Abuso edilizio

Mutamento destinazione d’uso e abuso edilizio

Consiglio di Stato, sez. II, 9 settembre 2024, n. 7486

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Rapporti – Mutamento di destinazione d’uso con alterazione del carico urbanistico

La presentazione della richiesta di sanatoria non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione, ma solo sulla sua efficacia. Pertanto, in caso di rigetto dell’appello, l’efficacia degli atti impugnati in primo grado rimarrebbe sospesa fino alla pronuncia del Comune sulla nuova domanda la quale, se favorevole per il privato, rappresenterebbe una sopravvenienza tale da rendere legittimo l’intervento, mentre, se sfavorevole, riprenderebbe efficacia l’ingiunzione di ripristino.

È incensurabile – ed è anzi un atto doveroso e a contenuto vincolato – la decisione del Comune d’intimare il ripristino dello stato dei luoghi a fronte di intervento qualificabile come ristrutturazione edilizia per la quale era necessario il previo rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, co. 1, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi del mutamento della destinazione d’uso di un immobile che comporta un aumento del carico urbanistico, con la conseguenza che, in mancanza del titolo, si applica l’art. 33 del medesimo d.P.R., che prevede appunto la rimozione delle opere abusive.

Il mutamento da deposito ad abitazione comporta un cambio tra categorie funzionalmente autonome e non omogenee, sanzionabile con la misura ripristinatoria.

Ordinanza di demolizione

Tar Campania, Napoli, sez. III, 16 settembre 2024, n. 4974

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Destinatari -Presupposti – Destinatari – Inottemperanza – Prova liberatoria – Decorso temporale – Irrilevanza – Onere motivazionale attenuato – Affidamento del privato – Rapporto tra natura vincolata del provvedimento e garanzie partecipative – Certificato di agibilità – Natura giuridica – Finalità – Accertamento della conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie – Rapporti – Atto amministrativo plurimotivato – Onere probatorio del carattere risalente del manufatto – Nozione di “gazebo”

Non può avere rilievo, ai fini della validità dell’ordine di demolizione, il tempo trascorso tra la realizzazione dell’opera abusiva e la conclusione dell’iter sanzionatorio. La mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. Non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Non è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’Amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica. Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria. Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento. Anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse.

Né ai fini della ritenuta legittimità del provvedimento impugnato rileva la circostanza che la citata ordinanza di chiusura dell’attività sia stata adottata unicamente per insussistenza del certificato di agibilità. Ciò per la risolutiva circostanza che trattasi di provvedimenti aventi presupposti diversi e ai fini dell’adozione dell’ordinanza di chiusura dell’attività deve ritenersi sufficiente l’insussistenza del certificato di agibilità: il certificato di agibilità è pre-requisito necessario per lo svolgimento di qualsiasi attività, che – in difetto – può essere inibita.

In questo senso, non soltanto in base al combinato disposto degli artt. 24, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 e 35, comma 20, della L. n. 47/1985 l’accertamento della conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, ma ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia e, come tale, potenzialmente in contrasto con la tutela della pluralità d’interessi collettivi alla cui protezione la disciplina è preordinata.

Ed invero, pur essendoci un collegamento funzionale tra i due tipi di provvedimenti, atteso che il rilascio del certificato di agibilità, ora segnalazione certificata di agibilità, presuppone la conformità delle opere al permesso di costruire – tra i diversi presupposti essenziali di validità dell’agibilità troviamo anche l’avvenuta esecuzione dell’opera in conformità al progetto presentato ai sensi dell’art. 24, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 – trattasi di provvedimenti autonomi.

È legittimo l’annullamento della segnalazione certificata di agibilità a seguito del provvedimento di chiusura di un’attività agrituristica e dell’ordinanza di demolizione di opere realizzate in difformità ai titoli posseduti.

Nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto la fondatezza anche di una sola di esse, il che comporta la carenza di interesse della parte ricorrente all’esame delle ulteriori doglianze volte a contestare le altre ragioni giustificatrici, atteso che, seppur tali ulteriori censure si rivelassero fondate, il loro accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare l’interesse del ricorrente ad ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato.

È posta in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l’onere di provare il carattere risalente del manufatto della cui demolizione si tratta. Ciò vale non solo per l’ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche – in generale – per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione, appunto, di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi.

Infatti, solo il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone e dunque in applicazione del principio di vicinanza della prova) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto; mentre l’Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno dell’intero suo territorio.

Vero è che si ammette un temperamento di tale regola nel caso in cui il privato porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi rilevanti, seppure non univocamente probanti (ad esempio, aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti o circostanze rilevanti). A tal fine, è necessaria la produzione di documentazione oggettivamente comprovante l’epoca di realizzazione del manufatto.

Per “gazebo” si intende, nella sua configurazione tipica, una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili.

Devono essere espressi i seguenti principi di diritto:

a) ai sensi dell’art. 31, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 l’ordinanza di demolizione ha come destinatari il proprietario ed il responsabile dell’abuso, in forma non alternativa, ma congiunta e simultanea, così rendendo palese che entrambi questi soggetti sono chiamati a ripristinare il corretto assetto edilizio violato dall’abuso;

b) il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di demolizione non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio, ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario, che il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi; il soggetto passivo dell’ordine di demolizione viene, quindi, individuato nel soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta; pertanto, affinché il proprietario di una costruzione abusiva possa essere destinatario dell’ordine di demolizione, non occorre stabilire se egli sia responsabile dell’abuso, poiché la stessa disposizione si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all’esecuzione dell’ordine di demolizione, senza richiedere l’effettivo accertamento di una qualche sua responsabilità;

c) l’ordine di natura reale è, quindi, correttamente rivolto al proprietario a prescindere dalla responsabilità dello stesso nella realizzazione dell’illecito che investe il diverso tema relativo alla sanzione amministrativa o al provvedimento acquisitivo;

d) in materia di abusi edilizi, il proprietario di un manufatto abusivo, per sottrarsi alle conseguenze dell’ordine di demolizione rimasto inottemperato, deve dimostrare non soltanto la propria estraneità alla commissione degli abusi e la messa in pratica di tutte le misure offerte dall’ordinamento per impedire gli abusi stessi, ma anche di aver intrapreso tutte le iniziative idonee a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa, attivandosi anche nei confronti del soggetto che abbia la disponibilità del bene per costringerlo ad eseguire la demolizione;

e) nel caso in cui il soggetto nei cui confronti sia stato emesso un ordine di demolizione dimostri, in maniera inconfutabile, di aver attivato tutti gli strumenti predisposti dall’ordinamento per sottrarre l’immobile abusivo al vincolo esistente e provvedere al ripristino dell’ordine giuridico violato, può ritenersi esclusa la volontarietà dell’inottemperanza.

L’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che i relativi provvedimenti integrano atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto.

Al riguardo occorre precisare che, quanto al rapporto tra natura vincolata del provvedimento e garanzie partecipative, deve ritenersi illegittima la mancata comunicazione di avvio del procedimento che porta all’adozione di un atto di natura vincolata ove la situazione sottesa si dimostri particolarmente complessa.

Il market comparison approach

Consiglio di Stato, sez. II, 3 giugno 2024, n. 4971

Edilizia e urbanistica – Abuso edilizio – Parziale difformità – Sanzione – Quantificazione – Uso diverso da quello residenziale – Valore venale – Calcolo – Criteri – Market comparison approach (MCA) – Legittimità

Ai fini del calcolo del valore venale del fabbricato dall’art. 34, comma 2 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 delle opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire per fabbricati adibiti ad usi diversi da quello residenziale è legittimo l’utilizzo da parte dell’Agenzia del territorio del market comparison approach (MCA), metodo comparativo pluriparametrico, fondato sull’assunto che il prezzo di un immobile può essere considerato come la somma di una serie finita di prezzi componenti, ciascuno collegato a una specifica caratteristica apprezzata dal mercato.

La scelta del prezziario DEI – che associa ad ogni lavorazione il costo corrispondente – in luogo di quello regionale che, invece, correla ogni voce di spesa all’unità di misura di riferimento della lavorazione, costituisce una scelta tecnico-discrezionale non illogica né irragionevole al fine della determinazione della sanzione prevista dall’art. 34, comma 2 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 con riferimento al costo delle opere di completamento.

Immobili risalenti e abusi edilizi

Tar Puglia, Bari, sez. III, 12 luglio 2024, n. 844

Abuso edilizio – Assenza di titolo edilizio – Immobili risalenti nel tempo – Stato legittimo – Vincoli diretti e accessori – Discrezionalità tecnica

Per gli immobili risalenti nel tempo, in carenza di titolo edilizio ed in caso di rinvenimento soltanto parziale del titolo o di altri titoli, specie se pubblici (o comunque prodotti al tempo ad autorità pubbliche in data certa), che scandiscono le consistenze essenziali degli stessi, deve potersene ricavare lo stato legittimo. Lo stesso è, in linea di principio, desumibile dal titolo legittimante la costruzione nonché da una pluralità di documenti o elementi di fatto coevi, in presenza di un mero principio di prova. Allorchè il manufatto verta in area incisa da vincolo indiretto, l’imposizione limitativa de qua è espressione della potestà tecnico-discrezionale dell’amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale, soltanto in caso di istruttoria insufficiente, motivazione inadeguata, incongruenze oppure carenza di proporzionalità tra l’estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico. Tale vincolo ha natura giuridica accessoria e secondaria ed assolve una funzione meramente strumentale di offrire una tutela ambientale al bene culturale protetto, mediante prescrizioni, divieti e limiti all’utilizzo degli spazi adiacenti, che ingenerano la fascia di rispetto. A differenza del vincolo diretto (storico, artistico), che riguarda, beni o aree, nei quali sono stati rinvenuti beni di tale valenza (o in relazione ai quali vi sia la certezza della loro esistenza), il vincolo indiretto viene imposto sui beni e sulle aree circostanti a quelli sottoposti al vincolo diretto, così da garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva nonché migliori condizioni ambientali e di decoro.

Titolo abilitativo tacito

Tar Lazio, Roma, sez. II stralcio, 26 luglio 2024, n.15293

Abuso edilizio – Trasformazione in assenza di titolo abilitativo del manufatto sottoposto a sanatoria – Istanza in sanatoria – Diniego – Titolo abilitativo tacito – Condizioni

Il titolo abilitativo tacito si può dire formato soltanto se la domanda di sanatoria è conforme al relativo modello legale e, quindi, se è in grado di comprovare che ricorrono tutte le condizioni previste per il suo accoglimento, ivi compresa la non avvenuta trasformazione dell’opera abusiva e la completezza della documentazione richiesta a suo corredo, la mancanza di taluna di esse impedendo in radice che possa avviarsi (e concludersi) il procedimento di condono, in cui il decorso del tempo è mero coelemento costitutivo della fattispecie autorizzativa.

Abuso edilizio e condizioni di condonabilità

Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 18 giugno 2024, n. 3810

Abuso edilizio – Vincoli relativi e assoluti – Condonabilità – Condizioni – Sanatoria in via tacita – Esclusione

Ai sensi dell’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sono sanabili le opere abusive realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, siano essi di natura relativa o assoluta, purché ricorrano “congiuntamente” le seguenti condizioni: a) che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo; b) che, pur realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) che siano opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) senza quindi aumento di superficie; d) che vi sia il previo parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo. In assenza delle suddette condizioni, l’incondonabilità non è superabile nemmeno con il parere positivo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

È esclusa la sanatoria in via tacita degli abusi edilizi in area vincolata, considerato che l’art. 32, comma 1, l. 28 febbraio 1985, n. 47, richiamato dal più volte citato art. 32, comma 27, d. lgs. 30 settembre 2003, n. 269, dispone che il condono per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo “è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso” e che per abusi commessi su immobili soggetti a vincoli nessuna disposizione di legge correla all’inerzia dell’autorità competente la formazione tacita dell’atto consultivo; al contrario, il medesimo art. 32, comma 1, qualifica al secondo periodo l’inerzia dell’autorità preposta al vincolo come ipotesi di “silenzio-rifiuto”, impugnabile dall’interessato.

Abuso edilizio, ordine di demolizione e inottemperanza

Tar Lazio, Roma, sez. II quater, 3 maggio 2024, n. 8858

Abuso edilizio – Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Accertamento dell’inottemperanza – Natura giuridica – Acquisizione gratuita al patrimonio comunale – Effetti giuridici

Il verbale di accertamento dell’inottemperanza ad un ordine di demolizione ha valore endoprocedimentale ed è, come tale, privo di portata lesiva, limitandosi con esso gli agenti della Polizia municipale al compimento di un’attività di mera constatazione che riveste carattere strumentale rispetto all’atto di acquisizione al patrimonio comunale di cui all’art. 31, commi 3 e 4, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

È con il formale atto di acquisizione – adottato, a valle del verbale di accertamento dell’inottemperanza, dal dirigente o comunque dal responsabile del competente ufficio comunale – che viene certificato il passaggio di proprietà del bene al patrimonio pubblico e formato il titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari. Solo a tale provvedimento, e non al verbale, deve dunque essere riconosciuta capacità lesiva dell’interesse del privato.

Permesso in sanatoria e autotutela

Consiglio di Stato, sez. VI, 3 maggio 2024, n. 4060

Abuso edilizio – Permesso in sanatoria – Annullamento in autotutela – Onere motivazionale

È illegittimo l’annullamento in autotutela di un permesso in sanatoria, laddove esso sia privo di una espressa motivazione dalla quale risultino le ragioni di interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione e la posizione di affidamento dei destinatari dell’atto stesso.

Edificazione abusiva e vincoli di inedificabilità

Tar Campania, Salerno, sez. II, 22 aprile 2024, n. 866

Intervento di nuova costruzione – Vincoli di inedificabilità – Abuso edilizio – Sanatoria – Compatibilità

Solo i vincoli di inedificabilità imposti anteriormente alla edificazione abusiva ne impediscono ex lege la sanatoria (ai sensi dell’art. 33 della l. n. 47/1985). Qualora vengano in rilievo vincoli imposti successivamente all’edificazione, il condono edilizio non è precluso, a condizione che l’opera risulti compatibile col vincolo. Ed è, quindi, compito dell’autorità preposta alla tutela di quest’ultimo operare una valutazione in concreto in ordine alla compatibilità o meno delle opere di cui è chiesta la sanatoria con le ragioni del vincolo.

Quando le previsioni di tutela sono sopraggiunte alla realizzazione dell’intervento edilizio, la valutazione paesaggistica non potrebbe compiersi come se l’intervento fosse ancora da realizzare, e ciò è tanto più vero nei casi in cui le previsioni di tutela successivamente sopraggiunte ad integrare la disciplina dell’area risultano del tutto incompatibili con la tipologia dell’intervento già realizzato, e dunque il sopravvenuto regime di inedificabilità dell’area non può considerarsi una condizione ex se preclusiva e insuperabile alla condonabilità degli edifici già realizzati, dovendo l’amministrazione valutare se vi sia compatibilità tra le esigenze poste a base del vincolo e la permanenza in loco del manufatto abusivo.

Abuso edilizio e “doppia conformità”

Tar Umbria, sez. I, 17 aprile 2024, n. 268

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria successiva al provvedimento sanzionatorio – Condizioni – Osservazioni dei privati – Onere motivazionale del Comune – Provvedimento amministrativo fondato su plurimi motivi – Legittimità – Varianti ai piani attuativi di iniziativa privata o mista – Disciplina – Proposta di piano attuativo – Legge regionale Umbria – Doppia conformità urbanistico-edilizia – Onere probatorio – Sanzione pecuniaria sostitutiva – Condizioni

Circa gli effetti sostanziali e processuali della presentazione di una istanza di sanatoria successivamente all’adozione del provvedimento sanzionatorio, va precisato che tale effetto può verificarsi in caso di reiterazione delle istanze di sanatoria, solo ove la nuova istanza sia basata su elementi nuovi, la cui conoscenza è sopravvenuta rispetto alla precedente eventualmente rigettata. In caso contrario, ne deriverebbe un vulnus al principio di certezza delle situazioni giuridiche, consentendo al privato, mediante la semplice reiterazione di istanze di sanatoria, di precludere il dispiegamento degli effetti propri delle misure apprestate dall’ordinamento per la repressione degli abusi edilizi.

L’amministrazione non ha un onere di specifica e analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, bastando che ne abbia dato conto in modo sintetico ed essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente resa a sostegno dell’atto stesso.

Quando un provvedimento amministrativo è fondato su una pluralità di autonomi motivi, la legittimità di uno solo di essi è sufficiente a sorreggerlo, mentre l’eventuale illegittimità di uno solo o più degli altri motivi non basta a determinarne l’illegittimità. La sussistenza di una sola valida ragione ivi trasfusa può adeguatamente sostenerne la legittimità, con conseguente carenza di interesse della parte ricorrente all’esame delle censure ulteriori volte a contestare le altre ragioni giustificatrici dell’atto medesimo.

In assenza di una disciplina specifica per le varianti ai piani attuativi di iniziativa privata o mista già approvati, il Comune deve applicare, secondo il principio del contrarius actus, le medesime previsioni poste per la proposizione ex novo del piano, anche in considerazione della ricaduta generale sull’assetto dell’intera zona considerata dal piano di lottizzazione di una modifica alla disciplina delle distanze tra gli edifici.

L’art. 54 della l. r. Umbria n. 1 del 2015 prevede, al secondo comma, che la proposta di piano attuativo possa essere presentata dai «proprietari di almeno il cinquantuno per cento del valore catastale degli immobili e della superficie delle aree perimetrate dal PRG, parte operativa». La disposizione di cui al penultimo periodo del primo comma dell’art. 154 l. r. Umbria n. 1 del 2015 – per cui «Ai fini di cui al presente comma è consentito l’adeguamento di eventuali piani attuativi, purché tale adeguamento risulti conforme alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione dell’intervento oggetto di sanatoria, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria e non in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati» – in alcun modo potrebbe essere interpretata nel senso di consentire una deroga rispetto alla necessarietà, ai fini dell’accertamento di conformità, della sussistenza della c.d. “doppia conformità” di cui all’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 che prescrive, ai fini del rilascio del permesso in sanatoria, la conformità degli interventi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione della domanda di titolo in sanatoria. Una diversa interpretazione del primo comma dell’art. 154 l.r. n. 1 del 2015 lo esporrebbe a seri dubbi di legittimità costituzionale, atteso che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la richiamata “doppia conformità” costituisce «principio fondamentale nella materia governo del territorio» (Corte costituzionale sentenze n. 93 del 2023, n. 77 del 2021, n. 70 del 2020, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 107 del 2017), nonché norma fondamentale di riforma economico-sociale.

L’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, necessita che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria. Peraltro, il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione, oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell’opera abusiva alle prescrizioni urbanistico-edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario e/o paesaggistico) sia all’epoca di realizzazione dell’abuso sia a quella di presentazione dell’istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001. Ciò determina che, in sede di accertamento di conformità, è interamente a carico della parte l’onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l’ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 (già, art. 13 l. n. 47/1985 ), attesa la finalità dell’istituto, secondo il quale il rilascio del permesso in sanatoria presuppone indefettibilmente la c.d. doppia conformità, vale a dire la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.

Ai sensi del secondo comma dell’art. 143 della l. r. Umbria n. 1 del 2015, «Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso di costruire, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 139, […] ingiunge al proprietario e ai responsabili dell’abuso, nei termini di cui all’articolo 141, comma 3, la rimozione o la demolizione e la remissione in pristino». Il legislatore regionale è chiaro nel distinguere le ipotesi di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in totale difformità dal medesimo, da quelle di interventi che presentino variazioni essenziali (con l’utilizzo della congiunzione “ovvero”); solo in questa ultima ipotesi, assume rilevanza la disciplina di cui all’art. 139 della medesima l. r. n. 1 del 2015.

L’applicabilità della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 33, comma 2, in deroga alla regola generale della demolizione, propria degli illeciti edilizi, presuppone la dimostrazione della oggettiva impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi senza incidere, sul piano delle conseguenze materiali, sulla stabilità dell’intero edificio; in secondo luogo, e in ogni caso, l’applicabilità, o meno, della sanzione pecuniaria, può essere decisa dall’Amministrazione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e non prima, sulla base di un motivato accertamento tecnico. La valutazione, cioè, circa la possibilità di dare corso all’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire: con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive.

La verifica ex art. 33, comma 2, va compiuta su segnalazione della parte privata durante la fase esecutiva e non dall’Amministrazione procedente all’atto dell’adozione del provvedimento sanzionatorio. Inoltre, l’applicabilità della sanzione pecuniaria può essere decisa dall’Amministrazione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e non prima. In sostanza, la valutazione circa la possibilità di dare corso all’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire, con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive, dimodoché la verifica di cui all’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 va compiuta su segnalazione della parte privata durante la fase esecutiva e non dall’amministrazione procedente all’atto dell’adozione del provvedimento sanzionatorio.