Ordinamento finanziario e contabile

Alla Corte Costituzionale alcuni quesiti in materia di bilancio stabilmente riequilibrato

Tar Campania, Napoli, sez. I, 20 settembre 2024, n. 5039

Dissesto degli enti locali – Bilancio di previsione stabilmente riequilibrato – Termini – Perentorietà – Presentazione tardiva – Effetti

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 5, 51, 97 e 114 della Costituzione: a) dell’art. 259, primo comma, del decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 36, limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto; b) dell’art. 261, quarto comma, del T.U.E.L., limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto, per la parte in cui ugualmente stabilisce la perentorietà del termine (di 45 giorni) per la presentazione di una nuova ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, susseguente all’istruttoria negativa della commissione per la finanza e gli organici degli enti locali; c) dell’art. 262, primo comma, del T.U.E.L., limitatamente alla previsione secondo cui “l’inosservanza del termine per la presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato o del termine per la risposta ai rilievi e dalle richieste di cui all’articolo 261, comma 1, o del termine di cui all’articolo 261, comma 4, integrano l’ipotesi di cui all’articolo 141, comma 1, lettera a).

L’attestazione di copertura finanziaria

Tar Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 24 settembre 2024, n. 585

Ordinamento contabile – Attestazione di copertura finanziaria dell’atto amministrativo – Competenza – Ratio – Mancanza

Nel vigente assetto ordinamentale degli enti locali, le questioni di copertura finanziaria non attengono più alla validità del provvedimento che comporta un impegno di spesa. Infatti, a seguito della riscrittura dell’ordinamento contabile e della nuova distribuzione di competenze tra organi politico-amministrativi e responsabili dei singoli servizi, la copertura finanziaria, che prima era un prius, successivamente è divenuta, dal punto di vista dell’attestazione formale, un posterius. La norma dell’art. 55 comma 5 L. 8 giugno 1990, n. 142, è stata infatti modificata nel senso che l’attestazione di copertura ha assunto un significato accertativo della necessaria copertura di bilancio dell’atto emanato nel contesto del richiesto visto di regolarità contabile, che riguarda anche l’esatta imputazione di spesa. In altri termini, l’attestazione di copertura finanziaria non precede più l’impegno, né soprattutto è requisito di validità, ma accede, completandolo, alla relativa deliberazione o determinazione di spesa di cui diventa condizione di esecutività, con la conseguenza che la sua mancanza non comporta la nullità dell’atto di spesa.

In particolare, tale aspetto è attualmente regolato dall’art. 191, comma quarto del D.lgs. n. 267/2000, che, come appare evidente ad una semplice lettura, riproduce la previsione che l’atto amministrativo emanato senza la copertura finanziaria, lungi dall’essere “nullo di diritto”, come previsto dal vecchio testo dell’art. 55, comma 5, della legge n. 142/1990, è valido e diviene esecutivo solo con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria.

Dissesto finanziario e mancata presentazione nei termini dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato

Tar Campania, Napoli, sez. I, 20 settembre 2024, n. 5039

Enti locali – Gestione finanziaria – Dichiarazione di dissesto – Condizioni – Doverosità – Onere motivazionale attenuato – Presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato – Questione di legittimità costituzionale

La dichiarazione del dissesto ex art. 244 del Tuel costituisce atto dovuto in presenza delle condizioni normativamente prescritte, costituite dalla “incapacità funzionale”, ovvero dalla “decozione finanziaria”.

La decisione di dichiarare lo stato di dissesto finanziario dell’ente locale rappresenta una determinazione vincolata ed ineludibile, in presenza dei presupposti di fatto fissati dalla legge. Pertanto, essa non può in alcun caso dirsi frutto di una scelta discrezionale dell’ente medesimo. La dichiarazione di dissesto finanziario è un atto rigidamente vincolato che, ai sensi dell’articolo 244 del decreto legislativo 267 del 2000, si rende necessario, laddove l’ente non possa garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, ovvero qualora esistano nei confronti dell’ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con gli strumenti forniti dalle norme di contabilità. Deve ritenersi, dunque, motivazione sufficiente per la dichiarazione di dissesto la semplice ricognizione della esistenza di uno o di entrambi i suddetti presupposti.

Non appare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme che, escludendo il potere sollecitatorio del Prefetto, riconducono la mancata approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato da parte del Consiglio, nel perentorio termine di tre mesi, ad un’ipotesi di scioglimento che mal si concilia con la natura dell’inadempimento e produce un effetto esorbitante, conducendo alla rimozione del Consiglio democraticamente eletto, eccedendo la misura del doveroso rispetto delle autonomie locali. È altresì difficilmente comprensibile l’equiparazione della mancata presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato al compimento di atti contrari alla Costituzione o a gravi e persistenti violazioni di legge, mancando da un lato la volontà preordinata a disattendere le norme fondamentali dello Stato e, d’altro lato, difettando il connotato di un operato che si contraddistingua per la gravità e persistenza del comportamento negativo od omissivo dell’Ente locale.

L’ipotesi di scioglimento del Consiglio comunale può ritenersi giustificata a fronte di inderogabili e superiori esigenze di garantire l’unitarietà dello Stato, altrimenti risultando violate le prerogative delle autonomie locali e dei singoli consiglieri, laddove – similmente con quanto avviene per l’ipotesi di mancata approvazione del bilancio – all’omissione riscontrata possa ovviarsi attraverso il potere sollecitatorio del Prefetto, che consenta all’ente locale territoriale di “recuperare” la propria autonomia e di assolvere alle proprie funzioni, in linea con quanto previsto all’art. 245, terzo comma, del T.U.E.L., che rimette agli organi istituzionali dell’ente il compito di assicurare “condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto”.

Va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 5, 51, 97 e 114 della Costituzione:

a) dell’art. 259, primo comma, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 36, limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto;

b) dell’art. 261, quarto comma, del T.U.E.L., limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto, per la parte in cui ugualmente stabilisce la perentorietà del termine (di 45 giorni) per la presentazione di una nuova ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, susseguente all’istruttoria negativa della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali;

c) dell’art. 262, primo comma, del T.U.E.L., limitatamente alla previsione secondo cui “l’inosservanza del termine per la presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato o del termine per la risposta ai rilievi e dalle richieste di cui all’articolo 261, comma 1, o del termine di cui all’articolo 261, comma 4, […] integrano l’ipotesi di cui all’articolo 141, comma 1, lettera a)”.

Le assunzioni nelle Unioni di comuni

Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2024, n. 7605

Unioni dei Comuni – Assunzione di personale a tempo indeterminato – Normativa – Modalità

L’art. 33, comma 2, del d.l. 30 aprile 2019, n. 34 convertito dalla legge n. 162 del 2019 e ss.mm. e ii. e il decreto interministeriale del 17 marzo 2020, che fissano la nuova disciplina per l’assunzione di personale a tempo indeterminato per i Comuni, non trovano applicazione alle Unioni dei Comuni.

La facoltà di assunzione delle Unioni dei Comuni è tuttora disciplinata dall’art. 1, comma 229, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che costituisce norma speciale, consentendo il reclutamento di personale con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nei limiti del 100% delle spese relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente.

In merito ai vincoli assunzionali applicabili l’Unione di Comuni ha, ad oggi, a disposizione due strumenti per procedere alle assunzioni di personale: – da una parte può assumere autonomamente, utilizzando direttamente spazi assunzionali propri ed applicando la consueta regola dei turnover al 100% ex comma 229 della legge 208/2015, senza alcun adeguamento del limite del trattamento accessorio; – dall’altra può avvalersi, seppur assumendo direttamente, di spazi assunzionali ulteriori, ceduti (ex art. 32, comma 5, TUEL) dai Comuni virtuosi (così come definiti in base alla nuova normativa in materia, ovvero capaci di assumere a tempo indeterminato aumentando la propria spesa di personale nel rispetto dei valori soglia), concretamente aumentando la propria dotazione organica.

Trasferimento di funzioni ai Comuni e risorse: questione di legittimità costituzionale

Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sez. giurisdizionale, 5 agosto 2024, n. 620

Principio dell’autonomia finanziaria dei Comuni – Normativa Regione siciliana – Trasferimento di funzioni ad ente territoriale – Principio di correlazione fra funzioni e risorse – Trasferimento in concessione d’uso temporaneo degli impianti idrici, fognari e depurativi di proprietà dei consorzi ASI in liquidazione – Questione di legittimità costituzionale

Nel nostro ordinamento vige il principio di autonomia finanziaria dei Comuni, espressamente declinato sia dall’art. 119 Cost. sia dai singoli statuti delle Regioni speciali e, con specifico riferimento alla Regione Siciliana, dall’art. 15, secondo comma, del relativo Statuto, secondo cui “l’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”.

È rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all’articolo 119, commi primo, quarto, quinto e sesto, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, lett. c-bis), della l.r. siciliana n. 8 del 2012, laddove il predetto articolo 19, comma 2, lett. c-bis), secondo periodo, prevede il trasferimento, in concessione d’uso temporaneo, degli impianti idrici, fognari e depurativi di proprietà dei consorzi ASI in liquidazione, prioritariamente al Comune nel cui territorio è ubicato l’impianto di depurazione, o al Comune che risulti maggior utilizzatore del relativo impianto, con i connessi obblighi di gestione e manutenzione dei predetti impianti, senza prevedere una contestuale e adeguata provvista finanziaria in favore del medesimo comune concessionario.

TARI e motivazione

Consiglio di Stato, sez. V, 8 luglio 2024, n. 6021

Servizi pubblici – Tributi locali – Rifiuti urbani – Comune e provincia – Aliquote – Tariffe – Delibera di approvazione – Natura giuridica – Periodo della pandemia da Covid – Onere motivazionale attenuato

È legittima la delibera di approvazione delle aliquote Tari (tassa sui rifiuti) adottata ai sensi dell’art. 107, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 con cui il comune, nel particolare scenario della pandemia da Covid, provveda a confermare per il 2020 le aliquote approvate e già applicate per l’anno 2019; tale attività non richiede alcun particolare onere di motivazione, se non il richiamo alla fonte primaria.

In materia di determinazione delle aliquote Tari (tassa sui rifiuti), non è ravvisabile uno stringente obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili.

Organo di revisione contabile e indipendenza

Consiglio di Stato, sez. VI, 23 maggio 2024, n. 4619

Organo di revisione – Indipendenza – Revoca – Condizioni – Accertamento inadempienza – Collaborazione con l’organo consiliare

Ai sensi dell’art 235 Tuel, l’inadempienza quale presupposto della revoca è integrata dal mancato adempimento ai compiti a cui l’organo di revisione è istituzionalmente preposto ai sensi dell’art. 239 Tuel. Solo un’oggettiva e grave violazione dei compiti sopra indicati può giustificare il provvedimento di revoca, a garanzia dell’imparzialità e dell’indipendenza dell’organo di controllo che non è suscettibile di essere revocato ad nutum per contrasto con le scelte dell’amministrazione controllata. Tra le inadempienze rilevanti, il legislatore ha tipizzato la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dall’articolo 239, comma 1, lettera d) che rappresenta l’unica fattispecie di revoca obbligatoria, in ragione della particolare gravità della violazione.

Non può fondare un’autonoma fattispecie di revoca la violazione dei doveri di diligenza qualificata che il revisore è tenuto ad osservare ai sensi dell’art. 240 Tuel, poiché essi costituiscono un mero parametro di valutazione della corretta esecuzione dell’incarico e, quindi, anche della gravità dell’inadempienza (ove diversa da quella tipizzata dall’art. 235, già valutata grave dal legislatore) che giustifica la revoca. In altri termini, la revoca deve sempre fondarsi sull’inadempienza ai compiti demandati ai revisori dall’art. 239, la cui gravità deve essere accertata e motivata con riguardo al quantum di scostamento dal parametro della diligenza esigibile ai sensi dell’art. 240.

L’indipendenza dei revisori dei conti si esprime nell’integrità e nell’obiettività, la prima garantita dall’alta qualificazione dei soggetti chiamati, la seconda dalla più assoluta imparzialità dell’azione del revisore medesimo. Tale principio è ribadito dall’art. 38 della Direttiva 2006/43/CE Dir. 17/05/2006, n. 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006, secondo cui gli Stati membri devono assicurare che la revoca e le dimissioni dei revisori legali o delle imprese di revisione contabile possa avvenire solo per giusta causa e non per divergenze di opinione in merito ai contenuti delle determinazioni da prendere.

La collaborazione con l’organo consiliare ai sensi dell’art 239 comma 1 lett a) Tuel si esplica, in concreto, attraverso pareri, rilievi, osservazioni e proposte finalizzate a conseguire una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione.

La procedura di dissesto finanziario

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 29 marzo 2024, n. 513

Dichiarazione di dissesto finanziario del Comune – Procedura di liquidazione – Normativa applicabile – Procedimento amministrativo – Principio del tempus regit actum

L’art. 255, comma 10 del d.lgs. n. 267 del 18.8.2000 dispone che “Non compete all’organo straordinario di liquidazione l’amministrazione delle anticipazioni di tesoreria di cui all’articolo 222, delle anticipazioni di liquidità previste dal decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, e successivi rifinanziamenti, e dal decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, e successivi rifinanziamenti e strumenti finanziari assimilabili, e dei residui attivi e passivi relativi ai fondi a gestione vincolata, ai mutui passivi già attivati per investimenti, ivi compreso il pagamento delle relative spese, nonché l’amministrazione dei debiti assistiti dalla garanzia della delegazione di pagamento di cui all’articolo 206”. Il testo è stato interpolato dall’art. 1, comma 789 della l. 29.12.2022 n. 197 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025”) che dispone “All’articolo 255, comma 10, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le parole: « all’articolo 222 e dei residui » sono sostituite dalle seguenti: « all’articolo 222, delle anticipazioni di liquidità previste dal decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, e successivi rifinanziamenti, e dal decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, e successivi rifinanziamenti e strumenti finanziari assimilabili, e dei residui»”. L’art. 21 della suddetta legge dispone “La presente legge, salvo quanto diversamente previsto, entra in vigore il 1° gennaio 2023”.

Ne consegue che la previsione normativa di cui all’art. 255 del d.lgs. n. 267 del 2000 a decorrere dall’1 gennaio 2023 è nel senso modificato dal citato art. 1 comma 179 della l. n. 197/2022. Il procedimento amministrativo è regolato dal principio del tempus regit actum, con la conseguenza che la legittimità degli atti del procedimento deve essere valutata con riferimento alle norme vigenti al tempo in cui l’atto terminale, ovvero l’atto che conclude una autonoma fase del procedimento, è stato adottato. In termini più chiari, nei procedimenti amministrativi, la corretta applicazione del principio tempus regit actum, comporta che la Pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l’assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell’atto che vi ha dato avvio; consegue da ciò che, la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento, avviato ad istanza di parte, deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato, in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici.

Rendiconto e principio di intangibilità

Tar Lazio, Roma, sez. I ter, 25 marzo 2024, n. 5904

Rendiconto – Approvazione – Modificabilità – Principio di intangibilità – Principio di flessibilità – Errori materiali

Il principio di intangibilità del rendiconto, in termini generali, risulta codificato all’art. 150 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827, recante “Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato”, laddove si prevede che “il rendiconto generale una volta chiuso ed approvato per legge è intangibile, né può essere modificato in nessuna delle sue parti”.

Con riferimento agli Enti territoriali che non approvano il rendiconto con legge, quali i Comuni, l’intangibilità di quest’ultimo può ritenersi discendente dal principio di annualità del bilancio, enunciato nell’Allegato n. 1 al d.lgs. n. 118/2011, secondo cui “i documenti del sistema di bilancio, sia di previsione sia di rendicontazione, sono predisposti con cadenza annuale e si riferiscono a distinti periodi di gestione coincidenti con l’anno solare[…]”. Al contempo, lo speculare principio di flessibilità previsto dal medesimo allegato al d.lgs. n. 118/2011 è riferito al solo bilancio di previsione (“nel sistema del bilancio di previsione i documenti non debbono essere interpretati come immodificabili, perché questo comporterebbe una rigidità nella gestione che può rivelarsi controproducente”).

Il rendiconto è il risultato derivante da un anno di fatti gestori che sono stati registrati nella contabilità dell’ente. Quanto esposto in un rendiconto approvato non può essere rivisto dalla stessa amministrazione, se non in presenza di meri errori materiali, in forza dei principi di irretrattabilità dei saldi e continuità e veridicità dei bilanci. Pertanto, sono ammesse rettifiche a fronte di meri errori materiali documentati, che non sono pertanto ostativi alla rettifica di specifici allegati del rendiconto.

Secondo un’interpretazione conforme a Costituzione (Cost. artt. 97 c. 1, 119 c.1), si ammette una successiva rettifica di meri errori materiali dei documenti contabili, al fine di attestare il rispetto degli equilibri di bilancio.

Dissesto e debiti

Consiglio di Stato, sez. V, 17 agosto 2023, n. 7788

Enti locali – Organizzazione – Ordinamento – Dissesto – Giurisdizione – Inibizione – Azione esecutiva – Debiti del dissesto

L’art. 248, co. 2, d. lgs. 267/2000, stabilisce che dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione. Il successivo co. 3 dispone che “i pignoramenti eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l’ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell’ente e le finalità di legge”, ed il co. 4 che “dalla data della deliberazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria”.

Sotto il profilo finanziario, se gli atti e fatti cui è correlato il provvedimento giurisdizionale (o amministrativo) sono cronologicamente ricollegabili all’arco temporale anteriore al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, il provvedimento successivo, che determina l’insorgere del titolo di spesa, deve essere imputato alla Gestione liquidatoria, purché detto provvedimento sia emanato prima dell’approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256, comma 11: sicché il debito viene imputato al bilancio della Gestione liquidatoria sotto il profilo amministrativo-contabile, privando l’ente comunale della relativa capacità giuridica (sotto il profilo civilistico) e competenza amministrativa su quel debito, che non è più ad esso imputabile. Il che spiega le conseguenze in ordine alle attività esecutive che vengono temporaneamente paralizzate fino all’approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256, comma 11.