Tar Puglia, Bari, sez. III, 19 luglio 2024, n. 878
Cimitero comunale – Uso diretto e indiretto – Manutenzione, ordine e vigilanza sanitaria – Competenza – Cappelle private o gentilizie – Ratio – Concessione – Diritto di sepolcro nella cappella di famiglia – Successione – Incommerciabilità
Il cimitero comunale è bene demaniale (art. 824 c.c.), in ordine al quale, dato il connaturato carattere della inalienabilità, i possibili utilizzi dello stesso “non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano” (art. 823, comma 1°, c.c.); mentre spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni, che fanno parte del demanio, anche a mezzo di poteri di polizia demaniale (art. 823, comma 2° c.c.), atti a garantire il corretto uso degli stessi, mediante l’intimazione di ordini o di divieti e, se del caso, di autotutela, idonei a darne esecuzione coattiva, anche in danno dei soggetti inottemperanti.
Di conseguenza, l’uso non diretto del bene demaniale è possibile, per principio generale, solo in via d’eccezione e previa concessione, alla stregua della legge vigente, nella quale sono stabiliti, in modo tassativo, modalità e limitazioni, che consentono, per l’appunto, il c.d. uso eccezionale del demanio.
La manutenzione, l’ordine e la vigilanza sanitaria dei cimiteri sono di competenza del Sindaco (art. 51 del d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285; nello stesso senso disponevano pure i previgenti d.p.r. 21 ottobre 1975, n. 803, e r. d. 21 dicembre 1942, n. 1880); l’art. 16 (Attività di vigilanza), comma 2, della legge della Regione Puglia 15 dicembre 2008, n 34 (“Norme in materia di attività funeraria, cremazione e dispersione delle ceneri”) prevede che “Il comune vigila sulla correttezza dell’esercizio dell’attività funebre”.
In via d’eccezione al principio generale di seppellimento di tutti i cadaveri nei cimiteri comunali, è, per l’appunto, prevista la possibilità di edificare «cappelle private o gentilizie» previa concessione; attualmente è l’art. 90 del d.P.R. n. 285 del 1990 a contemplare la possibilità, per il Comune, di concedere a privati l’uso di aree per la costruzione di sepolture (a sistema di tumulazione individuale) “per famiglie”. In base all’art. 92, comma 3, del d.P.R. n. 285 citato “Con l’atto della concessione il Comune può importare ai concessionari determinati obblighi […]”; mentre, alla stregua dell’art. 92, comma 4, d.P.R. n. 285 citato, viene precisato che “Non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone […] che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione” (e, nello stesso senso, si esprimevano l’art. 70, commi 2° e 3°, del r.d. 21 dicembre 1942, n. 1880, e anche l’art. 93, comma 4°, del d.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803).
Gli appellativi di cappelle “private” o “famigliari” o “gentilizie” sono evocativi della natura di simili piccole strutture, edificate sul cimitero demaniale, in base ad atti concessori in favore di soggetti privati, volte essenzialmente ad accogliere le spoglie di coloro che siano appartenuti alla “familia” o alla “gens”, ossia in senso generale ai discendenti o ai parenti di una famiglia legata ad un antenato comune, al fine di serbare il culto dei defunti, che sono appartenuti appunto ad un’unica famiglia.
La «cappella» di famiglia o gentilizia è dunque quella eminentemente destinata dal fondatore – sulla scorta della tradizione romanistica e del diritto intermedio – a persone legate fra loro da rapporti di sangue o di affinità; talché, in assenza di una volontà espressa del fondatore, la cappella si presume familiare o gentilizia e riservata in primis ai familiari più prossimi e, via via, agli altri; indubbiamente, la c.d. tomba di famiglia trova il suo fondamento nell’esigenza di conservazione e trasmissione del culto nell’ambito della familia. L’individuazione dei familiari, titolari del diritto d’uso del sepolcro, non può che essere effettuata, secondo il modello di famiglia racchiuso in norme civilistiche, quali l’art. 230-bis, comma 3°, o l’art. 1023 (Ambito della famiglia) del codice civile oppure in norme penalistiche, come l’art. 307, comma 4°, del codice penale, che usualmente richiamano il coniuge o il convivente, i discendenti, gli affini, gli ascendenti, in via ulteriore i parenti collaterali, semmai coloro che hanno prestato servizi nella famiglia. Particolarmente significativa è la disposizione normativa di cui all’art. 1023 del codice civile, che “nella famiglia” comprende anche “le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi”.
La concessione di un’area cimiteriale è, come tutte le concessioni amministrative, un atto che conferisce una posizione giuridica soggettiva predeterminata nel contenuto, che si atteggia a diritto nei confronti dei soggetti privati terzi, ma anche nei riguardi della pubblica amministrazione. La concessione di aree cimiteriali consta di un atto amministrativo unilaterale, con cui la pubblica amministrazione delibera di concedere l’area al privato, unito ad un coevo contratto, con cui si stabiliscono le condizioni della concessione e dal quale scaturiscono reciproci diritti e obblighi.
Il diritto di sepolcro nella cappella di famiglia si risolve nella deposizione della salma e si estingue, per tutti, o con l’esaurimento della cerchia familiare rilevante nel caso di specie, tenuto conto del termine di scadenza della concessione, o con l’esaurimento della capienza del sepolcro, quale stabilita nell’atto di approvazione del progetto. Dopo la morte del concessionario, il sepolcro «familiare» viene ereditato dai membri della famiglia del defunto, intesa l’espressione in senso molto ristretto, quindi il coniuge e i discendenti e ascendenti in linea retta: spettando il diritto solo a tali soggetti non tanto in quanto eredi, ma in quanto familiari del defunto; esso è, per principio, incommerciabile.