GIURISPRUDENZA

TARI: metodo “normalizzato” e metodo “puntuale”

Consiglio di Stato, sez. V, 7 gennaio 2025, n. 81

Servizi pubblici – RSU – TARI – Natura giuridica – Ratio – Delibere tariffarie – Metodo “normalizzato” e “puntuale” – Discrezionalità – Onere motivazionale

In materia di tari (tassa sui rifiuti), rientra nella facoltà dell’ente comunale dare applicazione al “metodo normalizzato” (applicazione della tariffa sulla base di parametri predeterminati dal legislatore) oppure al “metodo puntuale” (applicazione della tariffa sulla base di una valutazione quantitativa dei rifiuti effettivamente producibili), purché vengano adeguatamente giustificate le ragioni per cui si ritiene di optare per un metodo in luogo dell’altro e non derivino conseguenze manifestamente sproporzionate per i contribuenti. La scelta deve essere il frutto di adeguata ponderazione che induca l’amministrazione a scegliere uno dei due modelli non solo per ragioni di opportunità organizzativa, ma anche per le ricadute in termini pratici ed economici nei confronti degli utenti.

La tari (tassa sui rifiuti) è stata istituita con legge 27 dicembre 2013, n. 147, è destinata a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi. Le tariffe devono assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti e sono determinate con delibera del consiglio comunale sulla base dei costi individuati e classificati nel piano finanziario approvato dallo stesso consiglio.

Toponomastica e riparto di competenze

Consiglio di Stato, sez. I, parere 7 gennaio 2025, n. 4

Toponomastica – Competenza comunale – Procedimento di intitolazione di nuove strade – Deliberazione di Giunta comunale – Necessarietà

Da una lettura sistematica del quadro normativo vigente – legge 23 giugno 1927, n. 1188; legge 24 dicembre 1954, n. 1228; decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 – si desume che il Comune è l’esclusivo titolare della funzione amministrativa di toponomastica, mentre il Prefetto è chiamato a rilasciare o meno l’autorizzazione basandosi su ragioni di tutela dell’ordine pubblico o esigenze di regolarità anagrafica. Ne consegue che il corretto procedimento per l’intitolazione di nuove strade si articola in due fasi, la prima delle quali consta della delibera di giunta comunale e, la seconda, del nulla osta del Prefetto, di guisa che, in assenza di una preventiva deliberazione di giunta non vi sarebbe alcuna ipotesi di intitolazione da sottoporre al vaglio prefettizio.

Abuso edilizio e oneri di ripristino

Tar Sicilia, Catania, sez. I, 20 dicembre 2024, n. 4183

Abuso edilizio – Onere di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Riconducibilità di opere residue ad edilizia libera – Non ammissibilità

Qualora sia incontestata l’abusività di un intervento edilizio, l’amministrazione è tenuta a ripristinare l’esatto stato legittimo del fabbricato, non potendo – tramite demolizioni parziali o incomplete – ricondurre le opere residuate o porzioni delle stesse nell’ambito dell’edilizia libera né tantomeno può tollerarne la persistenza adducendo ragioni o valutazioni avulse dall’art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001.

Disabilità, sostegno e danno non patrimoniale

Consiglio di Stato, sez. VI, 15 gennaio 2025, n. 306

Assistenza scolastica – Alunni disabili – Insegnante di sostegno – Necessarietà – Danno non patrimoniale – Presupposti

La presenza dell’insegnante di sostegno è fondamentale per l’attuazione dei principi costituzionali relativi all’istruzione, all’inclusione di tutti i soggetti anche quelli con diversità, all’eguaglianza dei cittadini, secondo l’interpretazione dell’art. 3 Cost., che legittima il trattamento differenziato quando serve a evitare situazioni penalizzanti per certe categorie di cittadini, ossia quando è la non applicazione a determinare le osteggiate discriminazioni.

Il danno non patrimoniale, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del c.d. danno morale soggettivo, ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, purché la lesione dell’interesse superi una soglia minima di tollerabilità (imponendo il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., di tollerare le intrusioni minime nella propria sfera personale, derivanti dalla convivenza) e purché il danno non sia futile e, cioè, non consista in meri disagi o fastidi.

La valutazione dell’interesse culturale

Consiglio di Stato, sez. VII, 17 dicembre 2024, n. 10140

Beni culturali, paesaggistici e ambientali – Valutazione dell’interesse culturale – Discrezionalità tecnico-valutativa

La valutazione dell’interesse culturale di un bene è un’esclusiva prerogativa dell’amministrazione responsabile del relativo vincolo e comporta un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché richiede l’applicazione di conoscenze tecniche specialistiche in settori scientifici come storia, arte e architettura.

Elezioni e principio di “strumentalità delle forme”

Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 20 dicembre 2024, n. 1023

Procedimento elettorale – Principio di strumentalità delle forme – Ratio – Illegittimità non invalidante – Irregolarità sostanziali e non sostanziali – Rilevanza

Nel procedimento elettorale vige il principio di strumentalità delle forme, che, in correlazione con la regola di conservazione delle operazioni elettorali, mira finalisticamente alla stabilità del risultato elettorale nonché al rispetto della volontà espressa dagli elettori. In ragione dell’operatività dell’istituto della illegittimità non invalidante, sono rilevanti soltanto le irregolarità sostanziali, influenti, cioè, sulla libera espressione del voto e sulla complessiva attendibilità del risultato finale. Sono invece irrilevanti le irregolarità non sostanziali, ovvero i vizi nella compilazione dei verbali delle sezioni elettorali, inerenti la corrispondenza tra il numero degli iscritti e i votanti, il numero delle schede autenticate, il riepilogo dei voti relativi allo scrutinio, la congruenza tra i voti di preferenza e i voti di lista. È, in ogni caso, sempre onere di chi agisce in giudizio avverso gli atti elettorali dimostrare in che modo le presunte irregolarità, alterando la manifestazione del voto, comportino l’illegittimità del risultato proclamato e l’ottenimento di quello auspicato.

Società in house e controllo analogo “congiunto”

Consiglio di Stato, sez. IV, 21 gennaio 2025, n. 416

Servizi pubblici – In house providing – Natura giuridica – Presupposti – Controllo analogo – Controllo analogo congiunto – In house pluripartecipato – Condizioni

In linea con gli artt. 12 della direttiva 2014/24/UE e 5 del codice dei contratti pubblici, affinché il requisito del controllo analogo in caso di società in house pluripartecipata sia soddisfatto, occorre che le Amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possano comunque esercitare il controllo analogo in modo congiunto e che:

a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;

b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato, secondo le regole generali elaborate con riguardo all’in house providing tradizionale sin dalla sentenza della Corte di Giustizia Teckal (8 novembre 1999, C-107/98);

c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.

Dal complesso di tali previsioni emerge in definitiva l’esistenza di rilevanti deroghe ai meccanismi tipici di funzionamento delle società di capitali, tali da assicurare ai soci pubblici, collettivamente considerati, un’influenza determinante e un controllo effettivo sulla gestione dell’ente partecipato, attraverso poteri di condizionamento sull’operato del management in grado di conformare l’azione di quest’ultimo agli interessi pubblici di cui il singolo ente pubblico partecipante è portatore.

Premessa la natura ordinaria e non eccezionale del cosiddetto “in house”, i presupposti necessari ai fini della legittimità dell’affidamento diretto sono: la totale partecipazione pubblica del capitale della società incaricata della gestione del servizio; la realizzazione, da parte della suddetta società, della parte preponderante della propria attività con gli enti controllanti; il controllo analogo sulla società partecipata da parte dei medesimi enti (cosiddetto controllo frammentato o congiunto). A quest’ultimo riguardo, è ammesso il controllo analogo “congiunto”, in cui non si richiede certo che ciascuno degli enti pubblici partecipanti possa esercitare un potere individuale su tale entità, bensì che ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale, sia agli organi direttivi dell’entità suddetta.

A proposito nell’in house pluripartecipato le Amministrazioni pubbliche, in possesso di partecipazioni di minoranza, possono esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;

b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato;

c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.

Il ripristino di edificio crollato

Consiglio di Stato, sez. VII, 23 dicembre 2024, n. 10307

Intervento di “ripristino di edificio crollato” – Nozione – Titolo edilizio – Differenze da intervento di “nuova costruzione” – Intervento di “ristrutturazione edilizia” – Nozione

L’intervento di ripristino di edificio crollato, mantenendo sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente, senza incrementi di volumetria, è riconducibile alla ristrutturazione ricostruttiva ex art. 3, comma 1, lett. d), del testo unico dell’edilizia e quindi richiede la segnalazione certificata di inizio attività, di cui all’art. 2 del medesimo testo unico. L’intervento di demolizione e ricostruzione si distingue infatti dalla nuova costruzione, necessitante di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10 del testo unico, per l’assenza di variazioni del volume, dell’altezza o della sagoma dell’edificio.

La categoria della demolizione e ricostruzione è stata ampliata dalle modifiche operate all’art. 3 del testo unico dell’edilizia dal decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301, in quanto non vi è più il limite della “fedele ricostruzione”, ma si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente; pertanto la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi. Il limite del rispetto della sagoma dell’edificio preesistente è stato peraltro eliminato con la modifica all’art. 3 comma 1 lettera d) del testo unico dell’edilizia da parte del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 , convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 98, mentre nel testo risultante dalla modifiche di cui all’art. 10, comma 1, lett. b), n. 2), del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, è stato reintrodotto per gli interventi realizzati in zone A, il rispetto di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e sono esclusi incrementi di volumetria.

Per qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia, soggetti a permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), del testo unico dell’edilizia, anche le attività volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, implicanti modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti, anziché di nuova costruzione, occorre che le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente.

Impianti radioelettrici e silenzio-assenso

Consiglio di Stato, sez. VI, 30 dicembre 2024, n. 10468

Procedimento amministrativo – Autorizzazione per l’installazione di impianti radioelettrici – Silenzio assenso – Specialità – Ratio

Il sistema del silenzio-assenso previsto dall’articolo 44 del decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche) rappresenta una fattispecie procedurale di carattere speciale che esclude l’applicazione della normativa di carattere generale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e che assorbe in sé e sintetizza anche la valutazione edilizia che presiede al titolo, in conformità delle esigenze di semplificazione procedimentale, indipendentemente dalle dimensioni e dalle caratteristiche dell’impianto e della maggiore o minore incidenza sul piano urbanistico.

In relazione alla domanda di autorizzazione per l’installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici di cui all’articolo 44 del decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche), il dispositivo tecnico denominato “silenzio-assenso” risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia equivale a provvedimento di accoglimento. Pertanto, ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge. L’obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore viene, infatti, realizzato stabilendo che il potere (primario) di provvedere viene meno con il decorso del termine procedimentale, residuando successivamente la sola possibilità di intervenire in autotutela sull’assetto di interessi formatosi “silenziosamente”.

Abuso edilizio e criterio di tolleranza

Consiglio di Stato, sez. II, 28 ottobre 2024, n. 8591

Abuso edilizio – Tolleranza – Art. 34-bis d.P.R. n. 380/2001 – Applicabilità – Autorizzazione paesaggistica – Presupposti

La fattispecie della tolleranza del 2% prevista dall’art. 34-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 è applicabile alle difformità realizzate nel corso dell’esecuzione di un progetto approvato e non anche alle ipotesi di scostamenti previsti in un progetto finalizzato alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi, rispetto ad opere autorizzate in sanatoria, in conseguenza di un provvedimento repressivo di successivi abusi.

In presenza di un vincolo paesaggistico, relativamente ad un progetto finalizzato al ripristino dello stato dei luoghi in conseguenza di un provvedimento repressivo di abusi, occorre la preventiva autorizzazione paesaggistica per le opere non costituenti mera rimessa in pristino di quelle a suo tempo autorizzate in sanatoria.