antimafia

Scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose

Tar Lazio, Roma, sez. I Ter, 11 marzo 2024, n. 4891

Scioglimento consigli comunali conseguente a fenomeni di infiltrazione mafiosa – Dichiarazione di incandidabilità – Natura giuridica – Discrezionalità – Condotta dell’amministratore

L’art. 143 TUEL – “Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti” – al comma 5 stabilisce: “ Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell’ente locale, con decreto del Ministro dell’interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente, ivi inclusa la sospensione dall’impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione, con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell’autorità competente”.

Il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità ex art. 143, comma 11, TUEL è autonomo rispetto a quello penale, e diversi ne sono i presupposti, in quanto la misura interdittiva elettorale non richiede che la condotta dell’amministratore dell’ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze ed alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio. È sufficiente, dunque, accertare la presenza di elementi di collegamento tra l’amministratore locale e l’oggetto dell’addebito, tali da essere ritenuti idonei ad influenzare e condizionare la formazione della volontà dell’ente pubblico, senza che la condotta dell’amministratore debba necessariamente assumere una connotazione penalmente rilevante.

Va evidenziata la natura di provvedimento non sanzionatorio, ma preventivo della misura ex art. 143, t.u. 18 agosto 2000, n. 267, in quanto posto a salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata.

Alla stregua di tale ratio, trovano giustificazione sia il margine, particolarmente ampio, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l’Amministrazione, sia la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata.

La scelta del legislatore è stata quella di non subordinare lo scioglimento del consiglio comunale e le misure collegate e conseguenti a misure di prevenzione o a condanne in sede penale, né al compimento di specifiche illegittimità.

Tutto quanto sopra chiarito spiega anche perché, nell’ipotesi di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose – finalizzato, dunque, a contrastare una patologia del sistema democratico – l’Amministrazione goda di ampia discrezionalità, non richiedendosi né la commissione di reati da parte degli amministratori, né che i collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili, ma solo che sussistano sufficienti elementi univoci e coerenti volti a far ritenere una relazione dinamica tra l’Amministrazione e i gruppi criminali.