Harald Bonura

Piscine e abusi edilizi

Tar Sicilia, Palermo, sez. IV, 3 febbraio 2025, n. 288

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Comunicazione avvio procedimento – Non necessarietà – Termine di esecuzione – Garanzia partecipativa – Volume tecnico – Pertinenza – Nozione – Qualificazione di piscine – Criteri – Unità di misura

L’ordine di demolizione, conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, non essendo prevista alcuna possibilità per l’Amministrazione di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene. La previsione di un termine per l’esecuzione della demolizione assicura comunque una forma equivalente di tutela procedimentale ad istanze partecipative.

In materia urbanistica, la nozione di volume tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria, si applica con riferimento ad opere edilizie prive di una loro autonomia funzionale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa. Si tratta, in particolare, di impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione, che non possono essere ubicati all’interno di essa e che sono connessi alla condotta idrica, termica, ascensore, etc.

A differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi, il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma è altresì sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta ulteriore “carico urbanistico”, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale col fabbricato principale.

Per distinguere tra la qualificazione della piscina quale nuova opera edilizia, ovvero invece quale pertinenza, non ci si deve affidare ad astratte affermazioni di principio, ma è necessario esaminare, volta per volta, le specifiche caratteristiche e dimensioni delle opere in scrutinio.

L’installazione di una piscina di non rilevanti dimensioni rientra nell’ambito delle pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti.

In tale ottica, in linea generale una piscina realizzata in una proprietà privata a corredo esclusivo della stessa non possiede un’autonomia immobiliare, ma deve considerarsi quale pertinenza dell’immobile principale esistente, essendo destinata a servizio dello stesso.

Ai fini della valutazione della “rilevanza” delle misure delle piscine, la più appropriata unità di misura non è il metro quadrato (ossia la superficie dello specchio acqueo), bensì il metro lineare (vale a dire la lunghezza del massimo segmento di retta percorribile da un nuotatore tra i due punti più distanti della piscina).

Le prestazioni migliorative e le varianti

Tar Campania, Napoli, sez. I, 20 gennaio 2025, n. 506

Contratti pubblici – Appalto di lavori – Prestazioni migliorative – Nozione – Ammissibilità – Varianti – Differenze

La rivisitazione delle lavorazioni a base di gara attraverso l’offerta e la specificazione dei materiali utilizzati può costituire una prestazione migliorativa in chiave qualitativa la cui ammissibilità trova riscontro nella nozione stessa di “miglioria” per come elaborata in giurisprudenza in contrapposizione a quella di “variante”. Difatti, le prestazioni migliorative consistono in soluzioni tecniche che investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell’opera, configurandosi come integrazioni e precisazioni che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste.

Sale da gioco e violazione degli orari di apertura

Consiglio di Stato, sez. V, 4 febbraio 2025, n.  868

Sale da gioco e scommesse – Orari di apertura – Violazione reiterata – Sospensione dell’attività per un tempo ragionevole e adeguato – Legittimità

Pur nella consapevolezza di un precedente contrario (Cons. Stato, V, 7 dicembre 2023, n. 10632), ritiene il Collegio di dover confermare il proprio indirizzo, alla cui stregua il Comune può legittimamente prevedere che, in caso di reiterata violazione della disciplina sindacale sugli orari di apertura delle sale da gioco e di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro, si applichi la misura restrittiva della sospensione dell’attività per un tempo ragionevole e adeguato.

Le restrizioni al gioco d’azzardo lecito

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 febbraio 2025, n. 1066

Sale da gioco o scommessa – Localizzazione – Distanze minime – Scuola dell’infanzia e asilo nido – Restrizioni al gioco di azzardo lecito – Legittimità – Interessi protetti

Anche la scuola dell’infanzia è qualificabile come “istituto di istruzione” e non “di mera formazione” anche ai fini del rispetto dell’obbligo della distanza minima dai luoghi in cui sono praticate le attività di gioco e scommessa e comunque anche il nido rientra nel “complesso dei servizi all’infanzia” (si vedano gli “Orientamenti nazionali per servizi educativi per l’infanzia” adottati con decreto ministeriale 24 febbraio 2022, n. 43), nell’ambito del Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e i bambini in età compresa dalla nascita fino ai sei anni (cfr. art. 1 del d. lgs. 13 aprile 2017, n. 65).

La giurisprudenza della Corte di giustizia consente agli Stati membri di adottare restrizioni al gioco d’azzardo lecito giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco (per tutte cfr. Corte di giustizia UE 22 ottobre 2014 C-344/13 e C-367/13 e 30 giugno 2011 C-¬212/08).

SCIA e autotutela “tardiva”

Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 30 gennaio 2025, n. 54

Procedimento amministrativo – SCIA – Intervento in autotutela tardivo – Presupposti

Ai fini del legittimo esercizio del potere di intervento in autotutela c.d. “tardivo” sulla segnalazione certificata di inizio attività è indispensabile che, ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, l’Autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

I rifiuti da fanghi derivanti dal trattamento di acque reflue

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 febbraio 2025, n. 1064

RSU – Nozione – Fanghi derivanti dal trattamento di acque reflue

I fanghi prodotti nell’ambito dell’attività di depurazione dei reflui possono essere sottoposti alla disciplina dei rifiuti solo una volta completato il processo di trattamento, ovvero se il produttore abbia necessità di disfarsene, sì che il recupero dei fanghi presso impianti di depurazione più grandi e avanzati deve ritenersi consentito.

La nozione di rifiuto è definita dall’art. 183, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale stabilisce che come tale deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi; la definizione fornita da tale norma si basa sul dato funzionale, con la conseguenza che, per stabilire se una determinata sostanza o un determinato oggetto siano da considerare rifiuto, non occorre individuarne gli elementi intrinseci che ne determinano la qualificazione, ma occorre piuttosto far riferimento appunto alla sua funzione, essendo rifiuto tutto ciò da cui il detentore non tragga alcuna utilità e di cui, quindi, si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo; si deve pertanto ritenere, in tale quadro, che un bene o una sostanza (soprattutto se privi di apprezzabile valore economico) debbano essere considerati rifiuto non solo quando questi vengano abbandonati dal detentore, ma anche quando questi li depositi nell’ambiente assegnando ad essi una funzione che non è loro propria senza ricavarne alcuna apprezzabile utilità all’evidente fine quindi di sottrarsi dall’obbligo di recupero o smaltimento.

La Corte di Giustizia UE ha poi precisato che l’espressione “disfarsi” (utilizzata anche nella definizione di “rifiuto” fornita dalla direttiva 2006/12/CE) deve essere intesa in senso non restrittivo dovendosi tener conto dell’obiettivo di tale direttiva che, ai sensi del suo considerando 2, consiste nella tutela della salute umana e dell’ambiente (cfr. Corte di Giustizia UE, sez. I, 12 dicembre 2013, cause riunite C-241/12 e C-242/12, par 38). Rilevante nella ricostruzione del quadro normativo è l’art. 127 del d.lgs. n.152 del 2006 (Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue), secondo cui “i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”. L’espressione “comunque solo” è stata inserita dall’articolo 9, comma 1, del d.l. del 14 aprile 2023, n. 39, convertito con modificazioni dalla legge 13 giugno 2023, n. 68, e rafforza sostanzialmente quanto poteva già desumersi prima del citato intervento normativo ovvero che la qualifica di rifiuto può essere attribuita ai fanghi solo al termine del complessivo processo di trattamento.

Il potere organizzativo degli enti locali

Tar Lazio, Roma, sez. II bis, 12 febbraio 2025, n. 3093

Poteri amministrativi e potere regolamentare comunale di tipi organizzativo – Fonti di energie rinnovabili – Principio di massima diffusione – Deroga – Localizzazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili – Distanze minime – Contemperamento degli interessi

L’art. 117, comma 6, Cost. ha costituzionalizzato la potestà regolamentare di tipo organizzativo in capo agli enti locali, sancendo così il principio della corrispondenza tra poteri amministrativi e potestà regolamentare di tipo organizzativo. Ne deriva che gli enti locali sono chiamati ad adottare regolamenti organizzativi che disciplinino le loro funzioni e assetto organizzativo.

L’art. 7 TUEL stabilisce che – anche se la potestà regolamentare comunale è di tipo organizzativo – essa deve essere esercitata nel rispetto dei principi generali fissati dalla legge statale o regionale e comunque dello statuto dell’ente locale. Pertanto, tali regolamenti possono essere sindacati in sede giurisdizionale. Del resto, l’art. 14 DPR 1199/1971 individua il carattere sostanzialmente normativo del regolamento, ma gli riconosce altresì la veste formalmente amministrativa, con la conseguenza per la quale il regime di impugnazione ben può essere individuato nell’ordinario sistema rimediale (caducatorio-annullatorio).

Il diritto UE, in cui da ultimo s’inscrive il Regolamento UE 2022/2577, mira a favorire un quadro normativo che intende favorire la massima diffusione delle energie rinnovabili, cosicché la normativa nazionale che ponga dettami restrittivi rispetto a tale obiettivo deve essere ritenuta ostativa.

È fatto divieto al legislatore di introdurre disposizioni primarie, ma ciò vale a fortiori per quelle secondarie, contenenti un divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili. E ciò in quanto la prescrizione di limiti normativi generali, specialmente in relazione alle distanze minime, viola il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili.

Tale principio, secondo l’insegnamento della Consulta, può sì trovare eccezione, ma solo in presenza di esigenze di tutela della salute, di necessità paesaggistico-ambientali o attinenti all’assetto urbanistico del territorio, tuttavia da valutarsi in concreto da parte della PA, all’esito di un procedimento amministrativo che ponderi i diversi interessi coinvolti. In altre parole, una disciplina normativamente prevista con riferimento alle distanze minime, stabilite in via generale, senza previa istruttoria o valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, non assicura il rispetto dei principi [di imparzialità e buon andamento della PA ex art. 97 Cost.], né offre una tutela adeguata ai diversi interessi coinvolti.

I servizi di gondola nella città di Venezia

Tar Veneto, Venezia, sez. II, 17 gennaio 2025, n. 70

Deliberazioni comunali – Albo pretorio – Onere di pubblicazione – Atti assoggettati – Servizio pubblico – Elemento distintivo – Caratteri – Servizio di gondola nella città di Venezia – Equiparazione al servizio “taxi” – Normativa statale e regionale

Ai sensi dell’art. 124 del TUEL, sono testualmente soggette a pubblicazione all’albo pretorio del Comune tutte le deliberazioni dell’ente. Tale disposizione deve essere interpretata nel senso che la pubblicazione all’albo pretorio del Comune è prescritta per tutte le deliberazioni del Comune e della Provincia ed essa riguarda non solo le deliberazioni degli organi di governo (Consiglio e Giunta municipali), ma anche le determinazioni dirigenziali.

L’identificazione giuridica di un’attività come servizio pubblico non richiede, sotto il profilo soggettivo, la natura pubblica del gestore, bensì la sussistenza di una norma che ne preveda l’istituzione obbligatoria o ne rimetta l’organizzazione all’Amministrazione competente. L’elemento distintivo del servizio pubblico risiede, dunque, nelle regole pubbliche che ne disciplinano lo svolgimento e nella doverosità della sua prestazione. In questa prospettiva, l’attività deve presentare un carattere economico e produttivo, generando utilità a favore di una collettività di utenti o, comunque, di terzi beneficiari. Tali utilità possono consistere tanto nella fruizione di servizi indivisibili quanto nella soddisfazione di bisogni individuali.

La normativa di riferimento in materia di “servizio di gondola nella città di Venezia” è costituita dalla l. 15 gennaio 1992, n. 21, c.d. Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea (taxi e noleggio con conducente), e dalla legge regionale della Regione Veneto 30 dicembre 1993, n. 63, la quale, nell’art. 3, comma 2, lett. a), include lo stesso nella nozione di servizio pubblico non di linea di trasporto di persone, equiparandolo al “servizio di taxi”. In particolare, la legge regionale attribuisce al Comune di Venezia il compito di istituire e organizzare il servizio di gondola, delegando ad esso tutte le funzioni amministrative in materia, incluse le procedure per la selezione degli aspiranti al rilascio delle licenze (artt. 22, 23 e 27, l.r. n. 63 del 1993). Tale servizio, per il suo carattere economico e produttivo, e per i benefici che genera a favore di una collettività di utenti, deve essere qualificato come servizio pubblico a tutti gli effetti, al pari del servizio di taxi, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del soggetto gestore (ossia del soggetto che, una volta ammesso alla graduatoria, abbia ottenuto la licenza per esercitare l’attività di trasporto). A conferma di ciò, la legge regionale n. 63 del 1993, all’art. 23, stabilisce espressamente che “il servizio pubblico di gondola rientra nei servizi pubblici non di linea di cui alla legge 15 gennaio 1992, n. 21” (comma 1).

La revoca di ordinanze di demolizione

Consiglio di Stato, sez. VII, 29 gennaio 2025, n. 711

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Revoca – Illegittimità – Discrezionalità amministrativa – Delibera di approvazione del piano operativo comunale tematico – Obiettivi

È illegittimo il provvedimento di revoca di ordinanze di demolizione di opere abusive che sia motivato con la sopravvenuta valutazione del prevalente interesse pubblico al mantenimento dei manufatti, poiché l’ampia discrezionalità del potere di revoca presuppone la natura a sua volta discrezionale del provvedimento di primo grado che, nel caso di ordinanza di demolizione di opere abusive, va esclusa trattandosi di potere vincolato. L’ampia discrezionalità propria dello jus poenitendi non può surrogare l’assenza di discrezionalità del provvedimento repressivo degli abusi edilizi e l’accertata abusività degli interventi edilizi impedisce di dare rilevanza agli elementi sopravvenuti.

È illegittima la delibera di approvazione del piano operativo comunale tematico (POC) che tenda non tanto alla riqualificazione di fabbricati esistenti, quanto alla sanatoria di opere abusive. Difatti, gli obiettivi del recupero, della rinaturalizzazione e della valorizzazione dell’area, oltre a dover risultare coerenti con la pianificazione sovraordinata, non possono avere ad oggetto insediamenti da demolire in forza di provvedimenti comunali repressivi degli abusi accertati.

Divieto di affissione di manifesti e libertà di manifestazione del pensiero

Consiglio di Stato, sez. V, 17 gennaio 2025, n. 362

Attività di propaganda pubblicitaria – Divieto di pubblicità ingannevole – Principi e criteri direttivi – Libertà di manifestazione del pensiero – Limitazioni – Ammissibilità – Affissione di manifesti nel territorio comunale – Diniego – Competenza comunale – Legittimità

La libertà di espressione del pensiero non è illimitata e assolutamente non controllata, ma, anche in applicazione dell’art. 10 comma 2 della Carta europea dei diritti dell’uomo, comportando doveri e responsabilità, può essere sottoposta dall’autorità pubblica anche a formalità, condizioni ovvero restrizioni, le quali, in una società democratica, appaiono misure necessarie a proteggere l’interesse pubblico superiore e la reputazione ovvero i diritti altrui. L’esplicazione di detta libertà – in specie quella che si avvale del mezzo pubblicitario, idoneo a raggiungere numerosi ed indifferenziati destinatari di una determinata comunità territoriale – non incontra solo i limiti della violenza e dell’aggressività verbale, dovendosi attribuire pari rilevanza alla “continenza espressiva” dei contenuti, nel rispetto della normativa, nonché dei principi di prudenza e precauzione, volti ad evitare impatti sulla sensibilità dei fruitori del messaggio e a garantirne la chiara corrispondenza al vero.

È legittima la delibera di giunta comunale avente ad oggetto il  diniego di affissione di manifesti nel territorio comunale, nell’ambito della campagna promossa da un’associazione anti-abortiva, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della pillola abortiva RU486, laddove siano  adeguatamente motivate le ragioni del diniego, senza l’espressione di alcun giudizio di valore in merito alla questione del diritto all’aborto, ma sul rilievo che i  manifesti siano  idonei a ingenerare in maniera ingiustificata allarme per la salute e la vita delle donne che ne fanno uso, trattandosi  di  farmaco approvato dalle autorità competenti. La libertà di manifestazione del pensiero non consente infatti di sovrapporre ingannevolmente la contestata finalità del farmaco alla sua distribuzione e utilizzazione debitamente autorizzate. Non è peraltro ravvisabile l’incompetenza della giunta, vertendosi su materia rientrante nella competenza residuale di detto organo, ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267.

Il comune è competente ad adottare regolamenti e atti di indirizzo volti a limitare la pubblicazione di manifesti pubblicitari ingannevoli, non essendo ravvisabile un contrasto con la riserva di legge di cui all’art. 21 Cost. Infatti, l’art. 3 del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507 consente all’amministrazione comunale di disciplinare con regolamento le modalità di effettuazione della pubblicità e di stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in relazione ad esigenze di pubblico interesse. Detto potere, anche  ai sensi del  richiamo al “codice di autodisciplina della comunicazione commerciale” contenuto nel regolamento comunale  per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni – che non esaurisce per intero il potere regolamentare e di indirizzo del comune – non può  intendersi limitato alla sola comunicazione  commerciale,  ma investe  ogni tipo di comunicazione pubblicitaria,  destinata a veicolare messaggi, di contenuto vario, compresi quelli volti a “sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale, anche specifici”,  ai sensi dell’art. 46 del Codice di autodisciplina,  per il tramite degli impianti pubblicitari comunali.

I decreti legislativi 2 agosto 2007, nn. 145 e 146, pur riferiti ad attività commerciali, dettano principi generali applicabili alla pubblicità, stabilendo che debba rispondere a canoni di trasparenza, verità e correttezza, e vietano qualsiasi forma di pubblicità ingannevole, intesa come quella idonea ad indurre in errore le persone cui è rivolta o che raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, ne possa pregiudicare il comportamento.