Mese: Maggio 2025

Interdittiva antimafia e titoli edilizi

Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 28 marzo 2025, n. 703

Titoli edilizi – SCIA – Interdittive antimafia – Disciplina – Applicabilità – Oneri comunali di accertamento – Rapporti con la Prefettura – Comunicazione antimafia liberatoria – Decadenza titolo edilizio

La disciplina delle interdittive antimafia si applica anche ai provvedimenti autorizzatori ed alle attività soggette a s.c.i.a. (nel caso di specie un B&B), imponendo al comune di verificare che l’autocertificazione dell’interessato sia veritiera e di richiedere al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria e di revocare e/o dichiarare decaduta la s.c.i.a., in presenza di un’informativa antimafia.

Abbandono di rifiuti e danno all’immagine

Tar Campania, Napoli, sez. V, 24 marzo 2025, n. 2502

RSU – Abbandono – Ordinanza di rimozione ex art. 192 cod. amb. – Danno all’immagine – Responsabilità civile – Danno conseguenza – Onere probatorio – Diritto di cronaca

Non può essere accolta la domanda di risarcimento dei danni connessa al presunto danno all’immagine conseguente alla adozione di una ordinanza di rimozione dei rifiuti ex art. 192 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) qualora l’articolo di stampa si limiti a riportare il contenuto del provvedimento impugnato e non risultino violati i parametri elaborati dalla giurisprudenza in materia di diritto di cronaca, quali la rilevanza sociale dell’argomento, l’informazione rispondente alla verità obiettiva, l’uso di espressioni corrette in relazione ai correnti livelli di decenza espressiva.

Non può essere accolta la domanda di risarcimento dei danni connessa al presunto danno non patrimoniale all’immagine conseguente alla adozione di una ordinanza di rimozione dei rifiuti ex art. 192 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) qualora il danneggiato non fornisca la prova del presupposto rappresentato dal “danno-conseguenza”, che non può essere superata invocando la liquidazione equitativa del quantum risarcitorio, trattandosi di uno degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità amministrativa da illecito civile ex artt. 2043 del codice civile.

Il provvedimento “implicito”

Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 2 maggio 2025, n. 447

Procedimento amministrativo – Provvedimenti finale – Provvedimento “implicito” – Nozione –

Il provvedimento implicito ricorre qualora l’amministrazione, pur non adottando formalmente la propria determinazione, ne determini univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un contegno conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del corrispondente provvedimento formale non adottato: quando, cioè, emerga senza equivoco un collegamento biunivoco tra l’atto adottato o la condotta tenuta e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, onde quest’ultima sia l’unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà.

Interventi edilizi in prossimità di linee ferroviarie

Tar Valle d’Aosta, Aosta, sez. unica, 27 marzo 2025, n. 9

Intervento edilizio – Prossimità al tracciato delle linee ferroviarie – Distanze minime – Deroghe – Condizioni

L’art. 49 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 753, stabilisce – quale regola generale – che «Lungo i tracciati delle linee ferroviarie è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie ad una distanza, da misurarsi in proiezione orizzontale, minore di metri trenta dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia». In via eccezionale, l’art. 60 dello stesso d.P.R. n. 753 del 1980 stabilisce poi che, quando la sicurezza pubblica, la conservazione delle ferrovie, la natura dei terreni e le particolari circostanze locali lo consentano, possono essere autorizzate dai competenti uffici della M.C.T.C. riduzioni alle distanze prescritte (tra gli altri, dall’art. 49). Quattro sono quindi le condizioni che vanno verificate ai fini del rilascio delle autorizzazioni eccezionali in deroga: sicurezza, conservazione della ferrovia, natura dei terreni, circostanze locali.

Pannelli fotovoltaici sul tetto di edifici nel centro storico e valutazione paesaggistica

Consiglio di Stato, sez. IV, 2 aprile 2025, n. 2808

Autorizzazione paesaggistica – Installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto di edifici nel centro storico – Diniego – Onere motivazionale rafforzato

La presenza di pannelli fotovoltaici sul tetto di edifici, anche ubicati nel centro storico, non può essere percepita a priori e in assoluto come fattore di disturbo visivo, dovendosi contemperare, nell’ambito della valutazione paesaggistica, l’interesse pubblico alla tutela del paesaggio con quello volto all’incremento della produzione di energia da fonti alternative, esaminando le concrete modalità con cui i pannelli fotovoltaici sono inseriti negli edifici e nel paesaggio circostante.

In materia di installazione di pannelli fotovoltaici, l’eventuale diniego dell’autorizzazione paesaggistica deve essere adeguatamente giustificato e, trattandosi di opere di pubblica utilità, le motivazioni ostative devono essere particolarmente stringenti.

Illecito professionale e partecipazione a gara

Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 8 aprile 2025, n. 659

Contratti pubblici – Selezione del contraente – Grave illecito professionale – Valutazione fiduciaria – Criteri – Clausola aperta – Ratio

L’apprezzamento della ricorrenza del grave illecito professionale è connotato da un importante contenuto fiduciario, da intendersi nel senso che assume particolare rilevanza la condotta dell’operatore rispetto allo specifico contratto stipulando e alla posizione della singola stazione appaltante; a tal fine, l’amministrazione, nell’esercizio dell’ampio potere tecnico-discrezionale attribuitole dal Codice degli appalti pubblici, può utilizzare ogni tipo di elemento idoneo e mezzi adeguati a desumere l’affidabilità e l’integrità del concorrente, potendo evincere il compimento di gravi illeciti professionali da ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale dell’operatore economico di cui sia stata accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa, secondo un giudizio espresso non in chiave sanzionatoria, ma fiduciaria.

L’art. 98, comma 6, lett. c), laddove prevede che il grave illecito professionale, nella figura consistente in carenze dell’operatore nell’esecuzione di un contratto, vada provato richiamando l’intervenuta risoluzione per inadempimento o la condanna al risarcimento del danno, contiene l’ulteriore richiamo ad “altre conseguenze comparabili”.

Si tratta di una clausola aperta nella misura in cui, da una parte, non esclude che la prova delle gravi carenze nell’esecuzione di un contratto possano risiedere in conseguenze ulteriori rispetto alla risoluzione o alla condanna al risarcimento del danno; dall’altra parte rimette all’interprete la concreta individuazione di quali siano le conseguenze comparabili.

La ratio della clausola aperta è, in definitiva, di far sì che l’amministrazione, nel motivare in proposito, non sia libera di indicare fatti pretestuosi, perché privi di attinenza con l’esecuzione di un precedente contratto, ma al contempo non sia vincolata a considerare esclusivamente i casi di risoluzione per inadempimento e risarcimento del danno.

La società mista e le sue caratteristiche

Tar Lazio, Roma, sez. I quater, 16 aprile 2025, n. 7595

Servizi pubblici locali – Servizio idrico – Modalità di affidamento – Società mista – Legittimità – Forma

Il d.lgs. n. 152/2006 (Codice dell’ambiente) rappresenta il punto di riferimento della regolazione del settore idrico (artt. 147, 149-bis e 172); in particolare, l’art 149-bis, per le modalità di affidamento, rinvia sostanzialmente alle forme di gestione previste dall’ordinamento europeo per la generalità dei servizi pubblici locali (SPL).

In particolare, secondo la normativa dell’Unione europea (oggi trasposta nel d.lgs. 23 dicembre 2022 n. 201), gli Enti locali possono procedere ad affidare la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica attraverso: a) la esternalizzazione a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica secondo le disposizioni in materia di appalti e concessioni di servizi; b) una società mista pubblico-privata, la cui selezione del socio privato avvenga mediante gara a doppio oggetto; c) la gestione diretta da parte dell’Ente locale, cosiddetta “in house”, purché sussistano i requisiti previsti dall’ordinamento comunitario, e vi sia il rispetto dei vincoli normativi vigenti.

Al fine di individuare le modalità attraverso cui procedere all’affidamento di appalti pubblici in favore di una società mista, occorre distinguere l’ipotesi di “costituzione di una società mista per una specifica missione”, sulla base di una gara che abbia per oggetto sia la scelta del socio sia l’affidamento della specifica missione, da quella in cui si intendano “affidare ulteriori appalti ad una società mista già costituita”.

Con riferimento alla prima ipotesi, a seguito di una evoluzione giurisprudenziale, tanto comunitaria quanto nazionale, è possibile ritenere sufficiente un’unica gara, quella per la scelta del socio privato, con la conseguente legittimità dell’affidamento diretto degli appalti, operato in favore di tale società mista, a condizione che l’individuazione del servizio da svolgere sia delimitata in sede di gara, sia temporalmente che con riferimento all’oggetto.

Di converso, nell’ipotesi in cui si debba procedere all’affidamento di appalti ulteriori e successivi rispetto all’originaria missione, deve ritenersi sempre necessario il ricorso a procedure di evidenza pubblica per la relativa aggiudicazione.

Elementi indeclinabili per la legittimità di una società mista e degli affidamenti direttamente disposti a favore della medesima sono i seguenti: a) la gara unica a doppio oggetto (per la scelta del socio e l’affidamento del servizio); b) un socio privato con funzioni di socio operativo; c) la partecipazione a tempo determinato del privato alla compagine sociale; d) il divieto di società mista “generalista” ovvero “aperta” all’affidamento di ulteriori incarichi al socio privato.

La forma della società mista si giustifica, invero, quale partenariato pubblico-privato costituito per la gestione di uno specifico servizio per un tempo determinato. L’indeterminatezza di un Bando sulle condizioni fondamentali della costituenda società mista, ovvero, da un lato, il possesso di tutti i requisiti non solo per gestire servizi pubblici, ma anche per realizzare lavori e, dall’altro, della sua durata complessiva, potrebbe indurre potenziali concorrenti a non presentare domanda di partecipazione alla selezione proprio per l’assenza di elementi imprescindibili per effettuare una corretta valutazione sulla convenienza od opportunità (cioè sul rapporto costi-benefici) dell’acquisizione della qualità di soci operativi.

Presupposti per l’affidamento in house

Tar Marche, Ancona, sez. I, 11 aprile 2025, n. 264

Servizi pubblici – In house providing – Onere motivazionale rafforzato – Controllo analogo – Nozione – Operatività – Forma congiunta – Organi speciali – Divieto – Esclusione per gli organismi in house – Patti parasociali – Principio di stretta necessarietà delle partecipazioni pubbliche – Organi decisionali – Composizione – Strumenti partecipativi – Affidamenti a valle – Evidenza pubblica

Nell’attuale quadro normativo è imposto all’amministrazione aggiudicatrice che intenda ricorrere all’affidamento diretto un onere motivazionale rafforzato, che consenta un penetrante controllo della scelta effettuata anzitutto sul piano dell’efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche.

La Relazione di cui all’art. 14 TUSPL deve dare conto della qualità del servizio, della situazione delle finanze pubbliche, dei costi per l’ente locale e per gli utenti con riferimento alla scelta effettuata, oltre a confrontare tale opzione con soluzioni alternative paragonabili e con esperienze precedenti, sempre evidenziando gli effetti su qualità, finanze pubbliche e sui costi (anche di investimento), per gli utenti e per l’ente locale.

La legittima applicazione dell’istituto postula l’effettiva sussistenza di un “controllo analogo”, anche nelle declinazioni del controllo a cascata e del controllo analogo congiunto, con la precisazione che esso si sostanzia in una forma di eterodirezione della società, tale per cui i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma “al socio pubblico controllante”, che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni.

Il controllo analogo è tale se, per effetto della sua concreta modulazione, la società affidataria non è terza rispetto all’ente affidante, ma una sua articolazione, sicché tra socio pubblico controllante e società sussiste “una relazione interorganica e non intersoggettiva”, perché il controllo esercitato deve corrispondere a quello che l’ente pubblico esplica sui propri servizi. Tale relazione deve intercorrere tra soci affidanti e società, non anche tra la società e altri suoi soci (non affidanti o non ancora affidanti), rispetto ai quali la società sarebbe effettivamente terza.

In caso di società partecipata da più enti pubblici, il controllo analogo può essere esercitato in forma congiunta. A tal fine, non possono ritenersi adeguati i poteri a disposizione dei soci secondo il diritto comune, sicché è necessario dotare i soci affidanti di appositi strumenti che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società.

L’art. 11, comma 9, lett. d), del d.l.vo n. 175 del 2016, ha introdotto il divieto per gli statuti delle società a controllo pubblico di “istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società”. È esclusa la riferibilità della disposizione agli organismi in house, sicché il controllo analogo può essere realizzato anche attraverso l’istituzione, ad opera dei soci pubblici, di organi speciali ad esso funzionali. L’esclusione, per gli organismi in house, del divieto di istituire organi speciali, discende dai seguenti profili: a) il divieto è previsto in relazione alle “società a controllo pubblico”, regolate appunto dall’art. 11 e non è ripetuto nell’art. 16 dedicato alle società in house, la cui disciplina risulta, pertanto, speciale e derogatoria; b) a differenza delle società a controllo pubblico, per le quali, l’art. 2, comma 1, lett. m), del d.l.vo n. 175 del 2016 richiede che il controllo si esplichi nelle forme dell’art. 2359 cod. civ., le società in house sono sottoposte a quella forma particolare di controllo pubblico che è costituita dal controllo analogo (come chiaramente precisato dall’art. 2, comma 1, lett. o) d.lgs. n. 175 del 2016).

Una partecipazione “pulviscolare” è in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di incidere effettivamente sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa in presenza di interessi potenzialmente contrastanti e, quindi, a palesare la sussistenza di un controllo analogo almeno congiunto.

Proprio in ragione della non riferibilità dell’art. 11, comma 9, lett. d), del citato d.l.vo n. 175 del 2016 agli organismi in house, i soci pubblici ben possono sopperire a detta debolezza stipulando patti parasociali al fine di realizzare un coordinamento tra loro, in modo da assicurare il “loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società partecipata”.

Sempre in tema di controllo analogo congiunto, deve essere tenuto in considerazione, anche, che in linea di principio non è consentito a un’amministrazione pubblica acquisire in un organismo pluripartecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione inidonea a garantire controllo o potere di veto, anche laddove tale amministrazione intende acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto (c.d. principio di “stretta necessarietà” delle partecipazioni pubbliche, sancito dall’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 175 del 2016).

L’in house richiede che la nomina degli organi decisionali della società sia disciplinata in maniera da garantire la presenza di tutti gli Enti soci.

Le prestazioni di cui necessita una società in house, in quanto configurabile in termini sostanziali come organo dell’amministrazione controllante, devono essere acquisite mediante affidamenti a valle che rispettino le norme dell’evidenza pubblica. Non in è in sé illegittima la previsione dell’acquisto di lavori, servizi o forniture da parte di una società in house, a condizione che vengano rispettati i principi dell’evidenza pubblica o i requisiti per l’ulteriore affidamento in house.

Luoghi di culto e agibilità

Consiglio di Stato, sez. II, 2 aprile 2025, n. 2823

Pianificazione urbanistica – Destinazione urbanistica – Libertà di culto – Titoli edilizi – Istituto dell’agibilità – Ratio – Ambito applicativo

La libertà di culto non può essere invocata per sottrarsi al rispetto «della cornice normativa di rango primario e secondario e dei vincoli cui le attività umane di rilevanza pubblica sono astrette a salvaguardia della convivenza civile tra i consociati (subditi legum sumus, ut liberi esse possimus)» e, in particolare, per giustificare «una destinazione urbanistica di un immobile diversa da quella impressa dai pubblici poteri – con provvedimento non impugnato – nell’esercizio dell’attività conformativa in materia urbanistico-edilizia».

La stabile destinazione di un edificio a luogo di culto – in cui praticare liberamente i riti religiosi espressione della libertà di culto ex art. 19 Cost. – presentando un impatto sull’ordinato sviluppo dell’abitato, deve avvenire nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia, in cui trovano composizione i vari interessi pubblici e privati che si rivolgono al territorio quale terminale delle attività umane.

L’istituto dell’agibilità, come disciplinata dal vigente d.P.R. n. 380 del 2001, non è più volto solamente a verificare – come la precedente abitabilità – la mera sussistenza di quei requisiti, essenzialmente di natura igienico-sanitaria, per “abitare” in un edificio (e dunque di occuparlo stabilmente e per periodi anche lunghi), ma è preordinato ad assicurare il rispetto di una serie più ampia d’interessi pubblici, come la sicurezza, anche in termini di salvaguardia dell’incolumità pubblica, e il risparmio energetico correlato alla tutela dell’ambiente, onde garantire la funzione sociale della proprietà ex art. 42 Cost. ora assurta, a seguito della modifica dell’art. 9 Cost., tra i principi costituzionali fondamentali alla luce dei quali la proprietà viene conformata.

Il requisito dell’agibilità deve riguardare tutti gli edifici, compresi quelli destinati al culto, nonché le relative aree pertinenziali, ove riconducibili all’ambito dell’art. 24, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001.

Luoghi di culto, cambio di destinazione d’uso e incremento del carico urbanistico

Consiglio di Stato, sez. II, 2 aprile 2025, n. 2822

Titoli edilizi – Mutamento di destinazione d’uso con alterazione del carico urbanistico – Verifica in concreto – Indici – Luogo di culto – Differenze da luogo di esercizio di attività commerciale

La rilevanza di un mutamento di destinazione d’uso di un immobile ad incidere sul carico urbanistico – nozione implicante l’aumento di esternalità negative su una determinata area – deve essere verificato in concreto, tenendo conto di alcuni indici: quali la riduzione dei servizi pubblici, il sovraffollamento, l’aumento del traffico e, in generale, la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione o di utilizzare più intensamente quelle esistenti.

In assenza di qualsivoglia riscontro e, soprattutto, di pianificazione programmatoria a monte, il carico urbanistico correlato a un luogo di culto non può considerarsi omogeneo a quello di un’attività commerciale.

L’incremento del carico urbanistico determinato dallo stabile uso di un immobile, in origine legittimamente destinato ad uso commerciale, come luogo di culto, integra un abuso edilizio legittimante l’adozione dell’ordinanza di demolizione, espressione di un potere a esercizio doveroso e contenuto vincolato.