libera circolazione degli articoli pirotecnici e a limitare l’esercizio dell’iniziativa economica privata di cui all’articolo 41 della Costituzione.

Il Comune non può intervenire con proprio regolamento a disciplinare le sorgenti di emissione aventi un impatto negativo sulla qualità dell’aria (nella specie, mediante divieto assoluto di accensione di fuochi di artificio nel periodo compreso tra il 1° ottobre e il 31 marzo), in quanto la tutela della qualità dell’aria afferisce alla materia dell’ambiente che, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera s) e del comma 6, Cost. rientra nella competenza esclusiva dello Stato sia legislativa sia regolamentare e, inoltre, in base al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155, spetta alle regioni adottare un piano recante le misure necessarie per intervenire sulle sorgenti di emissione aventi un impatto negativo sulla qualità dell’aria; la necessità di raggiungere gli obiettivi di riduzione dell’inquinamento non consente di sovvertire il quadro delle fonti.

Moschee, divieti e oneri di motivazione

Consiglio di Stato, sez. VII, 27 febbraio 2025, n. 1710

Pianificazione urbanistica – Zonizzazione – Luogo di culto religioso – Provvedimento di diniego – Deficit istruttorio e motivazionale – Illegittimità – Diritto inviolabile di culto – Dovere delle autorità pubbliche di regolare il territorio senza frapporre ostacoli all’esercizio del culto –

A fronte di una domanda di un’associazione di promozione sociale volta all’individuazione e concessione da parte del comune di uno spazio da adibire in modo permanente e duraturo a luogo di culto religioso per la comunità musulmana, deve intendersi affetto da deficit istruttorio e motivazionale  il provvedimento di diniego fondato sul  rilievo dell’assenza di  un’area destinabile a culto, secondo la pianificazione urbanistica, laddove, al contrario, detta area non solo risulti esistente, ma il comune richieda contraddittoriamente adempimenti che ne presuppongono l’esistenza, evidenziando inoltre che, quando pure detta area fosse disponibile, sarebbe necessaria seguire una procedura ad evidenza pubblica. In siffatto modo il comune frappone un illegittimo e insormontabile ostacolo all’esercizio della libertà di culto da parte dell’associazione richiedente con un diniego che, nella sua perentorietà immotivata, blocca qualsiasi prospettiva e iniziativa

Secondo Corte cost., 5 dicembre 2019, n. 254, della libertà di religione, costituente diritto inviolabile, il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale, per cui l’esercizio pubblico e comunitario del culto va tutelato, e va assicurato ugualmente a tutte le confessioni religiose, a prescindere dall’avvenuta stipulazione o meno dell’intesa con lo Stato e dalla loro condizione di minoranza. La libertà di culto si traduce anche nel diritto di disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare (Corte cost. n. 67 del 2017) e comporta perciò più precisamente un duplice dovere a carico delle autorità pubbliche cui spetta di regolare e gestire l’uso del territorio (essenzialmente le regioni e i comuni): in positivo – in applicazione del principio di laicità – esso implica che le amministrazioni competenti prevedano e mettano a disposizione spazi pubblici per le attività religiose; in negativo, impone che non si frappongano ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi privati e che non si discriminino le confessioni nell’accesso agli spazi pubblici (Corte cost. n. 63 del 2016, n. 346 del 2002 e n. 195 del 1993).

NCC e obbligo di autorimessa

Consiglio di Stato, sez. V, 10 marzo 2025, n. 1957

Circolazione stradale – Servizio di noleggio con conducente (NCC) – Obbligo di autorimessa nel territorio del Comune che rilascia l’autorizzazione – Ratio – Legittimità – Non violazione della libertà di stabilimento

L’obbligo di utilizzare, nell’esercizio del servizio di noleggio con conducente (NCC), esclusivamente una rimessa ubicata all’interno del territorio del comune che rilascia l’autorizzazione, è immediatamente finalizzato a garantire che il servizio stesso, pur potendosi svolgere senza limiti spaziali, cominci e termini presso la medesima rimessa, ovvero entro il territorio comunale. Ciò risponde all’esigenza di assicurare che il detto servizio sia svolto, almeno tendenzialmente, a favore della comunità locale di cui il comune è ente esponenziale. La prescrizione che la rimessa sia ubicata entro il territorio dell’ente è coessenziale alla natura stessa dell’attività da espletare, diretta principalmente ai cittadini del comune autorizzante cui si vuol garantire un servizio, non di linea, complementare e integrativo rispetto ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi, lacuali ed aerei, e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta. La verifica del rispetto del vincolo di territorialità non può prescindere dall’accertamento dell’effettivo utilizzo della rimessa, non essendo a tal fine sufficiente la mera disponibilità (per tale, anche potenzialmente fittizia) della stessa.

Il particolare regime della necessaria territorialità delle licenze del servizio di noleggio con conducente (NCC) non viola le regole di diritto eurounitario, atteso che l’art. 49 del TFUE, che tutela la libertà di stabilimento, è posto a presidio della libera circolazione delle imprese da uno Stato membro all’altro, valore che non è certo posto in discussione dalle disposizioni legislative, le quali si limitano a richiedere, quale requisito oggettivo del servizio, la localizzazione della rimessa in ambito comunale.

Convenzioni urbanistiche, accordi sostitutivi, inadempimento e oneri probatori

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 marzo 2025, n. 1962

Convenzioni urbanistiche – Natura giuridica – Disciplina – Inadempimento dell’amministrazione – Rimedi civilistici – Riparto dell’onere probatorio – Risarcimento dei danni – Danno emergente – Lucro cessante – Natura giuridica – Tesi ontologica

La convenzione stipulata tra privato ed amministrazione volta a disciplinare le modalità di realizzazione di opere di urbanizzazione deve assimilarsi a un accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo ex articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 al quale si applicano, ove non diversamente previsto, i principi civilistici in materia di inadempimento delle obbligazioni. Pertanto, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dall’eccezione d’inadempimento del creditore ex art. 1460 del codice civile.

Il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento degli obblighi assunti da un’amministrazione con convenzione urbanistica (nella specie, per mancata esecuzione di opere di urbanizzazione alle quali era subordinata la vendita di un suolo edificabile con destinazione commerciale) va commisurato, quanto al danno emergente, alle spese documentate direttamente imputabili, anche pro quota, alla attuazione della convenzione, a meno che non si tratti di spese che, per la loro natura indivisibile, il privato avrebbe comunque dovuto sostenere e che pertanto non risultano sine causa, nell’an o nel quantum, in conseguenza del venir meno in parte qua della convenzione urbanistica.

Il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento degli obblighi assunti da un’amministrazione con convenzione urbanistica (nella specie, per mancata esecuzione di opere di urbanizzazione alle quali era subordinata la vendita di un suolo edificabile con destinazione commerciale) non può ricomprendere, quanto al danno emergente, le spese relative al regime di tassazione dell’immobile rimasto invenduto in quanto indice di capacità contributiva, cui si correlano peraltro anche vantaggi in termini di solvibilità, ampiezza della garanzia patrimoniale e possibilità di ottenere finanziamenti. Difatti, non si tratta di un pregiudizio patrimoniale suscettibile di ristoro ma dell’insieme di diritti e di obblighi legali connessi in via ordinaria alla titolarità del bene.

Il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento degli obblighi assunti da un’amministrazione con convenzione urbanistica (nella specie, per mancata esecuzione di opere di urbanizzazione alle quali era subordinata la vendita di un suolo edificabile con destinazione commerciale) va commisurato, quanto al lucro cessante per perdita di chance, all’utile presuntivamente ritraibile dall’operazione (nella specie stimato nel 10% del prezzo di compravendita) sul quale poi va calcolata la percentuale corrispondente alla concreta possibilità di conseguimento della utilità finale attesa (nella specie, rappresentata dalla vendita del bene e stimata nel 30% dell’utile teorico) che deve tener conto di specifiche circostanze (nella specie, presenza di una o più proposte di acquisto, eventuali condizioni disincentivanti all’acquisto, assoggettamento della convenzione edilizia al potere di recesso dell’amministrazione, scelta processuale dell’operatore di chiedere la risoluzione della convenzione senza ricercare ulteriori chance di vendita).

In materia di risarcimento del lucro cessante, va accolta la tesi ontologica del danno da perdita di chance, qualificando la chance alla stregua di una posta attiva del patrimonio del danneggiato assistita da una consistenza probabilistica adeguata circa il conseguimento dell’utilità finale attesa e, in ordine alla quantificazione, può farsi applicazione del criterio del principio della liquidazione in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 del codice civile.

Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa

Tar Lazio, Roma, sez. I, 25 febbraio 2025, n. 4128

Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso – Iter procedimentale – Momento istruttorio e decisorio – Provvedimento di scioglimento – Natura giuridica – Interessi rilevanti – Motivazione rafforzata – Comunicazione avvio procedimento – Non necessarietà

Il decreto presidenziale di cui all’art. 143 Tuel è l’esito di un articolato iter procedimentale che si avvia con l’azione della Prefettura territorialmente competente la quale nomina un’apposita commissione d’accesso presso gli uffici dell’ente locale, finalizzata ad acquisire tutti gli elementi concernenti eventuali collegamenti (ovvero influenze) tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata. L’esito degli accertamenti viene vagliato dalla Prefettura la quale trasmette un’apposita relazione al Ministro dell’interno che, a sua volta, propone al Consiglio dei ministri lo scioglimento dell’ente locale e la nomina di una commissione straordinaria per la gestione dello stesso. Una volta deliberato dal Consiglio dei Ministri lo scioglimento, esso è disposto con decreto del Presidente della Repubblica. L’attività degli organi statali periferici è di natura istruttoria, mentre il momento decisorio è rimesso al Governo (nella sua composizione collegiale) in base alla proposta del Ministro dell’interno la quale, ovviamente, può recepire in tutto o in parte quanto evidenziato nella relazione prefettizia.

Il provvedimento di scioglimento è una misura straordinaria, di carattere non sanzionatorio bensì preventivo, per affrontare una situazione emergenziale e finalizzata alla salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata. L’interesse curato dall’amministrazione statale è di rango talmente elevato che il potere nell’apprezzamento degli elementi fattuali posti a base della decisione di scioglimento di un ente locale democraticamente eletto è particolarmente ampio, andando anche oltre le responsabilità personali dei singoli amministratori: ciò si traduce, indi, in una valutazione complessiva dello stato dell’apparato burocratico mediante un giudizio globale e sintetico che deve però evidenziare degli elementi «concreti, univoci e rilevanti» di collegamento con la criminalità organizzata di tipo mafioso, non potendosi ricorrere al commissariamento nei casi di gestione meramente inefficiente o inefficace.

La decisione di commissariare un ente ai sensi dell’art. 143 Tuel è (quasi) sempre basata su una molteplicità di percorsi argomentativi che si fondono tra loro, pur mantenendo una loro unitarietà potendo (spesso) anche autonomamente costituire ragione sufficiente a giustificare lo scioglimento: pertanto, gli interessati debbono dimostrare l’erroneità della totalità (o quanto meno della gran parte) degli iter logico-motivazionali impiegati dall’amministrazione quale spiegazione della propria decisione.

È esclusa la necessità di garantire la piena partecipazione degli interessati, in considerazione della «natura di misura straordinaria di prevenzione che ha il provvedimento di scioglimento e della funzione ritenuta prevalente dall’ordinamento, di salvaguardia della funzionalità dell’amministrazione pubblica e di rimedio a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale, dovuto al condizionamento da parte della criminalità organizzata». Conseguentemente, la lamentata mancanza di una formale comunicazione di avvio del procedimento amministrativo (ai sensi dell’art. 7 l. 241/1990) e l’omissione di un reale contraddittorio, sono perfettamente legittimi tenuto conto della natura preventiva e cautelare del decreto di scioglimento e della circostanza che gli interessi coinvolti non concernono, se non indirettamente, persone, riguardando piuttosto la complessiva operatività dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale.

Formazione della giunta comunale e parità di genere

Tar Campania, Napoli, sez. I, 10 febbraio 2025, n. 1087

Giunta comunale – Designazione componenti – Parità di genere – Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti – Onere sindacale di ricerca di componenti di genere femminile anche esterni al Consiglio – Mancata disponibilità – Onere motivazionale attenuato

Ai fini del rispetto della parità di genere nell’ambito della giunta comunale, ai sensi dell’art. 6 comma 3 e 46 comma 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico degli enti locali), spetta al sindaco svolgere l’attività volta ad acquisire la disponibilità di soggetti femminili, anche esterni al consiglio per i Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, ai sensi dell’art. 47, comma 4, del medesimo decreto legislativo, motivando adeguatamente l’eventuale impossibilità di adeguamento alla legge; incombe pertanto sul sindaco l’onere di provare di non essere riuscito ad acquisire la disponibilità allo svolgimento della funzione assessorile da parte di un rappresentante del genere femminile.

Ai fini del rispetto della parità di genere la natura fiduciaria della carica assessorile non può giustificare la limitazione di un eventuale interpello alle sole persone appartenenti alla stessa lista o alla stessa coalizione di quella che ha espresso il sindaco; ciò a maggior ragione in realtà locali non particolarmente estese.