Mese: Maggio 2025

Abusi edilizi, potere sanzionatorio e oneri motivazionali

Tar Liguria, Genova, sez. II, 13 maggio 2025, n. 542

Abuso edilizio – Esercizio del potere repressivo a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso – Istanza in sanatoria – Vizi sostanziali – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Natura giuridica e oggetto – Potere vincolato – Interesse pubblico in re ipsa – Onere motivazionale attenuato – Condizioni fisiche e materiali del trasgressore – Non rilevanza nella fase repressivo-sanzionatoria – Compensazione tra volumi relativi a fabbricati differenti – Esclusione

In materia sanzionatoria edilizia, quando vengano in discussione vizi sostanziali e non meramente formali, l’interesse pubblico è sempre considerato in re ipsa e non richiede motivazione, neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso.

Le considerazioni in merito alla proporzionalità della demolizione quale sanzione applicabile rispetto all’illecito edilizio e in considerazione delle reali condizioni di vita e di salute del trasgressore e della sua famiglia non incidono sulla legittimità del provvedimento repressivo sanzionatorio, che comunque costituisce strumento del potere vincolato che l’amministrazione deve esercitare in materia ai sensi dell’art. 27 D.P.R. n. 380 del 2001, ma attengono alla diversa fase dell’esecuzione di detto provvedimento, condizionando l’attività dell’amministrazione competente ad eseguire l’ordine di demolizione attraverso la messa in campo di ogni più adeguato strumento di cautela e prudenza che deve manifestarsi idoneo a mitigare l’impatto pregiudizievole nel solo caso in cui sia obiettivamente dimostrato che il trasgressore e la sua famiglia versino in condizioni fisiche e materiali più che significativamente compromesse.

Allorquando il Comune eserciti il potere repressivo a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, la disciplina sanzionatoria applicabile è quella vigente al momento dell’esercizio del potere sanzionatorio. Ciò in quanto l’abuso edilizio e paesaggistico, rivestendo i caratteri dell’illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme tese al governo del territorio e alla tutela del paesaggio, sino al momento in cui non venga ripristinata la situazione preesistente. Da ciò discende che, ai fini della repressione dell’illecito de quo, è comunque applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’Amministrazione dispone l’applicazione della sanzione, in quanto, attesa la natura permanente dell’illecito stesso, colui che ha realizzato l’abuso svolgendo un’attività già illecita al momento della sua esecuzione mantiene inalterato nel tempo l’obbligo di eliminare l’opera illecita, onde il potere di repressione può essere esercitato anche per fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della norma che disciplina tale potere.

L’ordine di demolizione e l’atto di acquisizione al patrimonio comunale costituiscono due distinte sanzioni, che rappresentano la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla. La sanzione disposta con l’ordinanza di demolizione ha natura riparatoria ed ha per oggetto le opere abusive, per cui l’individuazione del suo destinatario comporta l’accertamento di chi sia obbligato propter rem a demolire e prescinde da qualsiasi valutazione sulla imputabilità e sullo stato soggettivo (dolo, colpa) del titolare del bene.

Attesa la ratio degli artt. 146 e 167 del D. Lgs. n. 42/2004, che mirano a preservare il paesaggio come “forma” del territorio, deve escludersi in radice, in materia paesaggistica, la possibilità di operare una sorta compensazione tra volumi relativi a fabbricati differenti.

L’ art. 167, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2004, laddove esclude la sanabilità di lavori che “abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, dev’essere inteso nel senso che la relativa valutazione va compiuta con riguardo a ciascun singolo manufatto oggetto d’intervento, il che preclude la possibilità di “compensare” tra loro volumi relativi a fabbricati differenti, tranne il caso in cui questi ultimi siano immediatamente adiacenti, così da formare, in sostanza, un unico corpo di fabbrica.

Attività commerciali e adeguamento igienico-sanitario

Tar Sicilia, Catania, sez. I, 1 aprile 2025, n. 1097

Edifici adibiti ad attività commerciali o produttive – Adeguamento igienico-sanitario – Autorizzazione – Presupposti – Normativa Regione Sicilia – Criteri interpretativi

L’art. 20 comma 7 della l.reg. Sicilia 16 aprile 2003, n. 4, secondo cui “I proprietari di edifici regolarmente realizzati adibiti esclusivamente ad attività commerciali o produttive possono regolarizzare, previa richiesta di autorizzazione, le opere eseguite per l’adeguamento degli stessi edifici a sopravvenute norme di sicurezza e/o igienico-sanitarie con il limite del 10 per cento della superficie utile inizialmente assentita e per un massimo di sessanta metri quadri” deve essere intesa in senso dinamico e funzionale poiché la norma, per operare, non presuppone l’immodificabilità delle preesistenze edilizie, limitandosi ad ancorare la possibilità di adeguamento per gli “edifici regolarmente realizzati adibiti esclusivamente ad attività commerciali o produttive”.

I presupposti dell’annullamento d’ufficio

Tar Toscana, Firenze, sez. I, 9 maggio 2025, n. 836

Procedimento amministrativo – Annullamento in autotutela – Presupposti – Interessi rilevanti – Comparazione – Discrezionalità – Onere motivazionale rafforzato – Localizzazione delle infrastrutture e degli impianti per le telecomunicazioni – Programmazione – Obbligo di aggiornamento per il Comune – Normativa Regione Toscana

L’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 subordina l’esercizio del potere di autotutela, nelle forme dell’annullamento d’ufficio, al ricorrere di un presupposto “rigido” costituito dall’illegittimità dell’atto da annullare, e dell’ulteriore presupposto ancorato invece a un concetto indeterminato che coincide con l’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento, diverso dal mero ripristino della legalità violata e da apprezzarsi anche tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Si tratta di un potere connotato da un elevato coefficiente di discrezionalità, improntato alla ricerca del corretto equilibrio fra la legittimità dell’azione amministrativa e la tutela dell’affidamento e della stabilità degli effetti giuridici prodotti dal provvedimento viziato, e che si esprime attraverso una valutazione comparativa sulla quale l’amministrazione procedente è tenuta a motivare, dando conto della contemporanea sussistenza dei presupposti di legge.

L’art. 9 della l.r. n. 49/2011 pone a carico dei Comuni l’onere di aggiornare la propria programmazione relativa alla localizzazione delle infrastrutture e degli impianti per le telecomunicazioni, sulla base delle proposte contenute nei programmi di sviluppo della rete presentati dai gestori entro il 31 ottobre di ogni anno. L’obbligatorietà dell’aggiornamento si ricava dalla previsione di cui al quinto comma dell’art. 9, in forza del quale il programma comunale degli impianti ha durata almeno triennale “ed è aggiornato, qualora necessario, in relazione alle esigenze di aggiornamento dei programmi di sviluppo della rete di cui al comma 2”: in questo senso non lasciano dubbi il tenore letterale della disposizione, con l’uso – dal valore tipicamente imperativo – del verbo “aggiornare” all’indicativo presente (passivo), e il riferimento alle esigenze di aggiornamento emergenti dai programmi di sviluppo presentati dai gestori, che implica in capo ai Comuni un obbligo quantomeno di verificare il contenuto di detti programmi di sviluppo e di adottare i provvedimenti consequenziali.

Il mancato aggiornamento del programma comunale di localizzazione degli impianti di T.L.C. non giustifica di per sé il diniego dell’autorizzazione richiesta per un impianto che il gestore abbia tempestivamente inserito nel proprio programma di sviluppo della rete, non potendo il Comune opporre al richiedente un mancato aggiornamento della pianificazione imputabile, di fatto, a propria inerzia.

Locazione turistica e poteri di controllo comunale

Consiglio di Stato, sez. V, 7 aprile 2025, n. 2928

Attività di locazione turistica esercitata in forma non imprenditoriale – Normativa Regione Lombardia – Poteri di controllo comunale – Insussistenza – Turismo – Competenza legislativa – Titolo abilitativo – Ratio e finalità – Requisiti edilizi ed igienico-sanitari – Carenza – Conseguenze

La legge della regione Lombardia 1 ottobre 2015, n. 27 non conferisce ai comuni alcun potere di controllo sulla stipula di contratti di locazione turistica al di fuori dell’esercizio di un’attività imprenditoriale.

La materia del turismo rientra nella competenza legislativa residuale delle regioni, fermo restando la possibilità di intervento dello Stato nella materia dell’ordinamento civile di sua competenza esclusiva di cui all’articolo 117, comma 2 lett. l), della Costituzione, al quale è riconducibile la libertà contrattuale in materia di locazione turistica e che può interferire con il settore del turismo.

L’attività di locazione per finalità turistica esercitata in forma non imprenditoriale, riconducibile al mero godimento indiretto di beni immobili, non richiede la segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ma una mera comunicazione di inizio attività (c.i.a.), a fini di monitoraggio e non è quindi soggetta a poteri prescrittivi ed inibitori dell’amministrazione locale.

Gli immobili destinati a locazioni per finalità turistiche devono possedere i requisiti edilizi ed igienico-sanitari previsti dalla normativa primaria e secondaria per i locali di civile abitazione ma l’eventuale carenza di tali requisiti, mentre può ripercuotersi sulla validità o sull’adempimento del contratto di locazione eventualmente stipulato, non legittima l’inibizione, da parte dell’amministrazione, della stipula del contratto.

Soccorso istruttorio e termine di integrazione

Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 12 maggio 2025, n. 432

Contratti pubblici – Soccorso istruttorio – Ratio – Termini – Perentorietà – Sanzione espulsiva – Onere motivazionale attenuato – Buona fede

Il termine per l’integrazione della documentazione, a seguito dell’attivazione del soccorso istruttorio, ha natura perentoria, allo scopo di assicurare un’istruttoria veloce, preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni prima della valutazione dell’ammissibilità della domanda.

La disciplina del soccorso istruttorio contempla la sanzione espulsiva quale conseguenza della inosservanza, da parte dell’impresa concorrente, all’obbligo di integrazione documentale.

La chiave interpretativa dell’art. 101 del Codice dei contratti pubblici è “la leale collaborazione delle parti” (amministrazione appaltante e operatori economici), ispirata alla fiducia nell’attività dell’amministrazione e alla responsabilità dell’operatore economico, secondo i noti principi di buona fede, il tutto evidentemente nel rispetto del principio della par condicio.

Nessuna motivazione qualificata o ulteriore rispetto al richiamo dell’attivazione del soccorso e della mancata tempestiva trasmissione della relativa documentazione si rende necessaria ai fini della legittimità del provvedimento espulsivo. Il soccorso istruttorio – previsto in favore della massima partecipazione – non può tradursi in un meccanismo dilatorio della procedura di gara, a fronte del disinteresse o della mancata collaborazione di chi per primo è tenuto ad attivarsi. Si deve aggiungere che l’amministrazione è mossa, nelle procedure selettive, dal bisogno attuale e concreto di acquisire i servizi di cui necessita. Le procedure selettive postulano un dovere particolarmente intenso, in capo alle imprese partecipanti, di chiarezza e completezza espositiva sia nella presentazione della documentazione volta alla verifica dei requisiti di ordine generale e di ordine speciale sia nella formulazione e presentazione delle offerte sia nella fase di verifica dei requisiti. L’operatore economico negligente, oltre a violare i doveri di correttezza e buona fede cui è vincolato, arreca un oggettivo intralcio allo svolgimento della procedura che non può non essere tenuto nella debita considerazione.

Impianto fotovoltaico e trasferimento della titolarità

Consiglio di Stato, sez. II, 23 aprile 2025, n. 3497

Energia elettrica ed energia in genere – Energia rinnovabile – Impianti fotovoltaici – Trasferimento della titolarità – Condizioni tariffarie – Vantaggi per gli Enti locali

Qualora un Comune trasferisca ad un terzo la titolarità di un impianto fotovoltaico, il subentrante non ha diritto al mantenimento delle originarie condizioni tariffarie, derivanti dalla mancata applicazione della rimodulazione introdotta dall’art. 26, comma 3, del d.l. 24 giugno 2014, n. 91; poiché l’esenzione dall’obbligo di tale rimodulazione tariffaria, di cui all’art. 22-bis del successivo d.l. 12 settembre 2014, n. 133, si applica solo a enti locali e scuole e non può essere trasferita a un qualsiasi operatore economico unitamente all’impianto, neanche qualora il G.S.E. (gestore dei servizi energetici) abbia autorizzato il trasferimento, atteso che tale atto non può legittimare una tariffa più vantaggiosa, che il legislatore ha inteso riservare solo a determinati soggetti.

Licenze e potestà regolamentare

Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sez. giurisdizionale, 23 aprile 2025, n. 338

Attività produttive – Licenze e autorizzazioni – Requisiti e condizioni per il rilascio – Tributi locali – Obblighi di pagamento

In virtù di un’interpretazione adeguatamente restrittiva e costituzionalmente orientata dell’art. 15-ter del d.l. 30 aprile 2019, n. 34, conv., con modificazioni, dalla l. 28 giugno 2019, n. 58, gli enti locali possono subordinare, con norma regolamentare, il rilascio, il rinnovo e la permanenza di licenze e autorizzazioni, in favore degli esercenti di un’attività commerciale, alla condizione della verifica del regolare pagamento dei tributi locali, unicamente con riguardo alle violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento.

La valutazione d’impatto “postuma”

Tar Campania, Napoli, sez. V, 7 aprile 2025, n. 2861

Ambiente – Intervento di trasformazione – Valutazione di impatto ambientale – Presupposti – Effetti – Stato dei luoghi – Rappresentazione – Valutazione dell’amministrazione – VIA postuma – Nozione – VIA postuma patologica e fisiologica – Caratteri – Carenza titoli edilizi – Non sanabilità

La valutazione di impatto ambientale presuppone la fedele rappresentazione da parte del richiedente che fotografi lo stato dei luoghi prima della progettata trasformazione, al fine di consentire all’amministrazione di valutare adeguatamente gli effetti significativi derivanti dalla realizzazione e dall’esercizio del progetto sui fattori ambientali.

In materia di valutazione di impatto ambientale “postuma” di cui all’articolo 29, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, può distinguersi tra v.i.a. postuma “patologica” e v.i.a. postuma “fisiologica”: la prima riguarda i casi di realizzazione di un progetto senza la previa valutazione ambientale, pur essendo questa prescritta dalla legge applicabile ratione temporis, la seconda attiene, viceversa, ai casi in cui il progetto è stato realizzato nella vigenza di un contesto normativo che non imponeva lo svolgimento della v.i.a. che, tuttavia, è poi richiesta in caso di modifica dell’opera o di rinnovo del relativo titolo autorizzativo.

La valutazione di impatto ambientale “postuma” di cui all’articolo 29, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 consente di portare a conclusione una fase già avviata, realizzando il bilanciamento di interessi rispetto a quella parte dell’intervento che ha già determinato una modifica sull’ambiente: esso non può trovare applicazione in caso di inizio di nuove attività.

L’istituto della valutazione di impatto ambientale “postuma” di cui all’articolo 29, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 non può sanare la carenza dei titoli abilitativi eventualmente necessari per la realizzazione di un progetto, in quanto non assegna all’amministrazione preposta alla tutela dell’ambiente alcun potere di sostituzione delle autorizzazioni che siano di competenza di altre amministrazioni.

I Comuni montani e il servizio scolastico

Consiglio di Stato, sez. VII, 17 marzo 2025, n. 2202

Istruzione pubblica – Comuni montani – Tutela costituzionale – Organizzazione del settore scolastico – Piano per il dimensionamento ottimale – Autonomia scolastica – Soppressione – Oneri istruttorio e motivazionale aggravati

La tutela dei comuni montani, che si inserisce nel quadro dei principi espressi dall’art. 44 Cost., è stata  riconosciuta dal legislatore nazionale lungo tutto il percorso evolutivo che ha riguardato gli atti di organizzazione del settore scolastico, come confermato anche dall’art. 1, comma 557 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, che ha introdotto nel testo dell’art. 19 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98,  il comma 5-quater, ove espressamente viene contemplata la “necessità di salvaguardare le specificità delle istituzioni scolastiche situate nei comuni montani, nelle piccole isole e nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche”.

Sebbene non sussista una radicale preclusione, in sede di approvazione del piano per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche, alla possibilità di procedere alla soppressione dell’autonomia scolastica in relazione ad istituti localizzati nei comuni montani, ciò può avvenire solo all’esito di adeguata istruttoria, con acquisizione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, nonché con esplicitazione adeguata dei giustificativi alla base delle scelte adottate.

La ristrutturazione “demoricostruttiva”

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 1° aprile 2025, n. 1133

Intervento di ristrutturazione “demoricostruttiva” – Nozione – Criterio della continuità costruttiva – Limite della “fedele ricostruzione” – Non operatività

Nella ristrutturazione demoricostruttiva (comprendente interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche) il criterio della continuità costruttiva, in termini di riconducibilità all’organismo preesistente (che si sostituisce a quello, più restrittivo, dell’identità dei fabbricanti ante e post intervento), non incontra il limite della “fedele ricostruzione”, essendo sufficiente la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente quanto a sagoma, superfici e volumi.