Urbanistica/edilizia

L’attività edilizia “libera”

Tar Lazio, Latina, sez. II, 4 giugno 2025, n. 508

Titolo edilizio – Attività edilizia libera – Ambito applicativo – Pertinenze – Requisiti

Ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e-ter) del d.P.R. n. 380/2001, “sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo: […] e-ter) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l’indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati”.

Dal soprariportato testo traspare che le opere ivi indicate possono ritenersi effettivamente rientranti nel perimetro di applicazione della previsione normativa, laddove: i) siano contenute entro i limiti di permeabilità; ii) per le loro caratteristiche concrete siano del tutto inidonee a influire in modo rilevante sullo stato dei luoghi, e quindi non determinino una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (cioè abbiano una portata limitata sia in termini assoluti sia in rapporto al contesto in cui si collocano).

Le pertinenze edilizie devono possedere le seguenti caratteristiche:

i) hanno un nesso oggettivo che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente e funzionale all’edificio principale;

ii) sono sfornite di un autonomo valore di mercato;

iii) non comportano un “carico urbanistico proprio”, in quanto esauriscono la loro finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale.

SCIA, autotutela e false rappresentazioni

Tar Toscana, Firenze, sez. III, 4 giugno 2025, n. 981

Procedimento amministrativo – SCIA – Autotutela – Differenze dal modello generale di cui all’art. 21 novies L. 241/1990 – Doverosità – Termini – Derogabilità – Falso in rappresentazione dei fatti o in dichiarazioni sostitutive

L’autotutela di cui al comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241/1990 si diversifica per così dire sul piano ontologico dal modello generale declinato dall’art. 21-novies, cui pure rinvia, innanzi tutto per il fatto che non incide su un precedente provvedimento amministrativo, connotandosi pertanto per conseguire ad un procedimento di primo e non di secondo grado, tanto da indurre la dottrina a rivederne finanche la qualificazione definitoria. Inoltre, mentre di regola il potere di autotutela è ampiamente discrezionale nell’apprezzamento dell’interesse pubblico che può imporne l’esercizio e pertanto non coercibile, al punto che la p.a. non ha neanche l’obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l’esercizio, nel caso di cui all’art. 19, comma 4, della l. n. 241 del 1990, si ritiene che l’Amministrazione abbia l’obbligo di rispondere, sicché la discrezionalità risulta piuttosto relegata alla verifica in concreto della sussistenza o meno dei presupposti di cui all’articolo 21-novies. Depongono nel senso della doverosità, sia l’argomento letterale ‒ segnatamente, la differente formulazione dell’art. 21-nonies rispetto all’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990, il quale ultimo, a differenza del primo, dispone che l’amministrazione “adotta comunque” (e non già semplicemente “può adottare”) i provvedimenti repressivi e conformativi (sempre che ricorrano le ‘condizioni’ per l’autotutela) ‒, sia la lettura costituzionalmente orientata del disposto normativo.

L’art. 21 nonies, comma 2 bis, della legge n. 241/90 prevede che: “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”. La predetta disposizione deve interpretarsi nei seguenti termini: “Il superamento del rigido limite temporale di dodici mesi per l’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 21-nonies deve ritenersi ammissibile, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte in cui il soggetto richiedente abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, atteso che, in questi casi, viene in rilievo una fattispecie non corrispondente alla realtà”. Tale contrasto, tra la fattispecie rappresentata e quella reale, può essere determinato da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive), dovrà scontare l’accertamento definitivo in sede penale, ovvero da una falsa rappresentazione dei fatti, che può essere rilevante al fine di superamento del termine fisso anche in assenza di un accertamento giudiziario della falsità, purché questa sia accertata inequivocabilmente dall’amministrazione con i propri mezzi.

L’articolo 21-nonies, in definitiva, contempla due categorie di provvedimenti – differenziabili in ragione dell’uso della disgiuntiva “o” – che consentono all’Amministrazione di esercitare il potere di annullamento d’ufficio oltre il termine di dodici (o diciotto, a seconda del regime ratione temporis applicabile) mesi dalla loro adozione, a seconda che siano, appunto, conseguenti a false rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive false.

Ricostruzione di manufatti distrutti e oneri probatori

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, sez. unica, 19 maggio 2025, n. 88

Intervento edilizio – Ricostruzione di manufatti distrutti – Destinazione d’uso – Caratteri originari – Onere probatorio – Normativa statale e della Provincia autonoma di Trento

L’art. 107, comma 2, della legge provinciale n. 15 del 2015, dispone che “è consentita la ricostruzione filologica o tipologica dei manufatti distrutti, individuati catastalmente alla data di entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per l’edificabilità dei suoli), o la cui esistenza a tale data possa essere documentalmente provata, anche mediante immagini fotografiche, e collocati in aree non destinate specificatamente all’insediamento, in presenza di elementi perimetrali tali da consentire l’identificazione della forma e sulla base di documenti storici o fotografie d’epoca; per questi manufatti è ammessa la destinazione d’uso originaria o il riutilizzo a fini abitativi non permanente”.

La disposizione esige non solo la dimostrazione della forma in pianta dell’edificio diruto ma anche delle altre dimensioni atte ad identificarne la consistenza originaria, le quali possono essere comprovate non solo mediante gli elementi perimetrali sopravvissuti ma anche sulla scorta di documenti storici o fotografie d’epoca; tale documentazione deve essere idonea a comprovare la configurazione originaria dello specifico edificio diruto in quanto la ricostruzione consentita dall’art. 107, comma 2, della l.p. n. 15 del 2015 costituisce deroga alla disciplina urbanistica applicabile all’area di proprietà della ricorrente, che è inedificabile e non ammette nuove costruzioni ma solo interventi di ricostruzione, in via derogatoria, di edifici preesistenti e pertanto presuppone la dimostrazione della originaria consistenza dell’edificio che si tratta di ricostruire, seppure in termini di attendibilità, ma con riferimento alla peculiarità dell’edificio diruto e non per mero richiamo a tipologie ritenute simili. In mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare, l’intervento di ricostruzione è qualificabile come nuova costruzione.

La normativa statale all’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001 qualifica come interventi di ristrutturazione edilizia quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

L’accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell’edificio diruto, da intendersi quali mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, e ciò in base allo ius receptum della giurisprudenza amministrativa, per cui sia il restauro ed il risanamento, sia la ristrutturazione presuppongono, in ciò consistendo il discrimen rispetto alle attività di nuova edificazione, che sia dimostrata non solo la preesistenza di un manufatto, ma anche la relativa consistenza, ossia il complessivo ingombro plani-volumetrico calcolato sulla base di altezza, sagoma, prospetto, estensione.

In ogni caso la prova diversa da quella fotografica – che rimane la più idonea – non può comportare una riduzione della soglia di attendibilità sull’originaria consistenza dell’immobile da ricostruire; e quindi la prova deve essere in ogni caso rigorosa e condurre ad un risultato plausibile.

Localizzazione di impianti di telefonia mobile e silenzio-assenso

Tar Campania, Salerno, sez.I, 29 aprile 2025, n. 799

Pianificazione urbanistica – Localizzazione – Impianti di telefonia mobile – Silenzio assenso

Allorché si reputi indispensabile, al fine di garantire la copertura del territorio, posizionare gli impianti di telefonia mobile in aree diverse da quelle individuate dal Comune, grava sull’operatore dimostrare – nell’ambito del dialogo procedimentale con la p.a. – la necessità di una diversa allocazione onde assicurare la corretta distribuzione del servizio di comunicazione.

La previsione del silenzio assenso non solo costituisce una forma di semplificazione procedimentale volta ad accelerare la realizzazione e l’espansione della rete di comunicazione elettronica ma può essere giustificata anche in ragione del necessario vaglio tecnico delle diverse soluzioni in termini di punto di impianto della infrastruttura che la società installante deve preventivamente compiere, offrendo all’amministrazione, con la presentazione dell’istanza, una soluzione ottimale, già frutto di una valutazione, non solo tecnica, finalizzata a minimizzare l’impatto della nuova stazione radio base sul territorio e a renderla compatibile con i diversi interessi insistenti sullo stesso, a cui può perciò seguire un iter decisorio semplificato.

Impianto privato di trattamento rifiuti e contributo di costruzione

Intervento di nuova costruzione – RSU – Impianto di trattamento rifiuti privato – Contributo di costruzione – Esonero – Presupposti

L’esenzione dal contributo di costruzione previsto dalla prima parte della lett. c) del comma 3 dell’art. 17 d.P.R. 380 del 2001 deve fondarsi sull’esistenza di un vincolo indissolubile tra l’opera da realizzare e l’erogazione diretta del servizio – da desumere delle sue oggettive caratteristiche – non essendo sufficiente un rapporto strumentalità o la mera possibilità che le opere, in futuro, per effetto della concessione o di accordi convenzionali, possano divenire di proprietà pubblica.

Ad un impianto di trattamento rifiuti privato, realizzato da un soggetto anch’esso privato, che persegue finalità lucrative, non può applicarsi l’esenzione del contributo di costruzione previsto dalla prima parte della lett. c) del comma 3 dell’art. 17 d.P.R. 380 del 2001.

L’abuso edilizio sopravvenuto

Tar Lombardia, Milano, sez. II, 15 aprile 2025, n. 1364

Abuso edilizio sopravvenuto – Caratteri – Presupposti – Eccezionalità – Buona fede –

L’art. 38 d.P.R. n. 380/2001 concerne il regime sanzionatorio degli “abusi edilizi sopravvenuti” (ossia quelli conseguenti alla realizzazione di interventi eseguiti sulla base di titolo edilizio annullato successivamente alla realizzazione edilizia) e ha natura eccezionale: il più mite trattamento previsto dalla norma è diretto a sanzionare esclusivamente la specifica condotta consistente nella realizzazione di un’opera del tutto conforme a un titolo edilizio annullato. Solo in questo caso si versa in quella situazione di buona fede che giustifica l’applicazione di misure più favorevoli.

L’art. 38, primo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che venga irrogata una sanzione pecuniaria pari al valore delle opere eseguite. La norma è chiara nel rapportare la sanzione al valore delle opere e non all’aumento di valore conseguente alla loro realizzazione. Si deve pertanto ritenere che, anche in caso di interventi di ristrutturazione edilizia con recupero della superficie lorda di pavimento (s.l.p.) esistente, la misura della sanzione debba essere calcolata facendo riferimento al valore finale complessivo delle opere senza scomputare il valore che le stesse avevano prima dell’effettuazione dell’intervento.

Abusi edilizi, potere sanzionatorio e oneri motivazionali

Tar Liguria, Genova, sez. II, 13 maggio 2025, n. 542

Abuso edilizio – Esercizio del potere repressivo a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso – Istanza in sanatoria – Vizi sostanziali – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Natura giuridica e oggetto – Potere vincolato – Interesse pubblico in re ipsa – Onere motivazionale attenuato – Condizioni fisiche e materiali del trasgressore – Non rilevanza nella fase repressivo-sanzionatoria – Compensazione tra volumi relativi a fabbricati differenti – Esclusione

In materia sanzionatoria edilizia, quando vengano in discussione vizi sostanziali e non meramente formali, l’interesse pubblico è sempre considerato in re ipsa e non richiede motivazione, neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso.

Le considerazioni in merito alla proporzionalità della demolizione quale sanzione applicabile rispetto all’illecito edilizio e in considerazione delle reali condizioni di vita e di salute del trasgressore e della sua famiglia non incidono sulla legittimità del provvedimento repressivo sanzionatorio, che comunque costituisce strumento del potere vincolato che l’amministrazione deve esercitare in materia ai sensi dell’art. 27 D.P.R. n. 380 del 2001, ma attengono alla diversa fase dell’esecuzione di detto provvedimento, condizionando l’attività dell’amministrazione competente ad eseguire l’ordine di demolizione attraverso la messa in campo di ogni più adeguato strumento di cautela e prudenza che deve manifestarsi idoneo a mitigare l’impatto pregiudizievole nel solo caso in cui sia obiettivamente dimostrato che il trasgressore e la sua famiglia versino in condizioni fisiche e materiali più che significativamente compromesse.

Allorquando il Comune eserciti il potere repressivo a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, la disciplina sanzionatoria applicabile è quella vigente al momento dell’esercizio del potere sanzionatorio. Ciò in quanto l’abuso edilizio e paesaggistico, rivestendo i caratteri dell’illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme tese al governo del territorio e alla tutela del paesaggio, sino al momento in cui non venga ripristinata la situazione preesistente. Da ciò discende che, ai fini della repressione dell’illecito de quo, è comunque applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’Amministrazione dispone l’applicazione della sanzione, in quanto, attesa la natura permanente dell’illecito stesso, colui che ha realizzato l’abuso svolgendo un’attività già illecita al momento della sua esecuzione mantiene inalterato nel tempo l’obbligo di eliminare l’opera illecita, onde il potere di repressione può essere esercitato anche per fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della norma che disciplina tale potere.

L’ordine di demolizione e l’atto di acquisizione al patrimonio comunale costituiscono due distinte sanzioni, che rappresentano la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla. La sanzione disposta con l’ordinanza di demolizione ha natura riparatoria ed ha per oggetto le opere abusive, per cui l’individuazione del suo destinatario comporta l’accertamento di chi sia obbligato propter rem a demolire e prescinde da qualsiasi valutazione sulla imputabilità e sullo stato soggettivo (dolo, colpa) del titolare del bene.

Attesa la ratio degli artt. 146 e 167 del D. Lgs. n. 42/2004, che mirano a preservare il paesaggio come “forma” del territorio, deve escludersi in radice, in materia paesaggistica, la possibilità di operare una sorta compensazione tra volumi relativi a fabbricati differenti.

L’ art. 167, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2004, laddove esclude la sanabilità di lavori che “abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, dev’essere inteso nel senso che la relativa valutazione va compiuta con riguardo a ciascun singolo manufatto oggetto d’intervento, il che preclude la possibilità di “compensare” tra loro volumi relativi a fabbricati differenti, tranne il caso in cui questi ultimi siano immediatamente adiacenti, così da formare, in sostanza, un unico corpo di fabbrica.

Attività commerciali e adeguamento igienico-sanitario

Tar Sicilia, Catania, sez. I, 1 aprile 2025, n. 1097

Edifici adibiti ad attività commerciali o produttive – Adeguamento igienico-sanitario – Autorizzazione – Presupposti – Normativa Regione Sicilia – Criteri interpretativi

L’art. 20 comma 7 della l.reg. Sicilia 16 aprile 2003, n. 4, secondo cui “I proprietari di edifici regolarmente realizzati adibiti esclusivamente ad attività commerciali o produttive possono regolarizzare, previa richiesta di autorizzazione, le opere eseguite per l’adeguamento degli stessi edifici a sopravvenute norme di sicurezza e/o igienico-sanitarie con il limite del 10 per cento della superficie utile inizialmente assentita e per un massimo di sessanta metri quadri” deve essere intesa in senso dinamico e funzionale poiché la norma, per operare, non presuppone l’immodificabilità delle preesistenze edilizie, limitandosi ad ancorare la possibilità di adeguamento per gli “edifici regolarmente realizzati adibiti esclusivamente ad attività commerciali o produttive”.

La valutazione d’impatto “postuma”

Tar Campania, Napoli, sez. V, 7 aprile 2025, n. 2861

Ambiente – Intervento di trasformazione – Valutazione di impatto ambientale – Presupposti – Effetti – Stato dei luoghi – Rappresentazione – Valutazione dell’amministrazione – VIA postuma – Nozione – VIA postuma patologica e fisiologica – Caratteri – Carenza titoli edilizi – Non sanabilità

La valutazione di impatto ambientale presuppone la fedele rappresentazione da parte del richiedente che fotografi lo stato dei luoghi prima della progettata trasformazione, al fine di consentire all’amministrazione di valutare adeguatamente gli effetti significativi derivanti dalla realizzazione e dall’esercizio del progetto sui fattori ambientali.

In materia di valutazione di impatto ambientale “postuma” di cui all’articolo 29, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, può distinguersi tra v.i.a. postuma “patologica” e v.i.a. postuma “fisiologica”: la prima riguarda i casi di realizzazione di un progetto senza la previa valutazione ambientale, pur essendo questa prescritta dalla legge applicabile ratione temporis, la seconda attiene, viceversa, ai casi in cui il progetto è stato realizzato nella vigenza di un contesto normativo che non imponeva lo svolgimento della v.i.a. che, tuttavia, è poi richiesta in caso di modifica dell’opera o di rinnovo del relativo titolo autorizzativo.

La valutazione di impatto ambientale “postuma” di cui all’articolo 29, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 consente di portare a conclusione una fase già avviata, realizzando il bilanciamento di interessi rispetto a quella parte dell’intervento che ha già determinato una modifica sull’ambiente: esso non può trovare applicazione in caso di inizio di nuove attività.

L’istituto della valutazione di impatto ambientale “postuma” di cui all’articolo 29, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 non può sanare la carenza dei titoli abilitativi eventualmente necessari per la realizzazione di un progetto, in quanto non assegna all’amministrazione preposta alla tutela dell’ambiente alcun potere di sostituzione delle autorizzazioni che siano di competenza di altre amministrazioni.

La ristrutturazione “demoricostruttiva”

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 1° aprile 2025, n. 1133

Intervento di ristrutturazione “demoricostruttiva” – Nozione – Criterio della continuità costruttiva – Limite della “fedele ricostruzione” – Non operatività

Nella ristrutturazione demoricostruttiva (comprendente interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche) il criterio della continuità costruttiva, in termini di riconducibilità all’organismo preesistente (che si sostituisce a quello, più restrittivo, dell’identità dei fabbricanti ante e post intervento), non incontra il limite della “fedele ricostruzione”, essendo sufficiente la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente quanto a sagoma, superfici e volumi.