Varie

Manutenzione impianti termici e accordi tra enti locali

Consiglio di Stato, sez. V, 4 giugno 2025, n. 4864

Servizi pubblici – Servizio di verifica e controllo dell’esercizio e della manutenzione degli impianti termici – Normativa Regione Lazio – Accordi fra Enti locali

Nel settore delle prestazioni energetiche dell’edilizia, l’art. 9 del d.lgs. n. 192 del 2005 stabilisce che le autorità competenti realizzano con cadenza periodica gli accertamenti e le ispezioni necessarie all’osservanza delle norme relative al contenimento dei consumi di energia nell’esercizio e manutenzione degli impianti di climatizzazione e assicurano che la copertura dei costi avvenga con una equa ripartizione tra tutti gli utenti finali e l’integrazione di questa attività nel sistema delle ispezioni degli impianti all’interno degli edifici previsto all’articolo 1, comma 44, della legge n. 239 del 2004, così da garantire il minor onere e il minor impatto possibile a carico dei cittadini. La disposizione precisa espressamente che tali controlli sono svolti “privilegiando accordi tra gli enti locali o anche attraverso altri organismi pubblici o privati di cui sia garantita la qualificazione e l’indipendenza”. Il regolamento della Regione Lazio n. 30 del 2020, all’art. 26, prevede che i Comuni con popolazione superiore ai 40.000 abitanti possono concludere, ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 241 del 1990, accordi con le rispettive amministrazioni provinciali e la città metropolitana di Roma capitale, per lo svolgimento coordinato delle attività previste nel presente regolamento (tra cui appunto le ispezioni di cui al precedente art. 19, nonché per la predisposizione di un regolamento-tipo ai fini del recepimento uniforme delle disposizioni dallo stesso previste). Nell’attuale impianto normativo, dunque, lo strumento dell’accordo tra gli enti locali integra una scelta prioritaria e privilegiata rispetto al ricorso a soggetti privati, per cui non solo è lecito, ma addirittura preferibile.

Accesso, mancata detenzione dei documenti e oneri probatori

Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 18 giugno 2025, n. 1334

Procedimento amministrativo – Accesso – Ratio – Legittimazione – Mancata detenzione o custodia – Responsabilità della P.A.

L’art. 22, co. 2, L. 241/1990, definisce l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, quale principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza. Il successivo comma 3 afferma il principio della massima ostensione dei documenti amministrativi.

Quanto alla legittimazione all’accesso, l’art. 22, co. 1, lett. b), L. n. 241/1990, menziona tutti i soggetti privati, ivi inclusi i portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

Ove i documenti siano stati indicati puntualmente (quantomeno per categoria), e ove questi rientrino ordinariamente nel patrimonio dell’archivio dell’ente, incombe sulla P.A. resistente l’onere di assumersi la responsabilità di dichiarare la mancata detenzione o custodia dei documenti.

Complessità istruttoria e discrezionalità tecnica

Tar Piemonte, Torino, sez. II, 26 maggio 2025, n. 872

Procedimento amministrativo – Questioni tecnico-scientifiche di particolare complessità – Discrezionalità tecnica – Inquinamento ambientale – Nesso di causalità – Criteri di accertamento – Principio del “chi inquina paga” – Presunzioni semplici – Attività pericolosa – Prova liberatoria – Obblighi di ripristino e bonifica – Intervento di messa in sicurezza – Responsabilità solidale

Nelle materie in cui è chiamata a risolvere questioni tecnico-scientifiche di particolare complessità (come nel caso dell’individuazione delle cause e delle relative responsabilità rispetto a fenomeni di inquinamento ambientale), l’autorità amministrativa dispone di una discrezionalità tecnica molto ampia, sindacabile in sede giurisdizionale solo nel caso di risultati abnormi o manifestamente illogici e contraddittori.

L’accertamento del nesso di causalità fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti si basa sul criterio di matrice civilistica del c.d. “più probabile che non”, il quale richiede semplicemente che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità sia più probabile della sua negazione. La nozione di causa dell’inquinamento, in applicazione del principio “chi inquina paga” (che consiste nell’addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), va peraltro intesa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento. L’accertamento di un tale contributo causale può essere compiuto dall’amministrazione anche avvalendosi di presunzioni semplici ex art. 2727 c.c., quali, ad esempio, la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività.

La produzione su scala industriale di prodotti di tipo chimico costituisce un’attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c. che rende il relativo autore responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne sia conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione. La giurisprudenza civile ha, peraltro, evidenziato come tale prova liberatoria debba essere fornita con estremo rigore, tanto da far assumere alla presunzione di responsabilità stabilita dall’art. 2050 c.c. una connotazione sostanzialmente oggettiva. Infatti, al fine di esimersi da responsabilità, per l’esercente l’attività pericolosa non è sufficiente dimostrare di aver rispettato la normativa vigente nell’esercizio dell’attività o di non aver commesso alcuna negligenza, dovendo invece provare positivamente di aver fatto tutto il possibile per prevenire il danno, stante l’esigenza di assicurare il rispetto di standard oggettivi rigorosi e adeguati al rischio intrinseco dell’attività, in un’ottica di prevenzione e tutela della sicurezza collettiva. Egli risponde, dunque, in ragione dell’oggettiva mancanza delle misure protettive idonee, non essendogli sufficiente, per ottenere l’esonero, la prova di essere personalmente incolpevole; cosicché, quand’anche avesse adottato una qualche misura atta ad evitare il danno, ma non tutte quelle misure astrattamente disponibili a tal fine, l’unica prova liberatoria di cui potrà avvalersi è quella che gli consenta di escludere il nesso causale tra la propria condotta e il danno subito dal danneggiato, quindi, in sostanza, che riesca a provare il caso fortuito.

Tale ricostruzione in termini sostanzialmente oggettivi della presunzione di responsabilità stabilita dall’art. 2050 c.c. a carico dell’esercente una generica attività pericolosa trova peraltro una specifica declinazione proprio nella materia dell’inquinamento ambientale, posto che dal combinato disposto delle norme di cui agli articoli 242, 244, 298 bis, comma 1, lett. a), e 311, comma 2, primo periodo, del D. Lgs. n. 152/ 2006 si ricava che l’operatore che abbia causato un danno ambientale nello svolgimento delle attività pericolose di cui all’allegato 5 alla parte sesta del predetto Decreto può essere onerato degli obblighi di ripristino e bonifica sulla base del semplice nesso di causalità tra la sua attività e l’inquinamento riscontrato, senza che l’amministrazione sia tenuta a dimostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, essendo a carico dell’operatore fornire la rigorosa prova liberatoria consistente nella sussistenza di una delle cause di esonero della responsabilità espressamente previste dall’art. 308, commi 4 e 5, del D. Lgs. 152/2006, vale a dire, in sostanza, che l’inquinamento sia stato provocato da un terzo nonostante l’esistenza di misure astrattamente idonee, oppure sia stato causato dall’esecuzione di un ordine obbligatorio impartito dall’autorità, o ancora sia stato autorizzato in conformità alla disciplina legislativa e regolamentare vigente, o che non sia riconducibile alla sua attività secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche vigenti al momento del suo svolgimento.

L’approvazione di un intervento di messa in sicurezza e bonifica si basa infatti sui dati e sugli studi presentati dal proponente e posti alla base del suo progetto, di cui viene previamente verificata l’astratta attendibilità e congruenza rispetto all’obiettivo posto, senza tuttavia che ciò basti ad esimere il proponente dalla responsabilità in ordine alla concreta e completa efficacia del progetto proposto e realizzato, i cui effetti vengono infatti verificati e monitorati e sono sempre suscettibili di implementazioni e miglioramenti in modo tale da raggiungere il fine del completo rispristino ambientale, che continua ad incombere sempre sul responsabile della contaminazione (quand’anche l’amministrazione dovesse aver erroneamente valutato in modo favorevole un progetto poi rivelatosi inadeguato o insufficiente).

La ripartizione delle quote di responsabilità tra i soggetti ritenuti solidalmente responsabili per un inquinamento ambientale non costituisce un elemento necessario del provvedimento adottato ai sensi dell’art. 244 del D. lgs. 152/2006.

La motivazione “plurale”

Tar Veneto, Venezia, sez. I, 4 giugno 2025, n. 883

Provvedimento amministrativo – Pluralità di motivi – Legittimità o illegittimità di un motivo – Effetti sul provvedimento

Quando un provvedimento amministrativo è fondato su una pluralità di autonomi motivi, la legittimità di uno solo di essi è sufficiente a sorreggerlo, mentre l’eventuale illegittimità di uno solo o più degli altri motivi non basta a determinarne l’illegittimità.

Accettazione della candidatura: elementi costitutivi

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 2 maggio 2025, n. 787

Elezioni amministrative – Accettazione della candidatura – Procedura di autenticazione – Elementi costitutivi – Indicazione del luogo – Necessarietà – Soccorso istruttorio – Inammissibilità

Nella procedura di autenticazione della sottoscrizione dell’accettazione della candidatura, l’indicazione del luogo in cui si è provveduto alla autenticazione è elemento essenziale e costitutivo la cui omissione, già di per sé rilevante, assume una specifica incidenza sostanziale ove all’autenticazione provveda un consigliere comunale. L’omessa indicazione del luogo di autenticazione da parte di chi può esercitare il potere eccezionalmente attribuitogli dall’ordinamento esclusivamente all’interno di un determinato territorio impedisce, infatti, di verificare la legittimazione dell’agente e, quindi, la validità stessa della autenticazione.

Non è ammesso il soccorso istruttorio di cui all’articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 in caso di omessa indicazione del luogo di autenticazione della sottoscrizione dell’accettazione di candidatura, trattandosi di un vizio sostanziale e non meramente formale che riguarda uno degli elementi costitutivi dell’autenticazione previsti dall’articolo 21, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Vincolo storico-artistico e oneri motivazionali

Consiglio di Stato, sez. IV, 19 maggio 2025, n. 4259

Beni culturali, paesaggistici e ambientali – Apposizione del vincolo – Relazione della Sopraintendenza – Precedenti difformi – Onere motivazionale rafforzato

È illegittimo il decreto di apposizione del vincolo storico artistico, ex art. 10 comma 3 lett. d),  d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, quando la relazione Soprintendenza posta a sua fondamento si rilevi contraddittoria e carente nella motivazione per genericità delle considerazioni espresse dall’amministrazione a sostegno della dichiarazione di interesse culturale “storico-relazionale”, dovendo la stessa recare riferimenti  a eventi storici specifici e alla rilevanza del bene quale testimonianza dell’identità e della storia delle «istituzioni pubbliche, collettive o religiose». Sussiste inoltre un onere di motivazione rafforzato allorquando le ragioni espresse a sostegno dell’apposizione del vincolo contrastino con altre valutazioni espresse in precedenza dalla Soprintendenza.

Beni culturali e prescrizioni di tutela indiretta

Consiglio di Stato, sez. VI, 28 aprile 2025, n. 3575

Tutela dei beni culturali – Prescrizioni di tutela indiretta – Ratio – Discrezionalità – Proporzionalità – Onere motivazionale rafforzato

Le “prescrizioni di tutela indiretta”, previste dall’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004, hanno la funzione di completamento pertinenziale della visione e della fruizione dell’immobile principale (gravato da vincolo “diretto”). I beni oggetto di tutela indiretta vengono quindi asserviti ai beni culturali al fine di garantire a questi ultimi una “fascia di rispetto”, funzionale alla massima espressione del loro valore culturale. Il legislatore, pur individuando  le finalità che il vincolo indiretto deve perseguire, ha lasciato non completamente tipizzate le varie prescrizioni  che l’amministrazione può di volta in volta apporre al fine del perseguimento di detti obiettivi.

Nell’esercizio di un potere, connotato da discrezionalità mista, di dettare prescrizioni di utilizzo dei beni sottoposti a vincolo indiretto, il Ministero deve contemperare, da un lato, le esigenze di cura e integrità e, dall’altro, la fruizione e la valorizzazione dinamica del bene culturale. Inoltre, non può escludersi che l’amministrazione tenga legittimamente in considerazione anche interessi ulteriori rispetto a quello culturale.

Lo scrutinio del provvedimento di vincolo indiretto deve condursi anche alla luce del principio di proporzionalità, non solo con riguardo alle componenti della idoneità  e della necessarietà  ma anche con riguardo al profilo della “proporzionalità in senso stretto”, che implica che una misura adottata dai pubblici poteri non debba mai essere tale da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto, così da risultargli un peso intollerabile.

È affetta da deficit istruttorio e motivazionale la prescrizione contenuta nel decreto ministeriale impositivo di vincolo indiretto a tutela di un bene monumentale ospedaliero – che consentirebbe la realizzazione di nuovi edifici totalmente avulsi dal contesto stilistico e tipologico dell’area se destinati a funzione sanitaria – che non trovi supporto negli atti istruttori e in particolare  nella relazione della Soprintendenza  e che si ponga in contrasto con l’esigenza di preservare la cornice ambientale del bene principale. La valutazione di parziale recessività dell’interesse culturale rispetto all’esigenza di realizzare, in prossimità dell’edifico storico, nuove strutture edilizie a vocazione sanitaria deve essere supportata da un’adeguata e rigorosa motivazione, condotta al lume del principio di proporzionalità.

Overtourism e misure di contrasto

Consiglio di Stato, sez. IV, 15 aprile 2025, n. 3258

Beni culturali – Interventi di riqualificazione e valorizzazione – Discrezionalità amministrativa – Fenomeno dell’“overtourism” – Principio di ragionevolezza – Interessi coinvolti

Nell’ipotesi in cui si debbano realizzare opere relative alla riqualificazione e valorizzazione dei beni culturali, anche ai fini della loro fruizione collettiva, il principio di ragionevolezza – che del resto, sovraintende l’esercizio della discrezionalità amministrativa – richiede che nella individuazione delle soluzioni progettuali si tenga conto dell’impatto dell’accesso dei turisti sulle esigenze di riservatezza e di quiete delle proprietà confinanti, onde  bilanciare tutti gli interessi, tenendo conto dell’attuale contesto economico e socio-culturale, globale e locale, sempre più colpito da fenomeni di iperturismo (cd. overtourism), e dei disagi che il massiccio afflusso turistico arreca ai residenti.

Di fronte al fenomeno, ormai endemico e fisiologico, dell'”overtourism” emerge la necessità per l’amministrazione di un bilanciamento degli interessi di tipo nuovo, venendo in maggiore rilievo, rispetto al passato, i seguenti profili: i) la conservazione del bene-risorsa turistica; ii) la tutela dei cittadini e delle imprese residenti nelle aree oggetto di attrazione turistica; iii) il macro-impatto sul territorio (ad esempio, l’emergenza abitativa conseguente alla prevalente destinazione degli immobili ad affitti a breve termine per i turisti, con sacrificio della precedente offerta abitativa verso cittadini e studenti).

Impianto privato di trattamento rifiuti e contributo di costruzione

Intervento di nuova costruzione – RSU – Impianto di trattamento rifiuti privato – Contributo di costruzione – Esonero – Presupposti

L’esenzione dal contributo di costruzione previsto dalla prima parte della lett. c) del comma 3 dell’art. 17 d.P.R. 380 del 2001 deve fondarsi sull’esistenza di un vincolo indissolubile tra l’opera da realizzare e l’erogazione diretta del servizio – da desumere delle sue oggettive caratteristiche – non essendo sufficiente un rapporto strumentalità o la mera possibilità che le opere, in futuro, per effetto della concessione o di accordi convenzionali, possano divenire di proprietà pubblica.

Ad un impianto di trattamento rifiuti privato, realizzato da un soggetto anch’esso privato, che persegue finalità lucrative, non può applicarsi l’esenzione del contributo di costruzione previsto dalla prima parte della lett. c) del comma 3 dell’art. 17 d.P.R. 380 del 2001.

Locazione turistica e poteri di controllo comunale

Consiglio di Stato, sez. V, 7 aprile 2025, n. 2928

Attività di locazione turistica esercitata in forma non imprenditoriale – Normativa Regione Lombardia – Poteri di controllo comunale – Insussistenza – Turismo – Competenza legislativa – Titolo abilitativo – Ratio e finalità – Requisiti edilizi ed igienico-sanitari – Carenza – Conseguenze

La legge della regione Lombardia 1 ottobre 2015, n. 27 non conferisce ai comuni alcun potere di controllo sulla stipula di contratti di locazione turistica al di fuori dell’esercizio di un’attività imprenditoriale.

La materia del turismo rientra nella competenza legislativa residuale delle regioni, fermo restando la possibilità di intervento dello Stato nella materia dell’ordinamento civile di sua competenza esclusiva di cui all’articolo 117, comma 2 lett. l), della Costituzione, al quale è riconducibile la libertà contrattuale in materia di locazione turistica e che può interferire con il settore del turismo.

L’attività di locazione per finalità turistica esercitata in forma non imprenditoriale, riconducibile al mero godimento indiretto di beni immobili, non richiede la segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ma una mera comunicazione di inizio attività (c.i.a.), a fini di monitoraggio e non è quindi soggetta a poteri prescrittivi ed inibitori dell’amministrazione locale.

Gli immobili destinati a locazioni per finalità turistiche devono possedere i requisiti edilizi ed igienico-sanitari previsti dalla normativa primaria e secondaria per i locali di civile abitazione ma l’eventuale carenza di tali requisiti, mentre può ripercuotersi sulla validità o sull’adempimento del contratto di locazione eventualmente stipulato, non legittima l’inibizione, da parte dell’amministrazione, della stipula del contratto.