GIURISPRUDENZA

Dissesto e debiti

Consiglio di Stato, sez. V, 17 agosto 2023, n. 7788

Enti locali – Organizzazione – Ordinamento – Dissesto – Giurisdizione – Inibizione – Azione esecutiva – Debiti del dissesto

L’art. 248, co. 2, d. lgs. 267/2000, stabilisce che dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione. Il successivo co. 3 dispone che “i pignoramenti eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l’ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell’ente e le finalità di legge”, ed il co. 4 che “dalla data della deliberazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria”.

Sotto il profilo finanziario, se gli atti e fatti cui è correlato il provvedimento giurisdizionale (o amministrativo) sono cronologicamente ricollegabili all’arco temporale anteriore al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, il provvedimento successivo, che determina l’insorgere del titolo di spesa, deve essere imputato alla Gestione liquidatoria, purché detto provvedimento sia emanato prima dell’approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256, comma 11: sicché il debito viene imputato al bilancio della Gestione liquidatoria sotto il profilo amministrativo-contabile, privando l’ente comunale della relativa capacità giuridica (sotto il profilo civilistico) e competenza amministrativa su quel debito, che non è più ad esso imputabile. Il che spiega le conseguenze in ordine alle attività esecutive che vengono temporaneamente paralizzate fino all’approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256, comma 11.

Telecomunicazioni e imposte comunali

Consiglio di Stato, sez. V, 22 agosto 2023, n. 7910

Enti locali – Telecomunicazioni – Enti di telecomunicazioni – Tasse – Canoni – Obbligo COSAP/TOSAP

L’art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche stabilisce che gli enti gestori di reti di comunicazione elettronica sono tenuti a corrispondere solo la Cosap/Tosap, con esclusione di ogni altra tassa, prestazione o canone. L’esclusione riguarda dunque, testualmente, le “prestazioni coattive” di natura pubblicistica; nel caso di specie, invece, si controverte su mere “spese” di trasferimento degli impianti di rete, ossia su costi di esercizio di carattere squisitamente privatistico. In altre parole, il ridetto art. 93 si riferisce agli “oneri impositivi”, non invece ai “costi vivi” afferenti allo spostamento, necessitato da ragioni di interesse pubblico, degli impianti e delle installazioni delle imprese di telecomunicazioni.

Patrimonio indisponibile

Consiglio di Stato, sez. V, 22 agosto 2023, n. 7899

Enti locali – Patrimonio indisponibile – Passaggio al patrimonio disponibile per facta concludentia – Non ammissibilità

Il passaggio da patrimonio indisponibile a patrimonio disponibile non può avvenire per facta concludentia (trascuratezza prolungata da parte dell’ente proprietario) ma soltanto per volontà espressa in tal senso manifestata in apposito atto amministrativo.

Costituisce principio costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa quello secondo cui, ai fini della qualificazione di un bene quale appartenente al patrimonio indisponibile di un ente pubblico, ai sensi dell’art. 826 cod. civ., comma 3, u.p., la destinazione ad un pubblico servizio, che tale indisponibilità connota, debba risultare da un duplice ordine di requisiti: quello c.d. “soggettivo”, costituito da una manifestazione di volontà dell’ente proprietario, espressa in un atto amministrativo ad hoc, con il quale il bene sia stato destinato al soddisfacimento di una esigenza della collettività; e quello “oggettivo”, che ricorre nei casi in cui tale destinazione al pubblico interesse sia stata concretamente attuata.

Somministrazione di bevande al pubblico

Consiglio di Stato, sez. III, 28 agosto 2023, n. 7989

Attività produttive – Somministrazione – Commercio – Licenza di somministrazione – Qualificazione – Autorizzazione di polizia

La licenza di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è qualificabile come autorizzazione di polizia e, in quanto tale, soggetta alle misure sanzionatorie – sospensione o revoca – previste in generale dall’art. 10 del T.u.l.p.s. qualora ricorra un’ipotesi di abuso; ciò in quanto, la successiva legge 25 agosto 1991, n. 287 – che ha aggiornato la normativa sull’insediamento e sull’attività degli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande – non ha invero comportato l’estromissione della materia di somministrazione alimentare al pubblico dall’ambito di applicazione del T.u.l.p.s..

La legittimità della misura sanzionatoria della sospensione della licenza ricorre, ai sensi dell’art. 10 del r.d. n. 773 del 1931, non solo nei casi di abuso del titolo, ma anche nelle ipotesi in cui la condotta del titolare il titolo abilitativo sia improntata alla violazione delle modalità di svolgimento del servizio. Le autorizzazioni di polizia devono, infatti, essere utilizzate conformemente alle prescrizioni contenute nelle leggi e nelle fonti sub-primarie, dovendosi ritenere che la violazione di tale corpus normativo configuri un uso certamente anomalo e, quindi, un evidente abuso del titolo, da sanzionare alla stregua dell’art. 10 richiamato.

Immagini di videosorveglianza e accesso

Tar Marche, Ancona, sez. II, 4 settembre 2023, n. 538

Accesso difensivo – Apparecchiature pubbliche di videosorveglianza – Diniego – Autorità competente

Le immagini registrate e conservate in sistemi di videosorveglianza urbana rientrino nella nozione di documento amministrativo ai fini del diritto di accesso, considerata l’ampia dizione di cui all’art. 22 comma 1, lett. d), della l. n. 241/1990 e considerato che si tratta di immagini già esistenti, registrate dal Comune nell’esercizio di una attività di pubblico interesse. La nozione normativa di documento amministrativo, suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale, è, infatti, ampia e può riguardare ogni documento detenuto dalla pubblica amministrazione o da un soggetto, anche privato, alla stessa equiparato ai fini della specifica normativa dell’accesso agli atti, e formato non solo da una pubblica amministrazione, ma anche da soggetti privati, purché lo stesso concerna un’attività di pubblico interesse o sia utilizzato o sia detenuto o risulti significativamente collegato con lo svolgimento dell’attività amministrativa, nel perseguimento di finalità di interesse generale.

Nel caso di accesso “difensivo”, la conoscenza dell’atto non è destinata a consentire al privato di partecipare all’esercizio del pubblico potere in senso “civilmente” più responsabile, ossia per contribuire a rendere l’esercizio del potere condiviso, trasparente e imparziale, ma rappresenta il tramite per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici.

Silenzio-assenso nel “silenzio” della legge regionale

Consiglio di Stato, sez. IV, 4 settembre 3032, n. 8156

Installazione ed esercizio di nuovi impianti ad uso privato per la distribuzione di carburante – Silenzio-assenso – Mancata previsione nella disciplina regionale – Impossibilità

La legge regionale non può derogare al principio del silenzio assenso; questo è un principio generale posto a presidio della celerità dell’azione ammnistrativa, nonché della semplificazione e della certezza dei rapporti con i cittadini; principio che in ultima analisi risponde a quello di buon andamento ex art. 97 Cost. In quanto tale, esso trova applicazione anche nella riforma degli impianti di distribuzione di carburanti a livello nazionale e quindi deve trovare riscontro nella disciplina regionale.

In ogni caso la mancata previsione del silenzio-assenso nella fonte regionale non esclude una lettura costituzionalmente orientata delle due disposizioni – regionale e nazionale – che vanno lette insieme, ammettendo il silenzio assenso anche nel caso in questione in cui la legge regionale erroneamente non lo riproduce.

Abuso edilizio e ordinanza di demolizione

Tar Campania, Salerno, sez. I, 4 settembre 2023, n. 1949

Pianificazione edilizia – Pluralità di opere – Visione atomistica – Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Onere motivazionale attenuato

Per valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione “atomistica” dei singoli interventi non consente di comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti; pertanto, i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati in maniera “frazionata” e, al contrario, debbono essere vagliati in un quadro di insieme e non segmentato, solo così potendosi comprendere l’effettiva portata dell’operazione.

L’ordinanza di demolizione, in quanto atto dovuto e vincolato, è da ritenersi sorretta da adeguata e sufficiente motivazione, quando l’Amministrazione provvede alla compiuta descrizione delle opere abusive e alla constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo edilizio, non occorrendo alcuna motivazione specifica in relazione al tempo intercorso o alla proporzionalità della sanzione ripristinatoria all’uopo da emettere.

Permesso in sanatoria e doppia conformità

Tar Sardegna, Cagliari, sez. I, 2 settembre 2023, n. 642

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Doppia conformità

Ai fini del rilascio del permesso in sanatoria, è necessaria la c.d. doppia conformità, ossia la conformità dell’intervento oggetto dell’istanza alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, che al momento della presentazione della domanda.

Altezze degli edifici

Tar Puglia, Bari, sez. II, 1 settembre 2023, n. 1094

Titolo edilizio – Altezze degli edifici

I limiti alle altezze degli edifici previsti dagli strumenti urbanistici devono essere ancorati a dati certi e oggettivi ricavabili dalla situazione dei luoghi e la mera possibilità che l’edificio possa essere oggetto di futuri lavori edificatori è irrilevante, dovendo la determinazione amministrativa tener conto dello stato dei luoghi al momento del rilascio del titolo, non potendosi basare su ipotesi o su progetti inesistenti.

Piani di recupero urbanistico

Consiglio di Stato, sez. VI, 01 settembre 2023, n. 8141

Piano di recupero urbanistico – Nozione – Finalità – Edificazione disomogenea

I piani di recupero urbanistico sono strumenti pianificatori attuativi che assolvono ad una funzione “riparatoria” del tessuto urbano, fronteggiando una situazione creatasi in via di fatto e tenendo conto, oltre all’esigenza di recupero dei nuclei abusivi, anche delle generali esigenze di pianificazione del territorio comunale. In particolare, i piani di recupero costituiscono lo strumento individuato dal legislatore per attuare il riequilibrio urbanistico di aree degradate o colpite da più o meno estesi fenomeni di edilizia “spontanea” e incontrollata, legittimati ex post.

L’esistenza di una “edificazione disomogenea” non solo giustifica la previsione urbanistica che subordina la modifica dei luoghi alla emanazione del piano di recupero, ma impone che questo piano vi sia e sia concretamente attuato, per restituire ordine all’abitato e riorganizzare il disegno urbanistico di completamento della zona.

Non è possibile ipotizzare una deroga all’obbligo dello strumento attuativo anche nelle zone significativamente urbanizzate: il piano di recupero configura lo strumento per attuare il riequilibrio nelle aree degradate e non è ipotizzabile che in tali aree, pur compromesse da fenomeni di urbanizzazione spontanea e incontrollata, il piano attuativo possa essere eluso con titoli edilizi singoli per costruire, pur attenendo questi ultimi a lotti prospicienti su aree urbanizzate e interclusi, in quanto lo stesso attiene non soltanto al recupero fisico degli edifici, ma anche e soprattutto rappresenta un’operazione complessa a scala urbanistica, che deve puntare alla rivitalizzazione di un comprensorio urbano.

Il piano di recupero può essere effettuato anche in zone di completa edificazione, posto che la previsione della necessità di un piano di recupero mira proprio a far sì che tutte le modifiche della zona individuata si ispirino a criteri omogenei e a una ordinata modifica ed equilibrato sviluppo e assetto del territorio, per migliorare la vivibilità degli abitanti e per evitare uno sviluppo incontrollato, senza attenersi alle regole volte al miglioramento dell’area.