Autotutela

Beni demaniali e poteri di autotutela

Tar Sardegna, Cagliari, sez. I, 6 giugno 2024, n. 459

Beni demaniali – Poteri di autotutela, di controllo e di intervento di imperio – Ambito di operatività – Caratteri e presupposti

Dalla natura demaniale di un immobile discende la titolarità in capo al Comune resistente dei poteri di autotutela ex art. 823, secondo comma, c.c. con correlato potere di ordinanza al rilascio dei locali.

L’art. 823 c. 2 c.c. soddisfa un’esigenza di tutela non connessa al possesso, né alla mera proprietà pubblica, ma dipendente dagli interessi pubblici che il bene può soddisfare.

La limitazione dell’eccezionale potere di autotutela esecutiva ai soli beni del demanio e del patrimonio indisponibile non può che essere giustificata proprio nell’ottica della salvaguardia di specifiche finalità di interesse generale (anche soltanto potenzialmente) soddisfatte dal bene pubblico. L’autotutela esecutiva di cui all’art. 823 co.2 c.c. presuppone, per il suo legittimo esercizio, la dimostrazione soltanto che il bene in questione appartenga al demanio o al patrimonio indisponibile, presumendosi da siffatta qualità, iuris et de iure, la sua preordinazione al soddisfacimento di determinati interessi pubblici.

Permesso in sanatoria e autotutela

Consiglio di Stato, sez. VI, 3 maggio 2024, n. 4060

Abuso edilizio – Permesso in sanatoria – Annullamento in autotutela – Onere motivazionale

È illegittimo l’annullamento in autotutela di un permesso in sanatoria, laddove esso sia privo di una espressa motivazione dalla quale risultino le ragioni di interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione e la posizione di affidamento dei destinatari dell’atto stesso.

Occupazione abusiva di suolo pubblico e poteri pubblici

Consiglio di Stato, sez. VII, 12 marzo 2024, n. 2408

Occupazione abusiva di suolo pubblico – Potere di autotutela possessoria iuris publici – Disciplina speciale – Ratio – Termini – Natura giuridica – Autotutela petitoria – Termini

Quello regolato dall’art. 378 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F) è un potere di autotutela possessoria iuris publici, inteso all’immediato ripristino dello stato di fatto preesistente e non sottoposto a limiti temporali, attesa la specialità della disciplina che lo contempla e stante l’inapplicabilità della normativa sulla tutela possessoria di cui all’art. 1168 del c.c., secondo cui, chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di questo la reintegrazione del possesso medesimo.

I poteri di autotutela iuris publici che discendono dall’articolo 378 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F), e mediatamente dall’articolo 823 del codice civile non presentano la medesima identità, né stessa ratio delle azioni di cui dispone il privato e possono essere esercitati anche dopo che sia decorso un anno dalla alterazione, o dalla turbativa. In particolare, si tratta di un potere autoritativo con cui vi è il doveroso ripristino della disponibilità del bene in favore della collettività (poco importando se per trascuratezza o connivenza, o per mera mancata conoscenza delle circostanze di fatto, o per esigenze di approfondimento delle questioni, gli organi pro tempore non abbiano emanato gli atti di autotutela).

La disciplina speciale sul potere pubblicistico di autotutela possessoria non si pone su un piano di parallelismo con le azioni possessorie previste dal codice civile, in quanto il «potere», per i principi di legalità e di tipicità, è disciplinato nel suo esercizio dai principi generali del diritto amministrativo e non è sottoposto a termini di decadenza, a meno che il legislatore – con una espressa disposizione – disponga il contrario, a tutela di particolari interessi. In particolare, non si può invocare l’analogia per applicare la normativa sul termine annuale, previsto dal codice civile per l’esercizio dell’azione possessoria, poiché nessuna lacuna vi è da colmare.

L’art. 823 c.c. attribuisce alla P.A. il potere di agire a tutela non solo del possesso, ma anche della proprietà dei beni pubblici e in questa evenienza non è ravvisabile alcun termine decadenziale. Invero, la natura del bene oggetto di tutela, quale bene facente parte del demanio o del patrimonio indisponibile, fa sì che, ai sensi dell’art. 823, secondo comma c.c., la P.A. possa agire anche in via di autotutela petitoria, senza limiti di tempo.

Contratti pubblici e segretezza delle offerte

Tar Campania, Napoli, sez. III, 19 febbraio 2024, n. 1155

Contratti pubblici – Procedura di gara – Segretezza delle offerte – Principio di trasparenza – Mancata pubblicità – Principio di imparzialità – Annullamento e revoca in autotutela – Annullabilità – Titoli edilizi – Art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990 – Omessa comunicazione avvio procedimento

La segretezza delle offerte è riconducibile ai principi di imparzialità e buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), sub specie dei principii di trasparenza e par condicio dei concorrenti: la loro lesione deve essere apprezzata ex ante, rilevando, cioè, non solo la lesione effettiva del bene giuridico tutelato, ma anche il mero pericolo di lesione, sicché il condizionamento della valutazione rileva anche solo sotto il profilo potenziale, in quanto astrattamente idoneo a compromettere la garanzia di imparzialità dell’operato dell’organo valutativo.

L’obbligo di apertura delle offerte tecniche in seduta pubblica discende dal principio di trasparenza, espressamente richiamato dall’articolo 30 del d.lgs. 50/2016, secondo cui “nell’affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”.

La mancata pubblicità delle sedute di gara costituisce non una mera mancanza formale, ma una violazione sostanziale, che invalida la procedura, senza che occorra la prova di un’effettiva manipolazione della documentazione prodotta e le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post, una volta rotti i sigilli e aperti i plichi. Ne discende che la rilevanza della violazione prescinde dalla prova concreta delle conseguenze negative derivanti dalla sua violazione, rappresentando un valore in sé, di cui la normativa nazionale e comunitaria predica la salvaguardia a tutela non solo degli interessi degli operatori, ma anche di quelli della stazione appaltante. Ai fini della tutela della segretezza delle offerte e per assicurare la par condicio e la trasparenza delle operazioni concorsuali, occorre che la Commissione di gara predisponga particolari cautele per la conservazione delle buste contenenti le offerte e di dette cautele si faccia espressa menzione nel verbale di gara, non potendo tale verbalizzazione essere surrogata da dichiarazioni postume del presidente circa lo stato di conservazione dei plichi.

Nelle gare pubbliche, viola il principio di segretezza delle offerte la mera circostanza che il plico sia pervenuto aperto alla Commissione di gara, indipendentemente dal soggetto cui sia addebitabile l’erronea apertura, dato che la regola è posta a garanzia dei principi di par condicio e di segretezza delle offerte, che altrimenti non risultano assicurati, in quanto l’apertura del plico deve essere effettuata dalla Commissione pubblicamente, in contraddittorio ed il giorno della gara, e non invece in circostanze tali da non consentire alcuna certezza in ordine al rispetto delle regole di legalità previste per lo svolgimento della gara; e ciò ancorché la busta contenente l’offerta economica sia intatta, essendo pervenuta alla Commissione regolarmente sigillata.

L’obbligo di predisporre adeguate cautele a tutela dell’integrità delle buste contenenti le offerte delle imprese partecipanti a gare pubbliche, in mancanza di apposita previsione da parte del legislatore, discende necessariamente dalla ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l’individuazione del contraente, in quanto l’integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti è uno degli elementi sintomatici della segretezza delle offerte e della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità, consacrati dall’art. 97 Cost., ai quali deve uniformarsi l’azione amministrativa.

Il principio di imparzialità (art. 97 Cost.), inteso come terzietà della P.A. rispetto agli interessi toccati dall’azione amministrativa, rileva non solo in una dimensione sostanziale, ma anche in una dimensione formale.

La dizione letterale di cui all’art. 21 nonies legge n.241/1990 fa riferimento, in generale, a “ragioni di interesse pubblico”, sicché nulla esclude, a priori, una rivalutazione dell’interesse pubblico originario, anche nel caso dell’annullamento d’ufficio di un precedente provvedimento amministrativo: si deve, più precipuamente, avere, però, riguardo alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, che sia diverso dal mero ripristino della legalità violata, dovendo anche considerarsi le posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.

L’esercizio del potere di cui all’art. 21-nonies l. n. 241/1990, postula, in particolare, un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione dell’atto, che non possa essere soddisfatto se non a danno dell’interesse del privato alla conservazione dell’atto annullato.

Il potere di revoca in autotutela, ai sensi dell’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990, ha carattere discrezionale e si differenzia dal potere di autoannullamento, disciplinato dall’art. 21 nonies, l. n. 241/1990, in ragione della diversità dei presupposti, ricorrendo i quali può e deve essere esercitato l’uno o l’altro potere di secondo grado. In tal senso, se il presupposto per l’esercizio dell’annullamento d’ufficio è l’illegittimità del provvedimento originario, il presupposto della revoca, viceversa, consiste nella nuova valutazione della situazione originariamente giustificativa dell’emissione del primo provvedimento, ovvero della incompatibilità tra gli effetti dell’originario provvedimento e l’interesse pubblico che l’Amministrazione è chiamata a perseguire.

I presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento e dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, che è un principio diverso dal mero ripristino della legalità violata, tenendo anche conto delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari. Conseguentemente, l’annullamento concerne il caso di illegittimità che inficia il provvedimento che ne viene colpito e che conseguentemente viene ritirato con effetto ex tunc.

La Stazione appaltante conserva, anche dopo l’aggiudicazione definitiva e addirittura dopo il conseguimento dell’efficacia di quest’ultima, il suo potere di autotutela rispetto alla procedura seguita nel caso in cui il rapporto risulti già viziato a monte, come stabilito dall’art. 32, comma 8, d.lgs. n. 50/2016; potere da esercitare ai sensi dell’art. 21-nonies, l. n. 241/1990, all’esito di una puntuale ed approfondita istruttoria. Difatti, il potere di annullamento in autotutela, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa da parte della stessa Amministrazione procedente, deve riconoscersi alla stessa anche dopo l’aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto, con conseguente inefficacia di quest’ultimo, e trova ora un solido fondamento normativo, dopo le recenti riforme della l. n. 124/2015, anche nella previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, l. n. 241/1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa. Ciò che è precluso a seguito della stipulazione del contratto è soltanto l’esercizio del potere di revoca, ma non anche di quello di annullamento d’ufficio, che, per sua natura, presuppone il riscontro di un vizio di legittimità dell’atto oggetto di annullamento.

Laddove il contenuto dell’atto lesivo non possa essere diverso da quello in concreto adottato, l’apporto collaborativo del privato non sarebbe comunque stato in grado di influire nel processo di formazione del provvedimento finale, con conseguente applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990. Ed invero, l’art. 21-octies, l. 241/1990, deve essere interpretato nel senso di evitare che l’amministrazione sia onerata in giudizio di una prova diabolica, e cioè della dimostrazione che il provvedimento non avrebbe potuto avere contenuto diverso in relazione a tutti i possibili contenuti ipotizzabili; pertanto, si deve porre a carico del privato quanto meno l’onere di allegare gli elementi conoscitivi che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento.

L’omessa comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7, l. n. 241/1990 non inficia la legittimità del provvedimento finale in applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, della medesima legge, laddove l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto esser diverso da quello in concreto adottato.

Titolo edilizio e autotutela

Tar Lazio, Roma, sez. II Stralcio, 7 novembre 2023, n. 16498

Titolo edilizio – Annullamento in autotutela – Discrezionalità

I provvedimenti di annullamento in autotutela sono attratti all’alveo normativo dell’art. 21-nonies l. n. 241/1990 il quale ha riconfigurato il relativo potere attribuendo all’amministrazione un coefficiente di discrezionalità che si esprime attraverso la valutazione dell’interesse pubblico in comparazione con l’affidamento del destinatario dell’atto. In materia, i presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento e dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenendo anche conto delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari. L’esercizio del potere di autotutela è, dunque, anche in materia di governo del territorio, espressione di una rilevante discrezionalità che non esime l’amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti. In particolare, il potere di autotutela deve essere esercitato dalla p.a. entro un termine ragionevole, tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell’autorizzazione edilizia.

Natura della DIA

Consiglio di Stato, sez. VII, 27 settembre 2023, n. 8553

Titolo edilizio – DIA – Nozione – Poteri inibitori – Autotutela – Presupposti

La denuncia d’inizio attività non è un provvedimento a formazione tacita, ma è un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge.

Anche dopo la scadenza del termine di trenta giorni per l’esercizio dei poteri inibitori sulla DIA, la P.A. conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui generis, che si differenzia dalla consueta autotutela decisoria, perché non implica un’attività di secondo grado insistente su un precedente provvedimento amministrativo. Tale potere può essere esercitato soltanto se vi sono i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela (in particolare dell’annullamento d’ufficio) e, quindi, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico.