Consiglio di Stato/TAR

Piani di assistenza individuale

Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 5 giugno 2024, n. 1912

Piani individualizzati – Piani di Assistenza Individuale per persone disabili – Contenuti necessari – Legittimità

L’art. 14, legge 08.11.2000 n. 328, individua al comma 2 il contenuto tipico dei Piani di Assistenza Individuale per persone disabili, stabilendo che “Nell’ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale e al progetto di funzionamento, le prestazioni di cura e riabilitazione a carico del S.S.N., il piano educativo individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche, i servizi alla persona a cui provvede il Comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale, sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare”. Di talché, deve essere giudicato illegittimo quel Piano individualizzato che non preveda nel dettaglio i doverosi interventi socio-assistenziali per il recupero e l’integrazione della persona disabile.

Nuova costruzione in zone vincolate

Consiglio di Stato, sez. II, 5 giugno 2024, n. 5046

Intervento di nuova costruzione – Zone vincolate – Accertamento di compatibilità dell’intervento col contesto paesaggistico – Diniego di compatibilità paesaggistica postuma o di sanatoria – Diniego di autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili – Onere motivazionale – Contemperamento di interessi costituzionali

La produzione di energia pulita è incentivata dalla legge in vista del perseguimento di preminenti finalità pubblicistiche correlate alla difesa dell’ambiente e dell’eco-sistema, con la conseguenza che le motivazioni di un diniego di autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili devono essere particolarmente stringenti, non potendo a tal fine ritenersi sufficiente che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilevi una generica minor fruibilità del paesaggio sotto il profilo del decremento della sua dimensione estetica e occorre quindi una più severa comparazione tra i diversi interessi coinvolti nel rilascio dei titoli abilitativi – ivi compreso quello paesaggistico – alla realizzazione o al mantenimento, trattandosi di un procedimento di sanatoria, di un impianto di energia elettrica da fonte rinnovabile: la produzione di energia elettrica da fonte solare è essa stessa attività che contribuisce, sia pur indirettamente, alla salvaguardia dei valori paesaggistici.

La tutela dei diritti e dei valori riconosciuti e garantiti dalla Costituzione deve essere sistemica e non frazionata, evitando che uno di essi si erga a tiranno nei confronti degli altri, specialmente quando, come nella specie, si tratta di beni – l’ambiente e il paesaggio – aventi entrambi il medesimo rango di principi fondamentali, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione, come integrato dalla legge costituzionale n. 1 del 2022, rilievo dal quale consegue che la Soprintendenza, nel perseguire la missione attribuitale dalla legge, non può esprimere una posizione “totalizzante” che sacrifichi interamente l’interesse ambientale indifferibile alla transizione ecologica.

Il Comune e il Ministero della cultura, quando si pronunciano sulla domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica, possono accoglierla, oppure dare conto delle ragioni che precludono l’emissione di un provvedimento favorevole, in tal caso specificando quali caratteristiche dell’intervento siano in contrasto con il vincolo paesaggistico e per quale ragione, nonché comunque valutando il raggiungimento di una soluzione che consenta, ove possibile, la realizzazione dell’intervento con il minor sacrificio dell’interesse paesaggistico nella sua declinazione meramente estetica.

Organo di revisione contabile e indipendenza

Consiglio di Stato, sez. VI, 23 maggio 2024, n. 4619

Organo di revisione – Indipendenza – Revoca – Condizioni – Accertamento inadempienza – Collaborazione con l’organo consiliare

Ai sensi dell’art 235 Tuel, l’inadempienza quale presupposto della revoca è integrata dal mancato adempimento ai compiti a cui l’organo di revisione è istituzionalmente preposto ai sensi dell’art. 239 Tuel. Solo un’oggettiva e grave violazione dei compiti sopra indicati può giustificare il provvedimento di revoca, a garanzia dell’imparzialità e dell’indipendenza dell’organo di controllo che non è suscettibile di essere revocato ad nutum per contrasto con le scelte dell’amministrazione controllata. Tra le inadempienze rilevanti, il legislatore ha tipizzato la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dall’articolo 239, comma 1, lettera d) che rappresenta l’unica fattispecie di revoca obbligatoria, in ragione della particolare gravità della violazione.

Non può fondare un’autonoma fattispecie di revoca la violazione dei doveri di diligenza qualificata che il revisore è tenuto ad osservare ai sensi dell’art. 240 Tuel, poiché essi costituiscono un mero parametro di valutazione della corretta esecuzione dell’incarico e, quindi, anche della gravità dell’inadempienza (ove diversa da quella tipizzata dall’art. 235, già valutata grave dal legislatore) che giustifica la revoca. In altri termini, la revoca deve sempre fondarsi sull’inadempienza ai compiti demandati ai revisori dall’art. 239, la cui gravità deve essere accertata e motivata con riguardo al quantum di scostamento dal parametro della diligenza esigibile ai sensi dell’art. 240.

L’indipendenza dei revisori dei conti si esprime nell’integrità e nell’obiettività, la prima garantita dall’alta qualificazione dei soggetti chiamati, la seconda dalla più assoluta imparzialità dell’azione del revisore medesimo. Tale principio è ribadito dall’art. 38 della Direttiva 2006/43/CE Dir. 17/05/2006, n. 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006, secondo cui gli Stati membri devono assicurare che la revoca e le dimissioni dei revisori legali o delle imprese di revisione contabile possa avvenire solo per giusta causa e non per divergenze di opinione in merito ai contenuti delle determinazioni da prendere.

La collaborazione con l’organo consiliare ai sensi dell’art 239 comma 1 lett a) Tuel si esplica, in concreto, attraverso pareri, rilievi, osservazioni e proposte finalizzate a conseguire una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione.

Accesso civico generalizzato

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 28 maggio 2024, n. 841

Procedimento amministrativo – Diritto di accesso – Accesso civico generalizzato – Oggetto

In base all’art. 5, comma 1 del d.lgs. n. 33/2013, chiunque ha il diritto di richiedere documenti, informazioni o dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente nei casi in cui le pubbliche amministrazioni ne abbiano omesso la pubblicazione sul proprio sito web.

L’accesso civico generalizzato, introdotto dal decreto legislativo n. 97/2016, è configurato quale diritto di “chiunque”, di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza, riconosciuto e tutelato “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013).

Contributo di costruzione

Tar Lazio, Roma, sez. II, 23 maggio 2024, n. 10443

Intervento di nuova costruzione – Titolo edilizio – Contributo di costruzione – Atti di liquidazione – Natura giuridica – Prescrizione – Rideterminazione – Restituzione – Eccezione – Requisiti

Gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio.

La pubblica amministrazione, nel corso di tale rapporto, può pertanto sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo di tale contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, mentre per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento.

Nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione (ove già versate) e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione.

Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare, cosicché l’importo versato va restituito (ove già corrisposto) oppure risulta inesigibile (ove non ancora versato).

Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.

Unica eccezione ai principi sopra richiamati è l’ipotesi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (rectius: di una convenzione urbanistica). In sintesi, quindi, la regola generale è che il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione sono dovuti soltanto se (e nella misura in cui) l’attività edificatoria sia stata effettivamente realizzata, con la conseguenza che in assenza di tale attività gli oneri concessori non possono essere richiesti. L’eccezione a tale regola si verifica nell’ipotesi in cui coesistano entrambi i seguenti requisiti:

a) il pagamento degli oneri concessori forma oggetto di una specifica obbligazione assunta dal soggetto privato per effetto di convenzione urbanistica dallo stesso stipulata con il Comune competente, convenzione con cui il privato concorda con l’Amministrazione comunale il Piano Urbanistico Attuativo di iniziativa privata (piano equiparabile ad un Piano Attuativo di iniziativa pubblica, e cioè ad un Piano Particolareggiato);

b) il tenore letterale di detta convenzione urbanistica lascia chiaramente intendere che il pagamento degli oneri concessori debba comunque avvenire entro un determinato termine, e quindi sostanzialmente a prescindere dall’avvenuta realizzazione (o meno) dell’intervento edificatorio.

Autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire

Consiglio di Stato, sez. IV, 21 maggio 2024, n. 4527

Autorizzazione paesaggistica – Permesso di costruire – Rapporti – Annullamento – Effetti – Onere probatorio in materia edilizia – Beni culturali, paesaggistici e ambientali – Soprintendenza – Vincolo paesaggistico – PUT area sorrentino-amalfitana

Il rapporto tra l’autorizzazione paesaggistica e il permesso di costruire è stato ampiamente approfondito dalla giurisprudenza amministrativa. Una parte della giurisprudenza ha ritenuto che l’autorizzazione paesaggistica, di cui all’art. 146 d.lgs. n. 42/2004, costituisca atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio: essa dà luogo ad un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche e valutazioni urbanistiche, in modo tale che questi due apprezzamenti sono destinati ad esprimersi sullo stesso oggetto in stretta successione provvedimentale, con la conseguenza che l’autorizzazione paesaggistica va acquisita prima di intraprendere il procedimento edilizio, il quale non può essere definito positivamente per l’interessato in assenza del previo conseguimento del titolo di compatibilità paesaggistica. Altra parte della giurisprudenza invece ha ritenuto che il permesso di costruire possa essere rilasciato anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che esso è inefficace e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico; in questa seconda prospettiva, l’autorizzazione paesaggistica si configura, quindi, come condizione di efficacia del permesso di costruire.

È bene distinguere due ipotesi: il solo annullamento del permesso di costruire e il solo annullamento dell’autorizzazione paesaggistica. Nel primo caso, l’annullamento del permesso di costruire non necessariamente riverbera i suoi effetti sull’autorizzazione paesaggistica a monte, autorizzazione quest’ultima che ben potrebbe rimanere valida, pur non essendo possibile realizzare l’opera, sino all’ottenimento di un nuovo permesso. Diversamente, nel secondo caso, quando ad essere annullata è l’autorizzazione paesaggistica, per le ragioni prima evidenziate, tale annullamento non può non spiegare effetti sul permesso di costruire “a valle”.

In materia edilizia, solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto, mentre l’amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno dell’intero suo territorio.

Beni pubblici e atti di diritto privato

Tar Lazio, Roma, sez. V, 28 maggio 2024, n. 10767

Beni patrimoniali indisponibili – Concessione amministrativa – Strumenti privatistici – Nullità

Sono nulli i contratti di diritto civile stipulati dalla pubblica amministrazione in relazione a beni patrimoniali indisponibili, per i quali lo strumento giuridico utilizzabile per la cessione in godimento è rappresentato dalla concessione amministrativa; solo se il bene appartiene al patrimonio disponibile la cessione in godimento è riconducibile allo schema della locazione privatistica; infatti, se per i beni facenti parte del patrimonio disponibile si deve procedere necessariamente tramite gli istituti di diritto privato, i beni demaniali o del patrimonio indisponibile sono invece oggetto di gestione autoritativa e quindi devono essere affidati tramite concessione amministrativa, tipicamente con la forma della concessione-contratto.

Dal momento che un bene acquista natura demaniale, diventano, dunque, per ciò solo, inapplicabili sia le norme relative ai contratti di locazione, sia i principi che ispirano i rapporti interprivatistici inerenti all’esecuzione dei rapporti obbligatori. Da quel momento, infatti, ogni pretesa privata concernente il bene, può giustificarsi soltanto nella logica di un provvedimento concessorio.

Affidamento gestione farmacia comunale

Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, 27 maggio 2024, n. 115/2024/PASP

Società partecipate – Parere – Controllo ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 – Servizi di farmacia comunale – Servizi pubblici di rilevanza economica ai sensi del d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201

La Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con riferimento all’affidamento in house della gestione della farmacia comunale previo acquisto di una partecipazione in una società pubblica, ha affermato il seguente principio di diritto: sussiste un obbligo di motivazione qualificata sulla scelta del modello di affidamento del servizio della farmacia comunale e di una relazione indipendente circa la convenienza economica e la sostenibilità finanziaria.

Ciò in quanto il servizio farmaceutico, qualificato in termini di servizio pubblico di rilevanza economica, costituisce pubblico servizio, ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, mentre ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 201/2022 gli enti locali possono affidare i servizi di interesse economico generale di livello locale a società in house sulla base di una qualificata motivazione. Tale norma prevede che l’ente che affida un servizio in house dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio, illustri i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all’impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente e accessibilità dei servizi, anche in relazione ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house, tenendo conto dei dati e delle informazioni risultanti dalle verifiche periodiche. L’obbligo di qualificata motivazione di cui parla l’art. 17 citato pur non applicandosi ai contratti sottosoglia, quale quello in discussione, è comunque affermato quale canone generale ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 175/2016. L’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 201/2022 prevede che degli esiti della valutazione di cui sopra si dia conto, prima dell’avvio della procedura di affidamento del servizio, in un’apposita relazione nella quale sono evidenziate altresì le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione europea per la forma di affidamento prescelta, nonché illustrati gli obblighi di servizio pubblico e le eventuali compensazioni economiche, inclusi i relativi criteri di calcolo, anche al fine di evitare sovracompensazioni.

Il Consiglio di Stato torna sulle proroghe o rinnovi delle concessioni dei lidi balneari

Consiglio di Stato, sez. VII, 20 maggio 2024, n. 4479

Beni pubblici – Demanio marittimo – Concessioni – Finalità turistico-ricreative – Disciplina nazionale – Proroghe o rinnovi automatici – Contrasto con il diritto eurounitario – Disapplicazione

Devono essere disapplicate perché contrastanti con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE e comunque con l’art. 49 del T.F.U.E., tutte le disposizioni nazionali che hanno introdotto e continuano ad introdurre, con una sistematica violazione del diritto dell’Unione, le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e in particolare:

a) le disposizioni di proroga previste in via generalizzata e automatica, e ormai abrogate dall’art. 3, comma 5, della l. n. 118 del 2002 (art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018; art. 182, comma 2, del d.l. n. 34 del 2020, conv. in l. n. 77 del 2020; art. 100, comma 1, del d.l. n. 104 del 2020, conv. in l. n. 126 del 2020);

b) le più recenti proroghe introdotte dagli articoli 10-quater, comma 3 e 12, comma 6-sexies, del d.l. n. 198 del 2022, inseriti dalla legge di conversione n. 14 del 2023 e dall’art. 1, comma 8, della stessa l. n. 14 del 2023, che ha introdotto il comma 4-bis all’art. 4 della l. n. 118 del 2022;

c) l’art. l’art. 10-quater, comma 2, del d.l. n. 198 del 2023 nella parte in cui prevede che il tavolo tecnico in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali definisce i criteri tecnici per la sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenendo conto anche della “rilevanza economica transfrontaliera”, che non è un presupposto per l’applicazione dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE ma semmai, laddove non si applichi il menzionato art. 12, del solo art. 49 del TFUE.

La disapplicazione delle norme nazionali sulle concessioni demaniali marittime si impone prima e a prescindere dall’esame della questione della scarsità delle risorse, in quanto, anche qualora si dimostrasse che in alcuni casi specifici non vi sia scarsità di risorse naturali, le suddette disposizioni, essendo di natura generale e assoluta, paralizzano senza giustificazione alcuna l’applicazione della direttiva 2003/126/CE e precludono in assoluto lo svolgimento delle gare, non potendo la valutazione sulla scarsità delle risorse in alcun modo ritenersi pregiudiziale o comunque non in grado di rimettere in discussione l’effetto diretto connesso all’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE.

La disapplicazione delle norme nazionali contrastanti con il diritto unionale da parte di tutte le autorità amministrative comporta in ogni caso la necessità di assegnare le concessioni con gara, in quanto:

i) le pubbliche amministrazioni, al fine di assegnare le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, devono applicare l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, costituendo la procedura competitiva, in questa materia, la regola, salvo che non risulti, sulla base di una adeguata istruttoria e alla luce di una esaustiva motivazione, che la risorsa naturale della costa destinabile a tale di tipo di concessioni non sia scarsa, in base ad un approccio che può essere anche combinato (a livello nazionale e locale) e deve, comunque, essere qualitativo;

ii) anche quando non ritengano applicabile l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE perché la risorsa non è scarsa, esse devono comunque applicare l’art. 49 del T.F.U.E. e procedere all’indizione della gara, laddove la concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, da presumersi finché non venga accertato che la concessione difetti di tale interesse, sulla scorta di una valutazione completa della singola concessione;

iii) anche nelle eccezionali ipotesi di risorsa non scarsa e di contestuale assenza dell’interesse transfrontaliero certo, da provarsi in modo rigoroso, il diritto nazionale impone di procedere con procedura selettiva comparativa ispirata ai fondamentali principi di imparzialità, trasparenza e concorrenza e preclude l’affidamento o la proroga della concessione in via diretta ai concessionari uscenti, che non sono titolari di alcun diritto di insistenza.

Con riferimento alla stagione balneare 2024, è compatibile con il diritto dell’Unione la sola proroga “tecnica” – funzionale allo svolgimento della gara – prevista dall’art. 3, commi 1 e 3, della l. n. 118 del 2022 nella sua originaria formulazione, prima delle modifiche (da disapplicare) dei termini apportate dal d.l. n. 198 del 2022, come modificato dalla legge di conversione n. 14 del 2023, laddove essa fissa come termine di efficacia delle concessioni il 31 dicembre 2023 e consente alle autorità amministrative competenti di prolungare la durata della concessione, con atto motivato, per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura competitiva e, comunque, non oltre il termine del 31 dicembre 2024 «in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023, connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa». Affinché possano legittimamente giovarsi di tale proroga tecnica senza violare o eludere il diritto dell’Unione e la stessa l. n. 118 del 2022, le autorità amministrative competenti – e, in particolare, quelle comunali – devono avere già indetto la procedura selettiva o comunque avere deliberato di indirla in tempi brevissimi, emanando atti di indirizzo in tal senso e avviando senza indugio l’iter per la predisposizione dei bandi.

Stante la necessità non più procrastinabile di procedere alle gare, un’utile cornice normativa per una disciplina uniforme delle procedure selettive di affidamento delle concessioni può essere tratta non solo dalle singole previsioni delle leggi regionali, ma anche dai principi e dai criteri della delega di cui all’art. 4, comma 2 della l. n. 118 del 2022, anche se poi essi non hanno trovato attuazione essendo la delega scaduta senza esercizio.

Alla Corte Costituzionale la questione dei vincoli di inedificabilità assoluta nella Regione Siciliana

Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sez. giurisdizionale, 14 maggio 2024, ordinanza n. 364

Abuso edilizio – Vincolo di inedificabilità assoluta dalla battigia – Istanza di condono – Normativa Regione Sicilia

Il Collegio sottopone alla Corte costituzionale – ritenendola rilevante e non manifestamente infondata – la questione di legittimità costituzionale:

a) dell’art. 2, comma 3, della legge regionale siciliana 30 aprile 1991, n. 15, quanto alle relative parole “devono intendersi” (anziché “sono”); e, comunque, di detto comma 3 nella parte in cui esso pone la retroazione del precetto – di diretta e immediata efficacia anche nei confronti dei privati delle “disposizioni di cui all’art. 15, prima comma, lett. a, … della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78” – sin dalla data di entrata in vigore di detta legge regionale n. 78 del 1976, anziché dalla data di entrata in vigore della stessa legge n. 15 del 1991, per le ragioni di seguito esposte;

b) nonché – in via subordinata e condizionatamente all’esegesi che se ne dia – dell’art. 23 (ossia dell’art. 32-33 della legge n. 47 del 1985 per quale recepita in Sicilia), comma 11 (già 10), ultima proposizione, della legge regionale siciliana 10 agosto 1985, n. 37 – laddove tale norma afferma che “restano altresì escluse dalla concessione o autorizzazione in sanatoria le costruzioni eseguite in violazione dell’art. 15, lettera a) della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, ad eccezione di quelle iniziate prima dell’entrata in vigore della medesima legge e le cui strutture essenziali siano state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976” – per violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3, comma 1, della Costituzione (c.d. eccesso di potere legislativo).

In sostanza, il Collegio dubita della compatibilità costituzionale dell’imposizione, nel 1991, del vincolo di inedificabilità assoluta nei 150 metri dalla battigia direttamente efficace anche per i privati con effetto retroattivo sin dal 1976; anziché con effetto solo per l’avvenire, ossia dall’entrata in vigore della legge n. 15 del 1991.

L’accoglimento della questione sollevata avrebbe, praticamente, l’effetto – ma solo limitatamente a quei Comuni che non avevano dato attuazione al precetto di cui al cit. art. 15, primo comma, lett. a), della L.R. n. 78 del 1976 – di includere nel novero delle opere condonabili ai sensi del c.d. primo condono, quello del 1985, non solo “quelle iniziate prima dell’entrata in vigore della medesima legge [n. 78 del 1976] e le cui strutture essenziali siano state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976”, ma anche quelle realizzate, parimenti nei 150 metri dalla battigia, fino al 1° ottobre 1983. Ne resterebbero invece comunque escluse – oltre alle opere realizzate dopo il 1976 nei comuni che avevano attuato il precetto loro rivolto dal cit. art. 15, lett. a) – tutte le opere ultimate successivamente al 1° ottobre 1983, perché ex se non condonabili, ratione temporis, in base alla legge n. 47 del 1985; così come neppure in base al c.d. secondo condono, quello del 1994, giacché esso è sopravvenuto successivamente all’entrata in vigore della cit. L.R. n. 15 del 1991, che – pur se solo a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, ma non già retroattivamente – senza dubbio ha legittimamente reso “direttamente e immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati” “le disposizioni di cui all’articolo 15, primo comma, lett. a, … della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78”, cui il relativo art. 2, comma 3, si riferisce.

In via subordinata – ossia solo per l’inverosimile eventualità che, all’opposto di quanto questo Collegio opina, si ritenesse possibile affermare che l’esclusione dal condono del 1985 non derivi dall’interpretazione autentica recata dal cit. art. 2, comma 3, L.R. n. 15 del 1991, bensì dallo stesso art. 23, comma XI, della L.R. n. 37 del 1985 – questo Consiglio reputa dubbia la legittimità costituzionale di detta norma legislativa regionale, nella parte in cui si potesse ritenere che essa abbia escluso dalla condonabilità “speciale” di cui alla legge n. 47 del 1985 un’ipotesi che (in difetto di preventivo inserimento di detto vincolo nei piani regolatori generali dei singoli Comuni, destinatari dell’originario precetto della L.R. n. 78 del 1976) sarebbe comunque passibile di ordinario accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del T.U. n. 380 del 2001 (ex art. 13 della legge statale n. 47 del 1985).

La ratio del condono è quella di rendere sanabili attività edilizie che non possano ottenere, ex post, la concessione in sanatoria; né, ex ante, il titolo edilizio: giacché, altrimenti, non avrebbe senso ancorare a una precisa finestra temporale la possibilità di richiedere il condono.