RSU

Affidamento in house, ambiti territoriali, RSU e disciplina regionale

Tar Campania, Salerno, sez. I, 1 ottobre 2025, n. 1590
Affidamento diretto – Iter di formazione e di affidamento del servizio – Normativa Regione Campania – RSU – Invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante – Controllo di legalità
In presenza di vizi accertati dell’atto presupposto deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l’annullamento dell’atto presupposto si estende automaticamente all’atto consequenziale, anche quando questo non sia stato impugnato, mentre nel secondo caso, l’atto conseguenziale è affetto solo da illegittimità derivata e pertanto resta efficace ove non impugnato nel termine di rito. Però la prima ipotesi, quella dell’effetto caducante, ricorre nella sola evenienza in cui l’atto successivo venga a porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale quale inevitabile conseguenza dell’atto anteriore, senza necessità di ulteriori valutazioni, il che comporta, dunque, la necessità di verificare l’intensità del rapporto di conseguenzialità tra l’atto presupposto e l’atto successivo, con riconoscimento dell’effetto caducante (in via del tutto eccezionale) solo qualora tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito dello stesso contesto procedimentale, come conseguenza ineluttabile rispetto all’atto precedente, senza necessità di nuove valutazioni di interessi.
L’iter di formazione delle società in house e di affidamento del servizio, oltre ad essere stato profondamente modificato dal d.lgs. 201/2022, che ha previsto una fattispecie a formazione progressiva (che si caratterizza per il fatto che la costituzione della società dev’essere preceduta dalla scelta della modalità di gestione del servizio pubblico locale, prevista dall’articolo 14, mentre l’affidamento diretto a società in house del servizio è previsto e disciplinato dall’articolo 17 del medesimo decreto legislativo), presenta delle indubbie peculiarità con riguardo all’esercizio associato delle funzioni relative al servizio di gestione integrata dei rifiuti da parte dei Comuni della Regione Campania, il cui territorio è ripartito nei già richiamati Ambiti territoriali ottimali (ATO).
In particolare, la più volte citata Legge Regionale Campania 14/2016, definisce, all’articolo 26, le competenze dell’Ente d’Ambito – soggetto di governo di ciascun ATO -, tra le quali, per quanto di interesse, rientra quello di individuare il soggetto gestore del servizio di gestione integrata dei rifiuti all’interno dell’ATO o di ciascun Sub Ambito Distrettuale e affida il servizio, ai sensi dell’articolo 202 del decreto legislativo 152/2006, utilizzando per la predisposizione degli atti di gara necessari le linee guida e gli schemi tipo predisposti dalla Regione in conformità alle norme vigenti. Con il successivo articolo 26-bis (articolo aggiunto dall’articolo 3, comma 1 della legge regionale 7 agosto 2023, n. 19) la Legge regionale stabilisce, poi, la complessa procedura, nel caso in cui i Comuni costituiti in SAD, non si avvalgano della facoltà di cui al comma 6-bis dell’articolo 24, mediante sottoscrizione all’unanimità della convenzione ai sensi dell’articolo 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e l’individuazione, sempre all’unanimità, del soggetto gestore condiviso dall’EdA. Solo in tal caso, infatti, gli adempimenti per l’affidamento dei servizi in conformità alle forme di gestione individuate e la stipula dei contratti di servizio ove trattasi di gestione in house, possono essere direttamente espletati dal Comune all’uopo designato in convenzione, ai sensi del comma 4 dell’articolo 30 del decreto legislativo 267/2000. Qualora, invece, non vi sia unanimità – come nel caso in esame – i Comuni dei SAD possono solo proporre all’EdA la forma di gestione dei servizi a seguito delle valutazioni effettuate con apposita relazione e sarà sempre l’EdA tenuto a valutare la proposta di forma di gestione se proviene dai Comuni che rappresentano la maggioranza della popolazione del SAD e a motivare le ragioni dell’eventuale mancato accoglimento con riferimento ad esigenze di migliore organizzazione del servizio nel bacino interessato.
Ai sensi dell’articolo 5 del Decreto Legislativo 19 agosto 2016, n. 175, la costituzione di una società da parte della pubblica amministrazione o l’acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite è soggetto a controllo della Corte dei Conti e ad impugnazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, a conferma, secondo il Collegio, che il controllo di legalità di questi atti fuoriesce dalle strette maglie dell’interesse a ricorrere personale e diretto tipico del processo amministrativo e si conforma a modelli di controllo posti nell’interesse pubblico generale, confermando quindi che la lesività di tali atti nei confronti degli interessi legittimi dei privati è soltanto indiretta e dev’essere mediata da un altro atto qual è l’affidamento diretto del servizio. È chiaro comunque che in sede di impugnazione dell’atto di affidamento del servizio potranno essere sollevate tutti i motivi di impugnazione nei confronti degli atti costitutivi della società in house aventi carattere preparatorio dell’affidamento del servizio. La scelta di separare temporalmente la fase di scelta del modello di gestione, la costituzione della società e l’affidamento del servizio non può infatti essere utilizzata per evitare il controllo giurisdizionale dell’intera procedura pubblicistica di affidamenti dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Responsabilità da inquinamento e da abbandono

Consiglio di Stato, sez. IV, 4 agosto 2025, n. 6885

RSU – Responsabilità da inquinamento e da abbandono – Caratteri e differenze

La responsabilità da inquinamento è un istituto diverso da quello della responsabilità da abbandono (o deposito incontrollato) di rifiuti. Le due fattispecie sono, infatti, disciplinate in distinti Titoli della Parte IV del codice dell’ambiente (d.lgs. 152/2006). Il legislatore si premura, tra l’altro, di vietare l’estensione della regolamentazione della responsabilità da inquinamento all’abbandono di rifiuti, laddove, nell’incipit del Titolo V della Parte IV, cod. amb., contenente per l’appunto la disciplina della responsabilità da inquinamento e dei conseguenti obblighi di bonifica, stabilisce che «[f]erma restando la disciplina dettata dal titolo I della parte quarta del presente decreto, le disposizioni del presente titolo non si applicano: a) all’abbandono dei rifiuti disciplinato dalla parte quarta del presente decreto. In tal caso qualora, a seguito della rimozione, avvio a recupero, smaltimento dei rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, si accerti il superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere alla caratterizzazione dell’area ai fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale da effettuare ai sensi del presente titolo» (art. 239, co. 2, cod. amb.).

La responsabilità da abbandono o deposito incontrollato di rifiuti (di cui al Titolo I, Parte IV, cod. amb.) è regolata dall’art. 192 cod. amb., che, dopo aver disposto che «[l]’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati» (co. 1), al co. 3 individua le conseguenze della violazione del divieto: salva l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli artt. 255 e 256 cod. amb., chiunque viola il divieto di abbandono o di deposito incontrollato di rifiuti «è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate».

L’art. 192, co. 3, cod. amb. estende espressamente la responsabilità da abbandono di rifiuti anche al proprietario (o al titolare di diritti reali o personali di godimento) dell’area, al quale la violazione del divieto di cui al co. 1 sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Da tale specificazione normativa la giurisprudenza ha tratto la conclusione che al proprietario del fondo può far carico una responsabilità da omessa custodia, derivante dalla mancata assunzione delle cautele e degli accorgimenti che l’ordinaria diligenza suggerisce per prevenire che terzi possano abbandonare rifiuti sul fondo. La responsabilità di cui all’art. 192 cod. amb., dunque, è integrata, oltre che dalla commissione di condotte positivamente orientate al deposito dei rifiuti, anche dall’omissione, da parte del proprietario o da chi ha comunque la disponibilità giuridica della cosa, di quei doverosi controlli che potrebbero distogliere terzi soggetti dal compiere le condotte sanzionate dalla norma. Il non aver prevenuto la violazione del divieto di abbandono di rifiuti, pur avendo gli strumenti per farlo, equivale ad aver violato il divieto in proprio ed espone il trasgressore alle conseguenti sanzioni, tra cui l’ordine sindacale di rimuovere i rifiuti e avviarli allo smaltimento o al recupero, nonché di ripristinare lo status quo del fondo.

La responsabilità da inquinamento (di cui al Titolo V, Parte IV, cod. amb.) è integrata dall’aver provocato o contribuito a provocare la contaminazione di un sito oltre le CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) valevoli per i vari elementi inquinanti. Essa determina l’assunzione ex lege degli obblighi di prevenzione, di messa in sicurezza, di bonifica e di rispristino ambientale enucleati dall’art. 240 cod. amb., da adempiersi nel rispetto della procedura operativa di cui all’art. 242 cod. amb. Ai sensi dell’art. 244 cod. amb., ove si riscontri il superamento delle CSC in un determinato sito, la provincia (o, se istituita, la città metropolitana) individua, con apposite indagini, il responsabile della contaminazione e, sentito il comune competente, lo diffida, con ordinanza motivata, ad assumere le necessarie misure di contrasto del danno ambientale. In sostanza, l’art. 244 cod. amb. attribuisce all’autorità competente il potere di compulsare l’adempimento di quegli obblighi (di prevenzione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino) facenti capo ex lege al responsabile dell’inquinamento, ove questi non si sia attivato spontaneamente.

Rispetto al responsabile dell’inquinamento, completamente diversa è la posizione del mero proprietario del fondo inquinato.

Il cd. proprietario incolpevole, che non ha contribuito all’inquinamento del sito, è tenuto esclusivamente a segnalare alle autorità il superamento o il pericolo di superamento delle CSC e ad adottare le misure di prevenzione del danno ambientale, mentre ha la mera facoltà di assumere in proprio le restanti iniziative di contrasto e riparazione del danno (art. 245 cod. amb.), onde mantenere il fondo libero dai pesi derivanti dall’eventuale attivazione d’ufficio delle autorità. Infatti, il proprietario rimane esposto al privilegio speciale e agli oneri reali sul fondo per il caso in cui, non essendo stato individuato il responsabile dell’inquinamento, le amministrazioni competenti realizzino d’ufficio le misure di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, rivalendosi poi delle spese sul proprietario, nei limiti del valore del fondo (artt. 250 e 253 cod. amb.). Pertanto, non è configurabile alcuna responsabilità in capo al proprietario dell’area inquinata né, quindi, l’obbligo di bonificare il sito per il solo fatto di rivestire tale qualità, ove non si dimostri il suo apporto causale all’inquinamento riscontrato.

Il proprietario incolpevole, tenuto all’esecuzione delle sole misure di prevenzione (definite all’art. 240, co. 1, lett. i, cod. amb.), non è obbligato a porre in essere neppure le misure di messa in sicurezza di emergenza (definite all’art. 240, co. 1, lett. m, cod. amb.), queste ultime essendo interventi miranti alla riparazione del danno ambientale e, come tali, gravanti esclusivamente sul responsabile dell’inquinamento.

Come noto, l’impianto normativo è stato ritenuto conforme al principio “chi inquina paga” di cui all’art. 191 TFUE, la Corte di giustizia avendo chiarito che il diritto europeo non osta a una normativa nazionale la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito (Corte Giust. UE, Sez. III, 4 marzo 2015, n. 534).

Quindi, il proprietario che non ha contribuito all’inquinamento del proprio fondo non può essere considerato responsabile in forma omissiva per mancato controllo dell’area, salvo che abbia violato uno specifico obbligo giuridico di attivarsi: va esclusa, infatti, la configurabilità, quale concorso nel determinare – l’aggravamento di – una contaminazione, del comportamento omissivo del proprietario rispetto a condotte positive cui esso non era tenuto, non essendo responsabile del relativo inquinamento originario, ma che avrebbero potuto costituire a norma di legge solo delle sue mere iniziative volontarie. La posizione di proprietario c.d. incolpevole, in altre parole, non viene meno per il solo fatto che il proprietario avrebbe potuto, in ipotesi, attivarsi efficacemente, ma solo quando la relativa omissione abbia comportato la violazione di un preciso obbligo giuridico di azione positiva, obbligo in difetto del quale è la stessa causalità giuridica a fare difetto (arg. ex art. 40 cpv. cod. pen.).

Un obbligo giuridico di azione è rinvenibile, per esempio, nella mancata segnalazione alle autorità di attività inquinanti in essere sul fondo, delle quali il proprietario era a conoscenza, nonché nell’inottemperanza a specifici ordini dell’autorità propedeutici a prevenire la diffusione di un fattore contaminante, mentre non può essergli ascritta una generica responsabilità da omissione di cautele volte a evitare la propagazione dell’inquinamento sul fondo, posto che la riparazione del danno ambientale grava, a norma di legge, solo sul responsabile della contaminazione (art. 242 cod. amb.) o, in mancanza, sull’amministrazione (art. 250 cod. amb.), non anche sul proprietario incolpevole.

Gestione dei rifiuti e principio della responsabilità condivisa

Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 10 febbraio 2025, n. 293

RSU – Gestione dello smaltimento – Principio della responsabilità condivisa fra i soggetti coinvolti in produzione, detenzione, trasporto e smaltimento – Posizione di garanzia – Esclusione di responsabilità – Requisito della continuità temporale – Responsabilità per abbandono e deposito incontrollati – Rapporti con la sentenza penale di proscioglimento per intervenuta prescrizione

In materia ambientale, in ragione delle prescrizioni di cui al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, vige il principio della responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti. Da esso discende il corollario secondo cui la corretta gestione dei medesimi grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, essendo detti soggetti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi. Ne segue che l’esclusione di responsabilità presuppone che il produttore sia in possesso del formulario di cui all’art. 193 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 controfirmato e datato dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore. Il requisito della continuità temporale ai fini dell’applicazione della scriminante in esame non può dirsi soddisfatto dalla produzione in giudizio da parte del produttore di un contratto stipulato per dare copertura a frazioni temporali pregresse in quanto detto titolo non è inidoneo ad assicurare le finalità di cui all’art. 188, comma 4, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e s.m.i. e a rispettare quanto prescritto dal successivo art. 193.

Il Sindaco del Comune può trarre elementi idonei ad accertare la responsabilità per l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 dalla sentenza penale che dichiari l’improcedibilità dell’azione per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’art. 425 c.p.p. Nell’ambito della generale categoria delle “sentenze di proscioglimento”, il codice di procedura penale pone, infatti, una fondamentale distinzione tra sentenza di non luogo a procedere, o di proscioglimento anticipato, e sentenza di assoluzione. La sentenza che dichiari l’improcedibilità dell’azione penale per intervenuta prescrizione ai sensi dell’art. 425 c.p.p. contiene una formula procedurale che prevale su quella assolutoria di merito solo perché non è stata raggiunta la dimostrazione dell’evidenza della prova di circostanze che escludessero la colpevolezza degli imputati.

Impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti e autorizzazione unica ambientale

Tar Campania, Napoli, sez. V, 30 gennaio 2025, n. 812

RSU – Installazione di nuovi impianti di smaltimento e recupero – Autorizzazione unica ambientale – Conferenza di servizi – Pareri discordanti – Bilanciamento – Onere motivazionale – Legittimazione al ricorso – Concessione di acque minerali – Requisito della vicinitas

È illegittimo il provvedimento di autorizzazione unica di cui all’art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) per nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti qualora difetti ogni riferimento ai contenuti dei pareri negativi resi dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi di cui al comma 3 e non siano spiegate le ragioni della prevalenza riconosciuta ai pareri favorevoli. Difatti, in presenza di pareri discordanti resi nella conferenza di servizi, l’amministrazione procedente è tenuta ad operare il bilanciamento tra quelli negativi e quelli positivi, stabilendo a quali dare la prevalenza, fermo restando che, in caso di rilascio dell’autorizzazione, la prevalenza dei pareri favorevoli può considerarsi in re ipsa solo se, in sede di valutazione dei pareri negativi, le ragioni poste a fondamento di tali pareri risultino non fondate.

In caso di impugnazione dell’autorizzazione unica per nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti ai sensi dell’art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), sussiste la legittimazione al ricorso degli enti partecipanti alla conferenza di servizi titolari di interessi sensibili, tra cui rientrano quelli in materia urbanistico – paesaggistica, che abbiano espresso formale e motivato dissenso rispetto alla determinazione finale.

La legittimazione ad agire degli enti partecipanti alla conferenza di servizi nel procedimento di autorizzazione unica di cui all’art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) per nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti non è esclusa dalla mancata opposizione espressa nella conferenza di servizi ai sensi dell’articolo 14 quinquies, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto il mancato esercizio di questa facoltà non preclude la tutela giurisdizionale.

La realizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti speciali in posizione prossima a una concessione di acque minerali può determinare una lesione degli interessi del titolare di essa, quantomeno sotto il profilo dell’immagine e della reputazione dell’operatore economico, ravvisandosi in tale ipotesi sia la legittimazione al ricorso in ragione della vicinitas, sia l’interesse a ricorrere correlato ad uno specifico pregiudizio che può essere desunto dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso.

Abbondono di rifiuti e proprietà dell’area

Tar Toscana, Firenze, sez. II, 12 marzo 2024, n. 285

RSU – Abbandono – Onere accertativo e probatorio della corresponsabilità in capo al Comune – Disponibilità del bene

Ai sensi dell’art. 192, comma 3, D. Lgs. n. 152/2006, il Comune deve provvedere ad uno specifico accertamento dell’eventuale corresponsabilità del proprietario dell’area, volta ad appurare l’infrazione, anche da parte di quest’ultimo, “a titolo di dolo o colpa”.

Tanto è predicabile laddove il proprietario (a parte i casi di connivenza o complicità negli illeciti) si disinteressi del proprio bene e resti inerte, senza affrontare concretamente la situazione o la affronti con misure palesemente inadeguate, omettendo accorgimenti e cautele che l’ordinaria diligenza impone per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area.

Nei casi in cui il proprietario dell’area inquinata non abbia nemmeno la materiale disponibilità del bene interessato dall’abbandono dei rifiuti, è ancor più evidente l’onere dell’Amministrazione di dimostrarne la corresponsabilità, considerato che prima di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati ed il ripristino dello stato dei luoghi, il Comune deve accertare l’elemento soggettivo dolo o colpa in capo al proprietario non responsabile dello sversamento di rifiuti.

Il termovalorizzatore di Roma Capitale

Consiglio di Stato, sez. IV, 9 febbraio 2024, n. 1349

Rifiuti – Piano di smaltimento rifiuti di Roma Capitale – VAS – Realizzazione termovalorizzatore – Diritto dell’Unione europea e legislazione degli Stati membri – Principio della gerarchia dei rifiuti – Ratio – Discrezionalità

Abbandono di rifiuti e principio di precauzione

Consiglio di Stato, sez. IV, 2 febbraio 2024, n. 1110

RSU – Abbandono – Responsabilità – Principio di precauzione e di prevenzione – Misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza – Gestione d’affari altrui – Presupposti – Gestione nomine proprio o con spendita del nome – Principio di proporzionalità – Teoria dei tre gradini – Cessione della proprietà del sito – Traslazione dell’obbligo di bonifica – Acque emunte – Classificazione

Le misure di messa in sicurezza di emergenza, così come le misure di prevenzione, non hanno analoga natura sanzionatoria, ma preventiva e cautelare, trovando fondamento nel principio di precauzione e nel correlato principio dell’azione preventiva, e, in quanto tali, possono gravare sul proprietario (o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente) solo perché egli è tale, senza necessità di accertarne il dolo o la colpa.

Il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell’inquinamento (c.d. proprietario incolpevole) e che non sia stato negligente nell’attivarsi con le segnalazioni e le denunce imposte dalla legge, è tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza definitiva, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia su colui al quale – per una sua condotta commissiva od omissiva – sia imputabile l’inquinamento; la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d’ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un’azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito, dopo l’esecuzione degli interventi medesimi.

Ne discende che il proprietario non responsabile dell’inquinamento – nell’accezione prima chiarita – è tenuto, ai sensi dell’ art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152 del 2006 (ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”) e le misure di messa in sicurezza d’emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale.

Tali consolidati principi non possono, nondimeno, trovare applicazione nel caso in cui il proprietario, ancorché non responsabile, ha attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale. In tale caso, infatti, la fonte dell’obbligazione del proprietario incolpevole va rinvenuta nell’istituto della gestione di affari non rappresentativa.

Secondo l’art. 2028 c.c. colui che, scientemente e senza esservi tenuto, assume la gestione di un affare altrui ha l’obbligo di proseguirla fino a quando l’interessato possa provvedervi da sé stesso.

I presupposti necessari perché si configuri una gestione di affari altrui sono tradizionalmente individuati: a) nella c.d. absentia domini, dedotta dall’art. 2028 c.c. allorché fa riferimento ad un dominus che non è in grado di provvedere ai suoi interessi; b) nell’altruità dell’affare, dato l’esplicito riferimento normativo alla gestione di un affare altrui; c) nella spontaneità dell’intervento del gestore che, infatti, ai sensi dell’art. 2028 c.c., deve agire “senza essere obbligato”; d) nella consapevolezza dell’alienità dell’affare, desumibile dall’avverbio “scientemente”. Particolarmente discusso è, poi, il c.d. requisito dell’utiliter coeptum che, data la formulazione dell’art. 2031 c.c., è da una parte della dottrina considerato condicio iuris di efficacia di una fattispecie già strutturalmente perfetta e, da altra parte, ritenuto presupposto dei soli effetti a carico del dominus.

Il requisito della c.d. absentia domini deve essere inteso in senso ampio, in modo da comprendervi il caso in cui l’interessato, pur presente fisicamente nei luoghi ove la gestione è eseguita, non sia comunque in grado di presidiare all’amministrazione dei propri interessi esistenziali. A tal riguardo, non rileva che vi sia una condizione di assoluto impedimento dell’interessato alla gestione dei propri affari, ovvero che sussista una impossibilità materiale rispetto alla cura di questi, ritenendosi soddisfatto l’anzidetto requisito là dove il dominus non abbia manifestato, espressamente o tacitamente, il divieto a che altri si ingerisca nella cura dei propri affari.

Quanto agli effetti della gestione, deve essere distinta la fattispecie in cui il gestore ha agito nomine proprio,da quella in cui spende il nome dell’interessato (art. 2031, comma 1, c.c.). Nel primo caso (c.d. gestione rappresentativa fondata sulla legge e condizionata dal presupposto dell’utiliter coeptum), gli effetti della gestione sono proiettati recta via nella sfera giuridico-patrimoniale dell’interessato, il quale deve pertanto adempiere le obbligazioni assunte in suo nome. Nel secondo caso, valgono le regole in tema di mandato senza procura, di guisa che l’interessato dovrà tenere indenne il gestore delle obbligazioni assunte in nome proprio e rimborsargli le spese necessarie o utili con gli interessi dal giorno in cui sono state fatte. Il gestore è tenuto a continuare la gestione e a completarla finché l’interessato non sia in grado di provvedervi autonomamente (art. 2028, comma 1, c.c.).

Nella negotiorum gestio, si ravvisano i tratti distintivi dell’obbligazione – che nasce per effetto della libera determinazione del gerente – senza obbligo primario di prestazione, da cui discende la eventuale responsabilità ex art. 1218 c.c., quale conseguenza della c.d. mala gestio.

Il principio di proporzionalità, di derivazione europea, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Alla luce di tale principio, nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa una adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, l’esercizio del potere in esame rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi.

Inoltre, il principio di proporzionalità postula un giudizio di valutazione che si articola in tre passaggi successivi, che prevedono l’utilizzo di altrettanti criteri di valutazione (c.d. «teoria dei tre gradini»):

– l’idoneità della decisione a raggiungere lo scopo, intesa come rapporto fra mezzo utilizzato e fine da raggiungere. Secondo questo primo indice di valutazione, la soluzione prospettata dalla pubblica amministrazione dev’essere effettivamente idonea a realizzare gli obiettivi legittimi di interesse pubblico, o la tutela di diritti fondamentali, per come dichiarato dalla stessa amministrazione;

– la sua necessarietà, intesa come inesistenza di alternative più miti per il raggiungimento dello stesso risultato. In base a tale criterio, la scelta amministrativa deve necessariamente ricadere su quella che determini il sacrificio minore per i soggetti che ricevono un pregiudizio dalla decisione: in questo secondo passaggio si ha, dunque, un quid pluris rispetto al primo, consistente nella valutazione delle alternative plausibili per il raggiungimento degli stessi interessi pubblici con misure meno gravose;

– l’adeguatezza o proporzionalità in senso stretto, intesa come tollerabilità della decisione da parte del suo destinatario. In virtù di quest’ultimo indice valutativo, l’amministrazione deve effettuare una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, onde verificare se la misura sia «non eccessiva» rispetto all’obiettivo da perseguire.

La proporzionalità non deve essere considerata come un canone rigido e immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa e come concreto bilanciamento tra interessi potenzialmente antagonisti: il bilanciamento tra interessi potenzialmente incompatibili è una vicenda di allontanamento più o meno intenso da quel nucleo di massima protezione e che dipende dalle relazioni di prevalenza o subordinazione che, all’interno della ponderazione, si stabiliscono con i principi concorrenti.

La cessione della proprietà del sito non determina una vicenda estintiva, né a livello soggettivo, né a livello oggettivo, dell’obbligazione volontariamente assunta, venendo nel caso in esame in rilievo un’obbligazione di fonte legale, discendente da un fatto/atto idoneo, ai sensi dell’art. 1173, a generare la nascita di un’obbligazione in capo al soggetto che ha spontaneamente intrapreso la gestione dell’attività di bonifica. In tale direzione depone anche la considerazione che, anche nel caso di cessione di azienda, l’art. 2560, comma 1, c.c. espressamente dispone che, dopo la cessione, il cedente rimane ex lege titolare degli obblighi (e, più in generale, delle posizioni di responsabilità) rivenienti dalla gestione del ramo di azienda precedente alla cessione.

La fattispecie della traslazione dell’obbligo di bonifica a carico del successore si verifica, invece, nel diverso caso della successione a titolo universale, ovvero quando si sia verificata l’estinzione soggettiva del cedente (si pensi all’incorporazione): in tali ipotesi, la responsabilità per l’inquinamento e, quindi, il connesso dovere di bonifica passano in capo al successore in universum jus.

Il principio di precauzione consiste, come noto, in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica. Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti”. Muovendo da tale preliminare considerazione, è possibile coglierne il principale tratto distintivo rispetto all’idea di “prevenzione”. Mentre, infatti, la prevenzione può entrare in gioco solo a fronte di “rischi certi”, ossia in presenza di rischi scientificamente accertati e dimostrabili, ovverosia in presenza di rischi noti, misurabili e controllabili, la precauzione, al contrario, trova il proprio campo di applicazione allorché un determinato rischio risulti ancora caratterizzato da margini più o meno ampi di incertezza scientifica circa le sue cause o i suoi effetti.

Il fondamento concettuale della logica precauzionale può essere ricondotto al principio del cosiddetto maximin, in base al quale, quando si tratta di assumere una decisione in condizioni di incertezza, le scelte devono essere valutate tenendo conto del peggior scenario possibile in termini di possibili conseguenze.

Ne discende che, in nome dell’idea di precauzione, l’intervento preventivo non può attendere l’inconfutabile prova scientifica degli effetti dannosi, ma deve essere predisposto sulla base di attendibili valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecniche “attualmente” e “progressivamente” disponibili.

Le acque emunte, di regola, devono essere ricondotte all’interno della categoria dei rifiuti liquidi, non potendosi in linea di principio ritenere che la norma di cui all’art. 243, d.lgs. 152/06, consenta una equiparazione tout court tra le acque di falda emunte nell’ambito di interventi di bonifica di siti inquinati e le acque reflue industriali. L’individuazione del regime normativo concretamente applicabile non può non tenere conto della particolare natura dell’oggetto dell’attività posta in essere.

Rifiuti abbandonati e responsabilità dei proprietari e concessionari delle aree

Tar Lazio, Roma, sez. II stralcio, 29 gennaio 2024, n. 1752

RSU – Sversamento sul suolo e abbandono – Responsabilità – Diritto personale di godimento sul bene pubblico – Condotte colpose – Dovere di bonifica

In materia ambientale e di gestione dei rifiuti, il requisito della colpa postulato dall’art. 192 del D.lgs. n. 152/2006 consiste, oltre che nella commissione di condotte positivamente orientate all’abbandono dei rifiuti, anche nell’omissione di quei doverosi controlli che potrebbero distogliere o impedire che terzi soggetti compiano le condotte sanzionate dalla norma, tra cui quelle di deposito incontrollato e di abbandono di rifiuti.

Può essere chiamato in causa al fine della bonifica dell’area invasa dai rifiuti non solo il proprietario, ma anche il concessionario e, dunque, il titolare di un diritto personale di godimento del suolo in cui sono stati versati rifiuti richiedenti la bonifica del suolo.

La responsabilità del concessionario di un bene pubblico, a titolo di colpa, discende dal non aver custodito adeguatamente il bene pubblico concesso in uso, in violazione dei doveri su di questi gravanti e dal non aver vigilato, oltre che sulle altre attività illecite svolte in loco, sullo sversamento di rifiuti sul suolo.

RSU

Tar Campania, Salerno, sez. III, 3 luglio 2023, n. 1611

RSU – Gestione – Potere di intervento ordinario ed extra ordinem – Accertamento responsabilità

Fra le attività di gestione di rifiuti urbani di competenza comunale non sono riconducibili le attività di rimozione e raccolta di altre species di rifiuti, quali i detriti presenti nelle aste torrenziali.

Il d.lgs. n. 152 del 2006, prevedendo un ordinario potere d’intervento attribuito all’Autorità amministrativa in caso di accertato abbandono o deposito incontrollato di rifiuti e rappresentando, quindi, una specifica norma di settore, non esclude a priori la possibilità per l’ente di far uso, per garantire la rimozione dei rifiuti, del potere extra ordinem, proprio delle ordinanze contingibili ed urgenti. Invero, diversa è la funzione dei due atti, il primo, sanzionatorio, con accertamento in contraddittorio della responsabilità a titolo di dolo o colpa, il secondo, meramente ripristinatorio, in via d’urgenza.

Ai fini dell’emanazione delle ordinanze contingibili ed urgenti da parte del Sindaco, ex art. 54, T.U.E.L., volte a prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini, stante l’indispensabile celerità che caratterizza l’intervento, si può prescindere dalla verifica della responsabilità di un determinato evento dannoso provocato dal privato interessato.

RSU – Principio del “chi inquina paga”

Tar Campania, Salerno, sez. III, 15 giugno 2023, n. 1400

RSU – Ordinanza di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi – Illegittimità – Principio del “chi inquina paga”

Della condotta vietata di abbandono e deposito di rifiuti sui fondi risponde, in solido con l’autore materiale, anche il proprietario dell’area, o il titolare di diritto reale o personale di godimento, al quale l’azione sia addebitabile a titolo di dolo o colpa; è onere dell’amministrazione accertare la condotta asseritamente colposa.

È illegittima l’ordinanza di bonifica emessa unicamente sul rilievo dell’appartenenza del bene interessato: la ricerca di un necessario criterio di imputazione della responsabilità in capo al proprietario del fondo, che vada al di là della mera titolarità giuridica del bene, è in linea col principio di derivazione comunitaria secondo cui “chi inquina paga”.