Varie

Mancato riconoscimento di debiti fuori bilancio, posizione del creditore e giurisdizione

Tar Sicilia, Catania, sez. V, 23 dicembre 2024, n. 4224

Debiti dell’amministrazione fuori bilancio – Posizione del privato – Mancato riconoscimento – Natura giuridica ricognitiva

A fronte dell’inerzia dell’amministrazione rispetto all’emanazione vincolata (seppure discrezionale nei contenuti) del provvedimento di riconoscimento dei debiti fuori bilancio, nell’ipotesi contemplata dall’art. 194, comma 1, lett. e) TUEL, la posizione del privato si configura comunque di diritto soggettivo, giacché correlata ad una pretesa di adempimento contrattuale. La deliberazione di cui all’art. 193, comma 2, TUEL, con cui l’ente locale riconosce la legittimità del debito fuori bilancio, pur postulando la competenza dell’organo consiliare riguardo alla valutazione ed all’apprezzamento dell’opportunità di iscrivere la relativa posta, alla luce dell’utilità e dell’arricchimento per l’ente dell’avvenuta acquisizione di beni o servizi in violazione delle norme di contabilità, è pur sempre volta alla costituzione diretta del rapporto obbligatorio con l’amministrazione.

In caso di mancato riconoscimento di un debito fuori bilancio, la sostanziale lesività nei confronti del creditore è data dall’inadempimento del rapporto sottostante, relativo all’obbligazione pecuniaria, e non già dalla omessa adozione della deliberazione consiliare di riconoscimento del debito fuori bilancio; di guisa che la posizione giuridica soggettiva – poiché avente per oggetto, in ultima analisi, il diritto di credito per il mancato pagamento di somme dovute in base ad un atto di rango negoziale – è di tipo paritetico, proprio di fattispecie di esecuzione contrattuale, appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario. Infatti, l’atto di regolarizzazione contabile – il riconoscimento del debito fuori bilancio – non ha natura provvedimentale, ma solo ricognitiva del presupposto, ai fini dell’inserimento nel bilancio dell’Amministrazione locale del debito assunto, sicché la posizione correlata non è di interesse legittimo, bensì di diritto soggettivo, con conseguente cognizione spettante all’Autorità giudiziaria ordinaria.

Consigliere comunale e legittimazione a impugnare atti dell’organo consiliare

Tar Marche, Ancona, sez. II, 13 novembre 2024, n. 887

Delibere consiliari – Impugnazione – Eccezionalità – Legittimazione – Presupposti – Surroga del consigliere dimissionario – Doverosità

La legittimazione dei consiglieri comunali dissenzienti ad impugnare le delibere dell’organo di cui fanno parte ha carattere eccezionale e postula la diretta compromissione delle prerogative inerenti al munus esercitato ovvero al cosiddetto jus ad officium; in altri termini, la legittimazione del consigliere comunale sussiste a fronte di violazioni direttamente e specificamente incidenti, sia pure in prospettiva strumentale, sulle prerogative (di accesso, di informazione, di documentazione, di partecipazione, di manifestazione del voto etc.) strettamente inerenti alla funzione.

Poteri di ordinanza e libertà di iniziativa economica privata

Tar Veneto, Venezia, sez. II, 9 dicembre 2024, n. 2931

Ordinanze contingibili e urgenti – Libertà di iniziativa economica – Limitazione – Legittimità – Trasporto pubblico locale non di linea – Città di Venezia

Sono legittime le misure che limitano la libertà di iniziativa economica privata degli esercenti attività di trasporto pubblico locale non di linea per finalità di rilievo costituzionale, quali la protezione della Città di Venezia e la sicurezza della navigazione.

Spesa pubblica e libertà di scelta della struttura sanitaria

Tar Lombardia, Milano, sez. V, 21 novembre 22024, n.3291

Servizi sanitari – Strutture socio-sanitarie – Discrezionalità del cittadino – Compartecipazione al costo delle prestazioni sociosanitarie e sociali – Capacità economica dell’assistito – Parametro di valutazione in uso agli Enti locali

Il cittadino può scegliere liberamente la struttura socio-sanitaria cui affidarsi: le amministrazioni preposte alla gestione e alla erogazione dei servizi sanitari e socio-sanitari non possono, con propri provvedimenti, né coartare la decisione dell’assistito, né subordinare la presa in carico all’indicazione di una particolare struttura. Quindi, il Comune non può imporre, per ragioni economiche, la struttura alla persona bisognosa.

Riguardo all’esigenza di individuare un ragionevole punto di equilibrio tra l’interesse al contenimento della spesa pubblica e il principio di libera scelta dell’assistito circa la struttura sanitaria o socio-sanitaria cui affidarsi, il legislatore ha previsto che l’intervento finanziario pubblico sia ammissibile solo con riferimento agli operatori accreditati che abbiano stipulato appositi contratti con le ATS competenti, i quali quindi – oltre a garantire elevati standard qualitativi – sono tenuti ad attenersi al sistema tariffario definito dalla Regione.

L’art. 2-sexies introdotto nel d.l. n. 42/2016 dalla legge di conversione n. 89 del 2016 ha espressamente escluso i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese le carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche in ragione della condizione di disabilità, laddove non rientranti nel reddito complessivo ai fini dell’IRPEF, dalla ridefinizione di “reddito disponibile” imposta dall’art. 5 del d.l. n. 201 del 2011 per la concessione di benefici assistenziali.

L’introduzione dell’ISEE quale parametro per la valutazione della condizione economica dei richiedenti benefici assistenziali è avvenuta, ad opera dell’art. 5 d.l. 201/2011 (seguito dal del d.p.c.m. 159/2013), in attuazione della competenza legislativa statale esclusiva di cui all’art. 117, co. 2, lett. m, Cost. in ordine alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Pertanto, gli enti locali non possono discostarsi da questo parametro esclusivo o introdurne altri di propria iniziativa, non avendo alcuna autonomia amministrativa o normativa sul punto, a tal fine non potendo addurre neppure esigenze legate ai vincoli di bilancio.

Sala scommesse e delocalizzazione

Consiglio di Stato, sez. IV, 19 novembre 2024, n. 9301

Giochi e scommesse – Case da giuoco – Legge regionale Emilia-Romagna – Distanze da luoghi sensibili – Delocalizzazione – Legittimità

È legittimo il provvedimento dell’ente locale che imponga la delocalizzazione della sala scommesse situata a distanza inferiore dal limite minimo stabilito dalla legge regionale, laddove risulti comunque possibile l’apertura di detta sala giochi in aree alternative, anche se periferiche, del territorio comunale e le stesse siano dotate sia di buona viabilità che di parcheggi, non esclusivamente residenziali, che possano rendere ben fruibile il tutto da parte di una possibile utenza.

La regione può disciplinare la distanza delle sale gioco dai lughi sensibili, trattandosi di perseguire finalità di carattere socio-sanitario, estranee alla materia della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, di competenza esclusiva dello Stato, e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.), nella quale la Regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale. Inoltre, la scelta del legislatore regionale di disincentivare la collocazione degli apparecchi da gioco e spingere alla loro collocazione lontano dai centri abitati, per contrastare il fenomeno della ludopatia, non contrasta con l’art. 3 Cost., non risultando discriminatoria la misura, avendo, anzi, il legislatore considerato tutti gli esercizi commerciali nei quali possono essere installati apparecchi da gioco. La legge che impone il distanziometro non contrasta infine con l’art. 41 Cost., esercitando un ragionevole e logico bilanciamento di interessi tra l’esercizio dell’attività economica e la tutela della salute.

Il giudice amministrativo sul Festival di Sanremo

Tar Liguria, Genova, sez. I, 5 dicembre 2024, n. 843

Contratti pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione – Contratti attivi – Fornitura di programmi aggiudicati ai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici – Festival di Sanremo – Affidamento con procedura ad evidenza pubblica

La convenzione avente ad oggetto l’affidamento in esclusiva alla Rai (Radio televisione italiana s.p.a.) dei diritti, nella titolarità del Comune di Sanremo, connessi allo svolgimento del “festival della canzone italiana” rappresenta, quantomeno nella parte in cui ha ad oggetto la concessione del marchio, una concessione di beni o, comunque, un contratto attivo con cui l’ente locale dispone di una propria utilitas, che rappresenta un’opportunità di guadagno (in quanto sfruttabile economicamente) in favore della Rai che corrisponde al Comune un corrispettivo. Pertanto, l’affidamento deve avvenire, in base a quanto stabilito dall’art. 13, comma 5 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (codice dei contratti pubblici), nel rispetto dei principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità, vale a dire, mediante l’interpello del mercato e il confronto di offerte concorrenti, nel rispetto della disciplina di cui alla legge di contabilità generale dello Stato (regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440) e del relativo regolamento di attuazione (regio decreto 23 maggio 1924, n. 827), anche in modo da consentire al Comune di trarre l’utilità più elevata possibile dalla concessione dell’uso del marchio.

L’esclusione degli appalti concernenti “la fornitura di programmi aggiudicati ai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici” dall’ambito di applicazione del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (codice dei contratti pubblici) ai sensi dell’art. 56, comma 1, lett. f) non implica la sottrazione di tale categoria di contratti – categoria cui sarebbe riconducibile la convenzione Rai – anche all’applicazione dei principi generali, tra cui l’articolo 13, comma 5, in base al quale l’affidamento dei contratti di cui al comma 2 (tra i quali sono annoverati i contratti esclusi, quali quelli di cui all’art. 56 del codice) che offrono opportunità di guadagno economico, anche indiretto, avviene tenendo conto dei principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità di cui all’art. 3 del codice.

Diritti fondamentali e compensazione finanziaria

Consiglio di Stato, sez. VII, 20 novembre 2024, n. 9323

Servizi pubblici – Servizi sociali – Trasporto gratuito scolastico – Allievi disabili – Diritto fondamentale finanziariamente condizionato – Esclusione per mancato pagamento di tributi locali – Illegittimità

A fronte di un credito vantato dall’avente diritto per l’esercizio di un diritto fondamentale come quello inerente al trasporto scolastico dell’allievo disabile, non è possibile eccepire in compensazione l’esistenza di un debito (nella specie, per mancato pagamento di tributi locali dovuti da un suo familiare) per cause del tutto estranee all’esercizio del diritto medesimo, tenuto conto che uno Stato sociale di diritto deve assicurare le esigenze dei soggetti più bisognosi e, a parità di bisogno, di quelli meno abbienti. Difatti, la teorica dei diritti fondamentali finanziariamente condizionati non può legittimare la mortificazione dei diritti fondamentali senza che la scelta dell’ente e, persino, del legislatore sia sorretta da una valida e superiore causa di giustificazione, attinente alla tutela del bene comune per finalità solidaristiche.

Uso pubblico di strada privata

Tar Marche, Ancona, sez. I, 16 novembre 2024, n. 891

Circolazione stradale – Uso pubblico di una strada privata – Intervento in autotutela – Oneri istruttori e motivazionali – Garanzie partecipative per il privato – Principio del minimo mezzo

Il Comune, ai sensi degli artt. 823 e 825 c.c., ben può agire in autotutela per ripristinare l’uso pubblico di una strada o comunque di una proprietà privata, sempre che riesca a comprovare che la servitù di uso pubblico esistesse effettivamente, e fermo restando che il proprietario può agire in tutte le sedi giudiziarie se ritiene invece che l’uso pubblico non vi sia mai stato.

Analoga facoltà è concessa ai Comuni dall’art. 378, ultimo comma, della L. n. 2248/1865.

Ma, del resto, se così non fosse, qualunque privato potrebbe inibire l’uso pubblico di una strada semplicemente affermando di esserne proprietario (o negando l’esistenza della servitù di uso pubblico), e ciò fino a quando il giudice civile non abbia deciso la controversia fra lo stesso privato e il Comune. Le conseguenze pratiche di tale modus operandi sarebbero ovviamente disastrose per la collettività.

Naturalmente, venendo in rilievo l’esercizio di un potere autoritativo, l’adozione del provvedimento deve essere preceduta da adeguata istruttoria e deve prevedere, salvo casi di urgenza qualificata, la partecipazione del privato destinatario dell’atto finale; il provvedimento, poi, deve essere adeguatamente motivato e, laddove possibile, l’amministrazione deve rispettare il principio del minimo mezzo.

Dall’istruttoria deve ovviamente risultare che il bene privato è soggetto, in maniera non episodica o occasionale, ad uso pubblico, ossia che lo stesso sia utilizzato da una collettività indifferenziata. Questo requisito, a sua volta, è legato anche all’ubicazione del bene privato nel territorio comunale, essendo evidentemente più difficile per il Comune sostenere l’uso pubblico di una strada vicinale o interpoderale situata in aperta campagna rispetto ad una strada di proprietà privata ricadente in una zona densamente urbanizzata.

La revoca di un assessore comunale

Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 18 novembre 2024, n. 3145

Organi comunali – Competenze – Procedimento di revoca di un assessore – Discrezionalità – Presupposti – Onere motivazionale – Comunicazione di avvio del procedimento – Omissione – Legittimità

La valutazione degli interessi coinvolti nel procedimento di revoca di un assessore è rimessa in via esclusiva al titolare politico dell’amministrazione, connotandosi come scelta ampiamente discrezionale, ferma peraltro la valutazione dell’organo consiliare, cui deve esserne data comunicazione ai sensi dell’art. 46, comma 4, del t.u.e.l. (e che potrebbe eventualmente opporsi con il rimedio della mozione di sfiducia motivata ai sensi dell’art. 52, comma 2, dello stesso corpus legislativo).

La revoca non presuppone la contestazione di addebiti (riguardando tale onere la bene differente materia disciplinare e, più in generale, sanzionatoria), ma soltanto un’adeguata motivazione, volta ad escludere il rischio dell’esercizio arbitrario (id est, non volto alla cura degli interessi della comunità locale) del potere.

Le esigenze di corretto funzionamento dell’amministrazione, ove adeguatamente motivate, potrebbero di per sé portare alla revoca dell’assessore.

La revoca dell’incarico di assessore comunale è esente dalla previa comunicazione dell’avvio del procedimento in considerazione del fatto che, in un contesto normativo nel quale la valutazione degli interessi coinvolti è rimessa in modo esclusivo al Sindaco, cui compete in via autonoma la scelta e la responsabilità della compagine di cui avvalersi per l’Amministrazione del Comune nell’interesse della comunità locale, con sottoposizione del merito del relativo operato unicamente alla valutazione del consiglio comunale, non c’è spazio logico, prima ancora che normativo per concepire l’esistenza dell’istituto partecipativo di cui all’art. 7 L. 241/1990.

Inoltre, poiché il procedimento in esame è semplificato al massimo per consentire un’immediata soluzione della crisi intervenuta nell’ambito del governo locale, l’interposizione della comunicazione dell’avvio del procedimento osterebbe a tale finalità e, dunque, può legittimamente essere omessa.

Sicurezza dei centri urbani e poteri sanzionatori sindacali

Consiglio di Stato, sez. VI, 2 dicembre 2024, n. 9615

Sicurezza del centro urbano – Coordinamento organi statali-Enti locali – Pubblici esercizi – Quiete urbana – Potere sanzionatorio del sindaco – Presupposti – Delegabilità – Principi di proporzionalità e adeguatezza della sanzione

Nella cornice normativa di nuovo conio tracciata in materia di sicurezza integrata dal d. l. 20 febbraio 2017, n. 14 (convertito dalla l. 18 aprile 2017, n. 48), l’art. 47 l. p. 58/1988 concorre, unitamente all’omologo istituto statale di cui all’art. 100 del T.U.L.P.S., “alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali”.

In vista di tutelare la sicurezza sul territorio – più precisamente del centro urbano –, cui obbedisce la recente normativa di settore, si riproduce un modello di coordinamento/intesa degli organi dello Stato con l’ente locale comunale.

Inoltre, la norma provinciale richiamata è parte della disciplina complessiva dei pubblici esercizi della Provincia di Bolzano, volta a garantire la quiete pubblica all’interno dei locali, con l’onere di allontanare le persone che compromettono il normale esercizio dell’attività di somministrazione, e di richiedere, ove necessario, anche l’intervento degli organi di polizia.

Il bene giuridico tutelato dalla norma provinciale – riferito all’ordine e alla morale genericamente intesa – è eterogeneo rispetto a quello salvaguardato dal potere di prevenzione dei reati di cui all’art. 100 del Regio decreto 16 giugno 1931, n. 773; coerentemente il potere sanzionatorio esercitato dal sindaco ha ad oggetto comportamenti lesivi della quiete pubblica, non omologabile concettualmente, ancor prima che giuridicamente, alla sicurezza e all’ordine pubblico nell’accezione tecnica che li connota.

La norma (cfr. art. 47, comma 3, l.p. cit.) testualmente prevede che “…il sindaco può sospendere la licenza di esercizio fino a un massimo di tre mesi, oppure anticipare, in casi meno gravi o di reiterato o indebito disturbo del vicinato a causa dell’attività dell’esercizio stesso, l’orario di chiusura. Qualora i fatti che hanno determinato la sospensione si ripetano, può revocare la licenza di esercizio”.

Il sindaco, quindi, è titolare ope legis del potere di cui si discute, il quale può essere esercitato dall’assessore, ove legittimamente delegato.

Quanto all’adozione del provvedimento di sospensione, va precisato che non sono necessariamente richiesti tumulti o gravi disordini, essendo sufficiente che il pubblico esercizio sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o costituisca, comunque, un pericolo per l’ordine, la moralità o la sicurezza pubblica.

La gradazione della sanzione deve tenere conto dei fatti accertati, corrispondenti ai comportamenti ed alle situazioni contrarie alla quiete pubblica, nel rispetto dei principi ordinamentali di proporzionalità ed adeguatezza.