Tar Marche, Ancona, sez. I, 11 aprile 2025, n. 264

Servizi pubblici – In house providing – Onere motivazionale rafforzato – Controllo analogo – Nozione – Operatività – Forma congiunta – Organi speciali – Divieto – Esclusione per gli organismi in house – Patti parasociali – Principio di stretta necessarietà delle partecipazioni pubbliche – Organi decisionali – Composizione – Strumenti partecipativi – Affidamenti a valle – Evidenza pubblica

Nell’attuale quadro normativo è imposto all’amministrazione aggiudicatrice che intenda ricorrere all’affidamento diretto un onere motivazionale rafforzato, che consenta un penetrante controllo della scelta effettuata anzitutto sul piano dell’efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche.

La Relazione di cui all’art. 14 TUSPL deve dare conto della qualità del servizio, della situazione delle finanze pubbliche, dei costi per l’ente locale e per gli utenti con riferimento alla scelta effettuata, oltre a confrontare tale opzione con soluzioni alternative paragonabili e con esperienze precedenti, sempre evidenziando gli effetti su qualità, finanze pubbliche e sui costi (anche di investimento), per gli utenti e per l’ente locale.

La legittima applicazione dell’istituto postula l’effettiva sussistenza di un “controllo analogo”, anche nelle declinazioni del controllo a cascata e del controllo analogo congiunto, con la precisazione che esso si sostanzia in una forma di eterodirezione della società, tale per cui i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma “al socio pubblico controllante”, che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni.

Il controllo analogo è tale se, per effetto della sua concreta modulazione, la società affidataria non è terza rispetto all’ente affidante, ma una sua articolazione, sicché tra socio pubblico controllante e società sussiste “una relazione interorganica e non intersoggettiva”, perché il controllo esercitato deve corrispondere a quello che l’ente pubblico esplica sui propri servizi. Tale relazione deve intercorrere tra soci affidanti e società, non anche tra la società e altri suoi soci (non affidanti o non ancora affidanti), rispetto ai quali la società sarebbe effettivamente terza.

In caso di società partecipata da più enti pubblici, il controllo analogo può essere esercitato in forma congiunta. A tal fine, non possono ritenersi adeguati i poteri a disposizione dei soci secondo il diritto comune, sicché è necessario dotare i soci affidanti di appositi strumenti che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società.

L’art. 11, comma 9, lett. d), del d.l.vo n. 175 del 2016, ha introdotto il divieto per gli statuti delle società a controllo pubblico di “istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società”. È esclusa la riferibilità della disposizione agli organismi in house, sicché il controllo analogo può essere realizzato anche attraverso l’istituzione, ad opera dei soci pubblici, di organi speciali ad esso funzionali. L’esclusione, per gli organismi in house, del divieto di istituire organi speciali, discende dai seguenti profili: a) il divieto è previsto in relazione alle “società a controllo pubblico”, regolate appunto dall’art. 11 e non è ripetuto nell’art. 16 dedicato alle società in house, la cui disciplina risulta, pertanto, speciale e derogatoria; b) a differenza delle società a controllo pubblico, per le quali, l’art. 2, comma 1, lett. m), del d.l.vo n. 175 del 2016 richiede che il controllo si esplichi nelle forme dell’art. 2359 cod. civ., le società in house sono sottoposte a quella forma particolare di controllo pubblico che è costituita dal controllo analogo (come chiaramente precisato dall’art. 2, comma 1, lett. o) d.lgs. n. 175 del 2016).

Una partecipazione “pulviscolare” è in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di incidere effettivamente sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa in presenza di interessi potenzialmente contrastanti e, quindi, a palesare la sussistenza di un controllo analogo almeno congiunto.

Proprio in ragione della non riferibilità dell’art. 11, comma 9, lett. d), del citato d.l.vo n. 175 del 2016 agli organismi in house, i soci pubblici ben possono sopperire a detta debolezza stipulando patti parasociali al fine di realizzare un coordinamento tra loro, in modo da assicurare il “loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società partecipata”.

Sempre in tema di controllo analogo congiunto, deve essere tenuto in considerazione, anche, che in linea di principio non è consentito a un’amministrazione pubblica acquisire in un organismo pluripartecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione inidonea a garantire controllo o potere di veto, anche laddove tale amministrazione intende acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto (c.d. principio di “stretta necessarietà” delle partecipazioni pubbliche, sancito dall’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 175 del 2016).

L’in house richiede che la nomina degli organi decisionali della società sia disciplinata in maniera da garantire la presenza di tutti gli Enti soci.

Le prestazioni di cui necessita una società in house, in quanto configurabile in termini sostanziali come organo dell’amministrazione controllante, devono essere acquisite mediante affidamenti a valle che rispettino le norme dell’evidenza pubblica. Non in è in sé illegittima la previsione dell’acquisto di lavori, servizi o forniture da parte di una società in house, a condizione che vengano rispettati i principi dell’evidenza pubblica o i requisiti per l’ulteriore affidamento in house.