Mese: Marzo 2025

CILA e obblighi di controllo della PA

Tar Sicilia, Catania, sez. III, 21 gennaio 2025, n. 243

Titolo edilizio – CILA – Nozione – Controllo sulla conformità tecnico-giuridica – Non previsione – Omessa presentazione – Sanzione pecuniaria – Poteri di controllo – Assenza – Effetti pregiudizievoli sul privato –

La c.d. comunicazione d’inizio lavori asseverata (CILA) rappresenta il titolo general-residuale, necessario per tutti gli interventi edilizi per i quali le norme del testo unico non impongono la SCIA o il permesso di costruire, ovvero che non rientrano ai sensi dell’art. 6 nell’attività edilizia libera; ne deriva che sono ricondotte alla medesima opere qualitativamente rilevanti come, a titolo puramente esemplificativo, gli interventi di manutenzione straordinaria leggera ovvero quelli che, pur comportando cambi di destinazione d’uso urbanisticamente non rilevanti, non riguardano parti strutturali dell’edificio e non incidono sui prospetti.

Diversamente da quanto disposto per la SCIA, sulla conformità tecnico-giuridica della CILA non è, però, previsto un obbligo di controllo ordinario postumo entro un termine perentorio ravvicinato, in quanto la norma si limita a introdurre una sanzione pecuniaria “secca” in caso di omessa presentazione, senza in alcun modo disciplinare l’ipotesi in cui la stessa si profili contra legem.

Se per un verso non può ritenersi che la previsione, contenuta nel comma 5 dell’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/2001, della sanzione pecuniaria per la mancata comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori esaurisca il novero dei poteri che l’Amministrazione può spendere a seguito della presentazione della CILA, deve, comunque, affermarsi che il potere di controllo, oltre che al dato formale della sola presentazione, possa unicamente ricondursi all’accertamento che l’opera ricada effettivamente nell’ambito dell’edilizia sottoposta a tale strumento di semplificazione, senza che possano trovare ingresso altre questioni, in quanto estranee alla fattispecie disciplinata dal legislatore.

La mancata previsione di controlli sistematici rischia di tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che non vedrebbe mai stabilizzarsi la legittimità del proprio progetto, di talché la presentazione della CILA, considerata anche la modesta entità della sanzione per la sua omissione, avrebbe, in sostanza, l’unico effetto di attirare l’attenzione dell’amministrazione sull’intervento, esponendolo ad libitum, in caso di errore sul contesto tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni per l’attività totalmente abusiva, che l’ordinamento correttamente esclude quando l’amministrazione abbia omesso di esercitare i dovuti controlli ordinari di legittimità sulla SCIA o sull’istanza di permesso.

L’attività assoggettata a CILA non solo è libera, ma deve essere “soltanto” conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un modesto impatto sul territorio e non dissimulino interventi edilizi necessitanti di specifica autorizzazione.

Istanza di SCIA in sanatoria e silenzio dell’amministrazione

Consiglio di Stato, sez. II, 19 febbraio 2025, n. 1394

Titolo edilizio – SCIA – Istanza in sanatoria – Silenzio della P.A. – Strumentalizzazione – Effetti – Ius superveniens – Disciplina

Sussiste, in linea generale, un obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di S.C.I.A. in sanatoria ex art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 con la correlativa legittimazione del privato ad agire in giudizio a fronte del silenzio serbato dall’amministrazione ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. non potendosi predicare l’avvenuta formazione del silenzio-assenso sull’istanza presentata, poiché l’art. 37 d.P.R. n. 380/2001 (nel testo applicabile ratione temporis), a differenza dell’art. 36 che lo precede (relativo al silenzio-rigetto sull’istanza di permesso di costruire in sanatoria), non assegna al silenzio serbato dall’amministrazione alcun valore provvedimentale.

La strumentalizzazione dell’istituto di cui all’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 (nella formulazione antecedente al d.l. n. 69/2024 convertito con modificazioni dalla l. n. 105 del 2024), utilizzato scientemente e sistematicamente per uno scopo concreto diverso e antitetico rispetto alla finalità a cui è per legge deputato (id est la sanatoria in via eccezionale di abusi formali minori e non quella di sottrarre l’intervento al rilascio del titolo edilizio ex ante e all’accertamento di compatibilità urbanistica ex post), ha immediate ricadute sul piano procedimentale e processuale con riguardo: i) all’insussistenza di un obbligo dell’amministrazione di provvedere poiché l’utilizzo reiterato dell’istituto in esame ne determina un ingiustificato sviamento dal fine tipico ed integra una fattispecie di abuso del diritto, nonché di violazione degli obblighi di collaborazione e buona fede; ii) alla conseguente inconfigurabilità, in capo alla ditta ricorrente, di una situazione soggettiva suscettibile di tutela nelle forme del rito del silenzio ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., per la natura illegittima, emulativa ed elusiva dell’interesse rivendicato.

Deve escludersi – in ragione del principio tempus regit actum – l’applicabilità dello ius superveniens costituito dall’art. 36-bis d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, introdotto dal d.l. n. 69/2024 (convertito con modificazioni dalla l. n. 105 del 2024), entrato in vigore il 30 maggio 2024, alle S.C.I.A. in sanatoria presentate in precedenza, giacché non si rinviene nel testo del d.l. n. 69/2024 (né la ditta ricorrente ha indicato) alcuna disposizione transitoria intesa a consentire l’applicazione in via retroattiva della nuova disciplina alle istanze presentate prima della sua entrata in vigore, sicché, in difetto di un’espressa statuizione di retroattività, non può che trovare applicazione la regola generale sancita dall’art. 11 disp. prel. c.c.

Sospensione dei lavori e ordinanza di demolizione

Consiglio di Stato, sez. II, 17 febbraio 2025, n. 1256

Titolo edilizio – SCIA – Poteri inibitori – Mancato esercizio nei termini di legge – Successiva ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi – Illegittimità – Provvedimento di sospensione dei lavori di cui all’art. 27, comma, 3 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – Natura giuridica – Efficacia

È illegittima l’ordinanza di demolizione di opere edilizie già oggetto di segnalazione certificata di inizio attività cui non ha fatto seguito – nei termini perentori di cui all’art. 19, commi 3 e 6-bis, della l. 7 agosto 1990, n. 241 – alcun provvedimento inibitorio con conseguente consolidamento degli effetti, ai sensi degli artt. 19, comma 3, l. n. 241/1990.

In ragione della sua natura cautelare e temporanea, il provvedimento di sospensione dei lavori di cui all’art. 27, comma, 3 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, perde efficacia una volta decorso il termine senza l’adozione del provvedimento definitivo.

Il provvedimento di sospensione dei lavori ove riconducibile – per il suo chiaro contenuto e il suo tenore letterale – all’art. 27 comma 3 d.P.R. n. 380/2001, non può qualificarsi come atto di inibizione definitiva dell’attività segnalata ex art. 19, commi 3 e 6-bis, della l. 7 agosto 1990, n. 241.

Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa

Tar Lazio, Roma, sez. I, 25 febbraio 2025, n. 4128

Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso – Iter procedimentale – Momento istruttorio e decisorio – Provvedimento di scioglimento – Natura giuridica – Interessi rilevanti – Motivazione rafforzata – Comunicazione avvio procedimento – Non necessarietà

Il decreto presidenziale di cui all’art. 143 Tuel è l’esito di un articolato iter procedimentale che si avvia con l’azione della Prefettura territorialmente competente la quale nomina un’apposita commissione d’accesso presso gli uffici dell’ente locale, finalizzata ad acquisire tutti gli elementi concernenti eventuali collegamenti (ovvero influenze) tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata. L’esito degli accertamenti viene vagliato dalla Prefettura la quale trasmette un’apposita relazione al Ministro dell’interno che, a sua volta, propone al Consiglio dei ministri lo scioglimento dell’ente locale e la nomina di una commissione straordinaria per la gestione dello stesso. Una volta deliberato dal Consiglio dei Ministri lo scioglimento, esso è disposto con decreto del Presidente della Repubblica. L’attività degli organi statali periferici è di natura istruttoria, mentre il momento decisorio è rimesso al Governo (nella sua composizione collegiale) in base alla proposta del Ministro dell’interno la quale, ovviamente, può recepire in tutto o in parte quanto evidenziato nella relazione prefettizia.

Il provvedimento di scioglimento è una misura straordinaria, di carattere non sanzionatorio bensì preventivo, per affrontare una situazione emergenziale e finalizzata alla salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata. L’interesse curato dall’amministrazione statale è di rango talmente elevato che il potere nell’apprezzamento degli elementi fattuali posti a base della decisione di scioglimento di un ente locale democraticamente eletto è particolarmente ampio, andando anche oltre le responsabilità personali dei singoli amministratori: ciò si traduce, indi, in una valutazione complessiva dello stato dell’apparato burocratico mediante un giudizio globale e sintetico che deve però evidenziare degli elementi «concreti, univoci e rilevanti» di collegamento con la criminalità organizzata di tipo mafioso, non potendosi ricorrere al commissariamento nei casi di gestione meramente inefficiente o inefficace.

La decisione di commissariare un ente ai sensi dell’art. 143 Tuel è (quasi) sempre basata su una molteplicità di percorsi argomentativi che si fondono tra loro, pur mantenendo una loro unitarietà potendo (spesso) anche autonomamente costituire ragione sufficiente a giustificare lo scioglimento: pertanto, gli interessati debbono dimostrare l’erroneità della totalità (o quanto meno della gran parte) degli iter logico-motivazionali impiegati dall’amministrazione quale spiegazione della propria decisione.

È esclusa la necessità di garantire la piena partecipazione degli interessati, in considerazione della «natura di misura straordinaria di prevenzione che ha il provvedimento di scioglimento e della funzione ritenuta prevalente dall’ordinamento, di salvaguardia della funzionalità dell’amministrazione pubblica e di rimedio a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale, dovuto al condizionamento da parte della criminalità organizzata». Conseguentemente, la lamentata mancanza di una formale comunicazione di avvio del procedimento amministrativo (ai sensi dell’art. 7 l. 241/1990) e l’omissione di un reale contraddittorio, sono perfettamente legittimi tenuto conto della natura preventiva e cautelare del decreto di scioglimento e della circostanza che gli interessi coinvolti non concernono, se non indirettamente, persone, riguardando piuttosto la complessiva operatività dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale.

Formazione della giunta comunale e parità di genere

Tar Campania, Napoli, sez. I, 10 febbraio 2025, n. 1087

Giunta comunale – Designazione componenti – Parità di genere – Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti – Onere sindacale di ricerca di componenti di genere femminile anche esterni al Consiglio – Mancata disponibilità – Onere motivazionale attenuato

Ai fini del rispetto della parità di genere nell’ambito della giunta comunale, ai sensi dell’art. 6 comma 3 e 46 comma 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico degli enti locali), spetta al sindaco svolgere l’attività volta ad acquisire la disponibilità di soggetti femminili, anche esterni al consiglio per i Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, ai sensi dell’art. 47, comma 4, del medesimo decreto legislativo, motivando adeguatamente l’eventuale impossibilità di adeguamento alla legge; incombe pertanto sul sindaco l’onere di provare di non essere riuscito ad acquisire la disponibilità allo svolgimento della funzione assessorile da parte di un rappresentante del genere femminile.

Ai fini del rispetto della parità di genere la natura fiduciaria della carica assessorile non può giustificare la limitazione di un eventuale interpello alle sole persone appartenenti alla stessa lista o alla stessa coalizione di quella che ha espresso il sindaco; ciò a maggior ragione in realtà locali non particolarmente estese.

Pianificazione urbanistica e distinzione tra tipologie di volumi

Consiglio di Stato, sez. II, 17 febbraio 2025, n. 1260

Pianificazione urbanistica – Intervento di nuova costruzione – Creazione di superfici utili o di volumi – Distinzione fra volume tecnico e di altro tipo – Accertamento postumo di compatibilità paesaggistica – Tassatività

Il rilascio della compatibilità paesaggistica non è consentito in presenza di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o di volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente realizzati, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno.

Premesso che sono tassative, e quindi di stretta interpretazione, le fattispecie di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica – in quanto istituto eccezionale che deve sempre essere rivolto alla salvaguardia della percezione visiva dei volumi e della conservazione del contesto paesaggistico – la regola che in materia urbanistica porta ad escludere i volumi tecnici, tombati o interrati dal calcolo della volumetria edificabile (che trova fondamento nel bilanciamento tra i vari e confliggenti interessi connessi all’uso del territorio), non può essere invocata al fine di ampliare la portata applicativa della lettera della norma di cui all’articolo 167, comma 4, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 che, nel consentire l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, si riferisce esclusivamente ai “lavori, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, senza ulteriore specificazione e distinzione.

Istanza di riclassificazione di “area bianca”

Tar Sicilia, Catania, sez. V, 20 febbraio 2025, n. 671

Pianificazione urbanistica – Istanza di riclassificazione dell’area bianca – Rigetto per presenza di manufatti abusivi – Illegittimità – Onere motivazionale

È illegittimo il provvedimento con cui il Comune rigetta l’istanza di riclassificazione dell’area bianca per la presenza di manufatti abusivi non demoliti dall’istante ed acquisiti al patrimonio dell’ente, allorquando tale presenza appaia irrilevante rispetto all’estensione dell’intera area di proprietà della ricorrente di cui si chiede la riclassificazione e sia scollegata rispetto all’esigenza di imprimere doverosamente una disciplina urbanistica all’area in questione.

Titolo edilizio in sanatoria e requisito della doppia conformità

Consiglio di Stato, sez. II, 25 febbraio 2025, n. 1648

Titolo edilizio – Assenza o difformità – Accertamento di conformità – Permesso in sanatoria condizionato ad altri interventi – Non ammissibilità – Accordo ex art. 11 L. 241/1990 – Natura giuridica – Ratio – Requisito della “doppia conformità” – Natura giuridica

In ossequio alla giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. 29 maggio 2013, n. 101), l’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non ammette ipotesi di “sanatoria” condizionata alla effettuazione di altri interventi (ad esempio di demolizione). Ciò vale a maggior ragione ove si pretenda di far confluire gli impegni del privato in un accordo ai sensi dell’art. 11 della l. 7 agosto 1990, n. 241, che comunque implica una “negoziazione” rimessa alla scelta discrezionale della p.a., estranea alla natura del provvedimento.

L’art. 11 della l. n. 241 del 1990, è relativo ad un modulo decisionale consensuale, comunque, soggetto al vincolo funzionale dell’interesse pubblico a “sottrarre” ambiti più o meno ampi alla decisione autoritativa. Esso non può essere identificato con il risparmio del futuro e ipotetico dispendio di tempo e risorse per l’eventuale demolizione in danno, ovvero per istruire ex novo la pratica edilizia eventualmente (ri)presentata. L’ordinamento non ammette infatti casi atipici di sanatoria, in quanto diversamente dal condono essa «è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi “formali”, ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, ‘anche di natura preventiva e deterrente’, finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture ‘sostanzialiste’ della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità» (Corte cost., n. 101 del 2013) . Ed è evidente che la necessità di “negoziare” l’adeguamento ovvero la sua realizzazione, altro non è che uno strumento per legittimare una sanatoria condizionata, ovvero per far rivivere la c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, istituto di creazione pretoria da tempo abbandonato dalla giurisprudenza.

Il concetto di “doppia conformità” richiesto ai fini della concessione della sanatoria ordinaria presuppone una verifica di rispondenza al regime urbanistico vigente sia all’atto dell’effettuazione dei lavori, che della presentazione dell’istanza in senso “statico”. L’astratta assentibilità dell’opera previa attivazione di uno specifico procedimento non equivale a concreta rispondenza della stessa al regime edificatorio vigente in una determinata zona.

L’ipotetica ammissibilità di un intervento, ove realizzato ex novo, in ragione dell’esistenza di apposita norma regolatoria che lo consente, a condizioni date, non equivale a conformità dello stesso al regime urbanistico vigente, che non può essere desunto dal successivo esito di ulteriori valutazioni. La nozione di “doppia conformità” richiesta dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, è infatti, per così dire, a valenza staticoricognitiva, nel senso che presuppone una mera verifica formale da parte degli uffici, in quanto solo formale e non sostanziale è la natura dell’illecito di riferimento. Diversamente opinando, esso si tradurrebbe in una sorta di condono, anziché di sanatoria ordinaria, consentendo cioè l’avallo postumo di interventi che sostanzialmente, non solo formalmente, sono in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti.

Titolo edilizio e stato legittimo dell’immobile

Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 25 gennaio 2025, n. 227

Titolo edilizio – Stato legittimo dell’immobile – Condizioni di riconoscimento – Verifica della legittimità dei titoli pregressi da parte dell’Amministrazione – Presunzione

L’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella versione d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2024, n. 120, nello stabilire che “lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o da quello, rilasciato o assentito, che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, a condizione che l’amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali” subordina la sussistenza dello stato legittimo dell’immobile alla condizione che l’Amministrazione, in sede di rilascio di un titolo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, non ammettendosi un’implicita attestazione di regolarità per quelle opere che, seppure rappresentate nello stato di fatto nelle pratiche edilizie, siano estranee all’intervento in precedenza assentito.

Alla luce delle linee di indirizzo e criteri interpretativi sull’attuazione del decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2024, n. 105 (DL Salva Casa), in www.mit.gov.it: “La verifica della legittimità dei titoli pregressi da parte dell’amministrazione competente può essere presunta qualora nella modulistica relativa all’ultimo titolo edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare siano stati indicati gli estremi dei titoli pregressi sulla base del presupposto che, in sede di rilascio di ciascun titolo, l’Amministrazione è chiamata a verificare puntualmente, in base alla documentazione tecnica fornita dal richiedente, eventuali situazioni di difformità che ostano al rilascio del medesimo.”

Condono e pianificazione urbanistica successiva

Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2025, n. 1158

Pianificazione urbanistica – Piano urbanistico generale – Condono – Diritto quesito al riconoscimento di volumetria aggiuntiva – Non configurabilità – Piano regolatore generale – Pubblicazione – Ratio

È legittima la delibera comunale di approvazione del piano urbanistico generale (PUG) che, riguardo alla zona A, preveda che, in caso di effettuazione di un intervento di demolizione e ricostruzione, il proprietario possa usufruire dell’indice assegnato alla zona, senza alcun vantaggio derivante dal pregresso condono che ha legittimato in via eccezionale l’immobile in un dato momento storico. Pertanto, non è configurabile un “diritto quesito” a vedersi riconosciuta la volumetria aggiuntiva oggetto di condono rispetto alla disciplina urbanistico-edilizia vigente in via ordinaria.

La pubblicazione del progetto di piano regolatore generale (PRG) prevista dalle diverse e concordanti leggi regionali è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano quale adottato dal comune. Tale pubblicazione non è richiesta di regola per le successive fasi del procedimento, anche se il piano risulti modificato a seguito dell’accoglimento di alcune osservazioni o modifiche introdotte in sede di approvazione regionale, salvo che si tratti di modifiche tali da stravolgere il piano e comportare nella sostanza una nuova adozione.