Tar Piemonte, Torino, sez. II, 26 maggio 2025, n. 872
Procedimento amministrativo – Questioni tecnico-scientifiche di particolare complessità – Discrezionalità tecnica – Inquinamento ambientale – Nesso di causalità – Criteri di accertamento – Principio del “chi inquina paga” – Presunzioni semplici – Attività pericolosa – Prova liberatoria – Obblighi di ripristino e bonifica – Intervento di messa in sicurezza – Responsabilità solidale
Nelle materie in cui è chiamata a risolvere questioni tecnico-scientifiche di particolare complessità (come nel caso dell’individuazione delle cause e delle relative responsabilità rispetto a fenomeni di inquinamento ambientale), l’autorità amministrativa dispone di una discrezionalità tecnica molto ampia, sindacabile in sede giurisdizionale solo nel caso di risultati abnormi o manifestamente illogici e contraddittori.
L’accertamento del nesso di causalità fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti si basa sul criterio di matrice civilistica del c.d. “più probabile che non”, il quale richiede semplicemente che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità sia più probabile della sua negazione. La nozione di causa dell’inquinamento, in applicazione del principio “chi inquina paga” (che consiste nell’addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), va peraltro intesa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento. L’accertamento di un tale contributo causale può essere compiuto dall’amministrazione anche avvalendosi di presunzioni semplici ex art. 2727 c.c., quali, ad esempio, la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività.
La produzione su scala industriale di prodotti di tipo chimico costituisce un’attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c. che rende il relativo autore responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne sia conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione. La giurisprudenza civile ha, peraltro, evidenziato come tale prova liberatoria debba essere fornita con estremo rigore, tanto da far assumere alla presunzione di responsabilità stabilita dall’art. 2050 c.c. una connotazione sostanzialmente oggettiva. Infatti, al fine di esimersi da responsabilità, per l’esercente l’attività pericolosa non è sufficiente dimostrare di aver rispettato la normativa vigente nell’esercizio dell’attività o di non aver commesso alcuna negligenza, dovendo invece provare positivamente di aver fatto tutto il possibile per prevenire il danno, stante l’esigenza di assicurare il rispetto di standard oggettivi rigorosi e adeguati al rischio intrinseco dell’attività, in un’ottica di prevenzione e tutela della sicurezza collettiva. Egli risponde, dunque, in ragione dell’oggettiva mancanza delle misure protettive idonee, non essendogli sufficiente, per ottenere l’esonero, la prova di essere personalmente incolpevole; cosicché, quand’anche avesse adottato una qualche misura atta ad evitare il danno, ma non tutte quelle misure astrattamente disponibili a tal fine, l’unica prova liberatoria di cui potrà avvalersi è quella che gli consenta di escludere il nesso causale tra la propria condotta e il danno subito dal danneggiato, quindi, in sostanza, che riesca a provare il caso fortuito.
Tale ricostruzione in termini sostanzialmente oggettivi della presunzione di responsabilità stabilita dall’art. 2050 c.c. a carico dell’esercente una generica attività pericolosa trova peraltro una specifica declinazione proprio nella materia dell’inquinamento ambientale, posto che dal combinato disposto delle norme di cui agli articoli 242, 244, 298 bis, comma 1, lett. a), e 311, comma 2, primo periodo, del D. Lgs. n. 152/ 2006 si ricava che l’operatore che abbia causato un danno ambientale nello svolgimento delle attività pericolose di cui all’allegato 5 alla parte sesta del predetto Decreto può essere onerato degli obblighi di ripristino e bonifica sulla base del semplice nesso di causalità tra la sua attività e l’inquinamento riscontrato, senza che l’amministrazione sia tenuta a dimostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, essendo a carico dell’operatore fornire la rigorosa prova liberatoria consistente nella sussistenza di una delle cause di esonero della responsabilità espressamente previste dall’art. 308, commi 4 e 5, del D. Lgs. 152/2006, vale a dire, in sostanza, che l’inquinamento sia stato provocato da un terzo nonostante l’esistenza di misure astrattamente idonee, oppure sia stato causato dall’esecuzione di un ordine obbligatorio impartito dall’autorità, o ancora sia stato autorizzato in conformità alla disciplina legislativa e regolamentare vigente, o che non sia riconducibile alla sua attività secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche vigenti al momento del suo svolgimento.
L’approvazione di un intervento di messa in sicurezza e bonifica si basa infatti sui dati e sugli studi presentati dal proponente e posti alla base del suo progetto, di cui viene previamente verificata l’astratta attendibilità e congruenza rispetto all’obiettivo posto, senza tuttavia che ciò basti ad esimere il proponente dalla responsabilità in ordine alla concreta e completa efficacia del progetto proposto e realizzato, i cui effetti vengono infatti verificati e monitorati e sono sempre suscettibili di implementazioni e miglioramenti in modo tale da raggiungere il fine del completo rispristino ambientale, che continua ad incombere sempre sul responsabile della contaminazione (quand’anche l’amministrazione dovesse aver erroneamente valutato in modo favorevole un progetto poi rivelatosi inadeguato o insufficiente).
La ripartizione delle quote di responsabilità tra i soggetti ritenuti solidalmente responsabili per un inquinamento ambientale non costituisce un elemento necessario del provvedimento adottato ai sensi dell’art. 244 del D. lgs. 152/2006.