Consiglio comunale

La conferenza dei capigruppo

Tar Campania, Napoli, sez. I, 7 marzo 2025, n. 1867

Consiglio comunale – Attività di rendiconto della gestione – Contenuti – Schema di rendiconto – Attribuzioni della giunta – Conferenza dei capigruppo – Natura giuridica

La struttura documentale che il consiglio comunale è chiamato ad approvare è costituita da una serie di documenti, che il legislatore individua quali elementi del rendiconto della gestione. Lo strumento di rendicontazione della gestione dell’esercizio finanziario dell’ente locale è dunque costituito dal conto del bilancio, dal conto economico e dallo stato patrimoniale. La giunta comunale, la cui competenza è residuale rispetto alle attribuzioni del consiglio, è l’organo deputato ad elaborare lo schema del rendiconto, da sottoporre alla successiva deliberazione del consiglio comunale per la relativa approvazione.

La conferenza dei capigruppo è organismo consultivo del sindaco e/o del presidente del consiglio comunale, concorrendo a definire la programmazione ed a stabilire quant’altro risulti utile per il proficuo andamento dell’attività del consiglio; essa costituisce, ad ogni effetto, commissione consiliare permanente.

Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa

Tar Lazio, Roma, sez. I, 25 febbraio 2025, n. 4128

Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso – Iter procedimentale – Momento istruttorio e decisorio – Provvedimento di scioglimento – Natura giuridica – Interessi rilevanti – Motivazione rafforzata – Comunicazione avvio procedimento – Non necessarietà

Il decreto presidenziale di cui all’art. 143 Tuel è l’esito di un articolato iter procedimentale che si avvia con l’azione della Prefettura territorialmente competente la quale nomina un’apposita commissione d’accesso presso gli uffici dell’ente locale, finalizzata ad acquisire tutti gli elementi concernenti eventuali collegamenti (ovvero influenze) tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata. L’esito degli accertamenti viene vagliato dalla Prefettura la quale trasmette un’apposita relazione al Ministro dell’interno che, a sua volta, propone al Consiglio dei ministri lo scioglimento dell’ente locale e la nomina di una commissione straordinaria per la gestione dello stesso. Una volta deliberato dal Consiglio dei Ministri lo scioglimento, esso è disposto con decreto del Presidente della Repubblica. L’attività degli organi statali periferici è di natura istruttoria, mentre il momento decisorio è rimesso al Governo (nella sua composizione collegiale) in base alla proposta del Ministro dell’interno la quale, ovviamente, può recepire in tutto o in parte quanto evidenziato nella relazione prefettizia.

Il provvedimento di scioglimento è una misura straordinaria, di carattere non sanzionatorio bensì preventivo, per affrontare una situazione emergenziale e finalizzata alla salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata. L’interesse curato dall’amministrazione statale è di rango talmente elevato che il potere nell’apprezzamento degli elementi fattuali posti a base della decisione di scioglimento di un ente locale democraticamente eletto è particolarmente ampio, andando anche oltre le responsabilità personali dei singoli amministratori: ciò si traduce, indi, in una valutazione complessiva dello stato dell’apparato burocratico mediante un giudizio globale e sintetico che deve però evidenziare degli elementi «concreti, univoci e rilevanti» di collegamento con la criminalità organizzata di tipo mafioso, non potendosi ricorrere al commissariamento nei casi di gestione meramente inefficiente o inefficace.

La decisione di commissariare un ente ai sensi dell’art. 143 Tuel è (quasi) sempre basata su una molteplicità di percorsi argomentativi che si fondono tra loro, pur mantenendo una loro unitarietà potendo (spesso) anche autonomamente costituire ragione sufficiente a giustificare lo scioglimento: pertanto, gli interessati debbono dimostrare l’erroneità della totalità (o quanto meno della gran parte) degli iter logico-motivazionali impiegati dall’amministrazione quale spiegazione della propria decisione.

È esclusa la necessità di garantire la piena partecipazione degli interessati, in considerazione della «natura di misura straordinaria di prevenzione che ha il provvedimento di scioglimento e della funzione ritenuta prevalente dall’ordinamento, di salvaguardia della funzionalità dell’amministrazione pubblica e di rimedio a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale, dovuto al condizionamento da parte della criminalità organizzata». Conseguentemente, la lamentata mancanza di una formale comunicazione di avvio del procedimento amministrativo (ai sensi dell’art. 7 l. 241/1990) e l’omissione di un reale contraddittorio, sono perfettamente legittimi tenuto conto della natura preventiva e cautelare del decreto di scioglimento e della circostanza che gli interessi coinvolti non concernono, se non indirettamente, persone, riguardando piuttosto la complessiva operatività dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale.

Consigliere comunale e legittimazione a impugnare atti dell’organo consiliare

Tar Marche, Ancona, sez. II, 13 novembre 2024, n. 887

Delibere consiliari – Impugnazione – Eccezionalità – Legittimazione – Presupposti – Surroga del consigliere dimissionario – Doverosità

La legittimazione dei consiglieri comunali dissenzienti ad impugnare le delibere dell’organo di cui fanno parte ha carattere eccezionale e postula la diretta compromissione delle prerogative inerenti al munus esercitato ovvero al cosiddetto jus ad officium; in altri termini, la legittimazione del consigliere comunale sussiste a fronte di violazioni direttamente e specificamente incidenti, sia pure in prospettiva strumentale, sulle prerogative (di accesso, di informazione, di documentazione, di partecipazione, di manifestazione del voto etc.) strettamente inerenti alla funzione.

Consiglieri comunali e diritto d’accesso

Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 19 settembre 2024, n. 748

Diritto di accesso – Consiglieri comunali – Onere motivazionale – Ratio

Sui consiglieri comunali non grava alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso. Più in particolare, i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle loro funzioni, ciò anche al fine di permettere di valutare – con piena cognizione – la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.

Il diritto di accesso riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all’esercizio delle loro funzioni, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente locale, ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività; di conseguenza: sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio delle funzioni del consigliere comunale.

Diversamente opinando, infatti, la struttura burocratica comunale, da oggetto del controllo riservato al Consiglio, si ergerebbe paradossalmente ad “arbitro” – per di più, senza alcuna investitura democratica – delle forme di esercizio delle potestà pubbliche proprie dell’organo deputato all’individuazione ed al miglior perseguimento dei fini della collettività civica. Ne consegue che sul consigliere comunale non grava, né può gravare, alcun onere di motivare le proprie richieste d’informazione, né gli uffici comunali hanno titolo a richiederle e conoscerle, ancorché l’esercizio del diritto in questione si diriga verso atti e documenti relativi a procedimenti ormai conclusi o risalenti ad epoche remote.