Doppia conformità

Titolo edilizio in sanatoria e requisito della doppia conformità

Consiglio di Stato, sez. II, 25 febbraio 2025, n. 1648

Titolo edilizio – Assenza o difformità – Accertamento di conformità – Permesso in sanatoria condizionato ad altri interventi – Non ammissibilità – Accordo ex art. 11 L. 241/1990 – Natura giuridica – Ratio – Requisito della “doppia conformità” – Natura giuridica

In ossequio alla giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. 29 maggio 2013, n. 101), l’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non ammette ipotesi di “sanatoria” condizionata alla effettuazione di altri interventi (ad esempio di demolizione). Ciò vale a maggior ragione ove si pretenda di far confluire gli impegni del privato in un accordo ai sensi dell’art. 11 della l. 7 agosto 1990, n. 241, che comunque implica una “negoziazione” rimessa alla scelta discrezionale della p.a., estranea alla natura del provvedimento.

L’art. 11 della l. n. 241 del 1990, è relativo ad un modulo decisionale consensuale, comunque, soggetto al vincolo funzionale dell’interesse pubblico a “sottrarre” ambiti più o meno ampi alla decisione autoritativa. Esso non può essere identificato con il risparmio del futuro e ipotetico dispendio di tempo e risorse per l’eventuale demolizione in danno, ovvero per istruire ex novo la pratica edilizia eventualmente (ri)presentata. L’ordinamento non ammette infatti casi atipici di sanatoria, in quanto diversamente dal condono essa «è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi “formali”, ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, ‘anche di natura preventiva e deterrente’, finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture ‘sostanzialiste’ della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità» (Corte cost., n. 101 del 2013) . Ed è evidente che la necessità di “negoziare” l’adeguamento ovvero la sua realizzazione, altro non è che uno strumento per legittimare una sanatoria condizionata, ovvero per far rivivere la c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, istituto di creazione pretoria da tempo abbandonato dalla giurisprudenza.

Il concetto di “doppia conformità” richiesto ai fini della concessione della sanatoria ordinaria presuppone una verifica di rispondenza al regime urbanistico vigente sia all’atto dell’effettuazione dei lavori, che della presentazione dell’istanza in senso “statico”. L’astratta assentibilità dell’opera previa attivazione di uno specifico procedimento non equivale a concreta rispondenza della stessa al regime edificatorio vigente in una determinata zona.

L’ipotetica ammissibilità di un intervento, ove realizzato ex novo, in ragione dell’esistenza di apposita norma regolatoria che lo consente, a condizioni date, non equivale a conformità dello stesso al regime urbanistico vigente, che non può essere desunto dal successivo esito di ulteriori valutazioni. La nozione di “doppia conformità” richiesta dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, è infatti, per così dire, a valenza staticoricognitiva, nel senso che presuppone una mera verifica formale da parte degli uffici, in quanto solo formale e non sostanziale è la natura dell’illecito di riferimento. Diversamente opinando, esso si tradurrebbe in una sorta di condono, anziché di sanatoria ordinaria, consentendo cioè l’avallo postumo di interventi che sostanzialmente, non solo formalmente, sono in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti.

Provvedimento autorizzatorio unico regionale e conferenza di servizi

Consiglio di Stato, sez. IV, 10 febbraio 2025, n. 1071

Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (P.A.U.R.) – Ratio – Procedimento – Proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area interessata dall’intervento nelle more del rilascio del P.A.U.R. – Principio di “doppia conformità” strumentale

Il procedimento scandito dall’art. 27-bis del decreto legislativo  3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), ha  ad oggetto il rilascio di tutte le autorizzazioni necessarie non solo alla realizzazione, bensì anche all’esercizio del progetto stesso, configurando pertanto un procedimento “unico” che permette al proponente di ottenere il provvedimento finale che gli consenta, a seguito della sua adozione, di realizzare il progetto e porre in esercizio l’opera senza dover acquisire più alcun ulteriore titolo. Il P.A.U.R. peraltro non comporta un assorbimento dei singoli titoli autorizzatori necessari alla realizzazione dell’opera e non sostituisce i diversi provvedimenti, emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, che mantengono la loro autonomia formale, bensì li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di servizi.

La circostanza che sia conclusa la conferenza di servizi ex art. 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), con il rilascio della V.I.A., non comporta il rilascio del P.A.U.R. Infatti, affinché la conferenza di servizi possa valere come provvedimento autorizzatorio unico regionale, deve concludersi con una determinazione motivata che deve recare in allegato non solo la relazione finale della conferenza di servizi e il provvedimento di V.I.A. ma anche   le autorizzazioni e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto. Pertanto, ove nelle more del rilascio del P.A.U.R., comprensivo dell’A.I.A., sia intervenuta una proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area interessata dall’intervento, devono applicarsi le misure di salvaguardia di cui all’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio), con conseguente immodificabilità dell’area oggetto di protezione, ai sensi dell’art. 146, comma 1 del citato decreto legislativo. Pertanto, a decorrere dalla data di adozione della proposta, e fino all’emanazione dell’eventuale decreto, l’amministrazione è obbligata a sospendere ogni determinazione in ordine ai progetti che risultino in contrasto con le relative previsioni, operando immediatamente il principio di “doppia conformità” strumentale, dovendo ogni intervento risultare conforme agli strumenti vigenti e alle previsioni medio tempore adottate.

Abuso edilizio e “doppia conformità”

Tar Umbria, sez. I, 17 aprile 2024, n. 268

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria successiva al provvedimento sanzionatorio – Condizioni – Osservazioni dei privati – Onere motivazionale del Comune – Provvedimento amministrativo fondato su plurimi motivi – Legittimità – Varianti ai piani attuativi di iniziativa privata o mista – Disciplina – Proposta di piano attuativo – Legge regionale Umbria – Doppia conformità urbanistico-edilizia – Onere probatorio – Sanzione pecuniaria sostitutiva – Condizioni

Circa gli effetti sostanziali e processuali della presentazione di una istanza di sanatoria successivamente all’adozione del provvedimento sanzionatorio, va precisato che tale effetto può verificarsi in caso di reiterazione delle istanze di sanatoria, solo ove la nuova istanza sia basata su elementi nuovi, la cui conoscenza è sopravvenuta rispetto alla precedente eventualmente rigettata. In caso contrario, ne deriverebbe un vulnus al principio di certezza delle situazioni giuridiche, consentendo al privato, mediante la semplice reiterazione di istanze di sanatoria, di precludere il dispiegamento degli effetti propri delle misure apprestate dall’ordinamento per la repressione degli abusi edilizi.

L’amministrazione non ha un onere di specifica e analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, bastando che ne abbia dato conto in modo sintetico ed essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente resa a sostegno dell’atto stesso.

Quando un provvedimento amministrativo è fondato su una pluralità di autonomi motivi, la legittimità di uno solo di essi è sufficiente a sorreggerlo, mentre l’eventuale illegittimità di uno solo o più degli altri motivi non basta a determinarne l’illegittimità. La sussistenza di una sola valida ragione ivi trasfusa può adeguatamente sostenerne la legittimità, con conseguente carenza di interesse della parte ricorrente all’esame delle censure ulteriori volte a contestare le altre ragioni giustificatrici dell’atto medesimo.

In assenza di una disciplina specifica per le varianti ai piani attuativi di iniziativa privata o mista già approvati, il Comune deve applicare, secondo il principio del contrarius actus, le medesime previsioni poste per la proposizione ex novo del piano, anche in considerazione della ricaduta generale sull’assetto dell’intera zona considerata dal piano di lottizzazione di una modifica alla disciplina delle distanze tra gli edifici.

L’art. 54 della l. r. Umbria n. 1 del 2015 prevede, al secondo comma, che la proposta di piano attuativo possa essere presentata dai «proprietari di almeno il cinquantuno per cento del valore catastale degli immobili e della superficie delle aree perimetrate dal PRG, parte operativa». La disposizione di cui al penultimo periodo del primo comma dell’art. 154 l. r. Umbria n. 1 del 2015 – per cui «Ai fini di cui al presente comma è consentito l’adeguamento di eventuali piani attuativi, purché tale adeguamento risulti conforme alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione dell’intervento oggetto di sanatoria, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria e non in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati» – in alcun modo potrebbe essere interpretata nel senso di consentire una deroga rispetto alla necessarietà, ai fini dell’accertamento di conformità, della sussistenza della c.d. “doppia conformità” di cui all’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 che prescrive, ai fini del rilascio del permesso in sanatoria, la conformità degli interventi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione della domanda di titolo in sanatoria. Una diversa interpretazione del primo comma dell’art. 154 l.r. n. 1 del 2015 lo esporrebbe a seri dubbi di legittimità costituzionale, atteso che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la richiamata “doppia conformità” costituisce «principio fondamentale nella materia governo del territorio» (Corte costituzionale sentenze n. 93 del 2023, n. 77 del 2021, n. 70 del 2020, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 107 del 2017), nonché norma fondamentale di riforma economico-sociale.

L’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, necessita che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria. Peraltro, il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione, oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell’opera abusiva alle prescrizioni urbanistico-edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario e/o paesaggistico) sia all’epoca di realizzazione dell’abuso sia a quella di presentazione dell’istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001. Ciò determina che, in sede di accertamento di conformità, è interamente a carico della parte l’onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l’ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 (già, art. 13 l. n. 47/1985 ), attesa la finalità dell’istituto, secondo il quale il rilascio del permesso in sanatoria presuppone indefettibilmente la c.d. doppia conformità, vale a dire la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.

Ai sensi del secondo comma dell’art. 143 della l. r. Umbria n. 1 del 2015, «Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso di costruire, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 139, […] ingiunge al proprietario e ai responsabili dell’abuso, nei termini di cui all’articolo 141, comma 3, la rimozione o la demolizione e la remissione in pristino». Il legislatore regionale è chiaro nel distinguere le ipotesi di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in totale difformità dal medesimo, da quelle di interventi che presentino variazioni essenziali (con l’utilizzo della congiunzione “ovvero”); solo in questa ultima ipotesi, assume rilevanza la disciplina di cui all’art. 139 della medesima l. r. n. 1 del 2015.

L’applicabilità della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 33, comma 2, in deroga alla regola generale della demolizione, propria degli illeciti edilizi, presuppone la dimostrazione della oggettiva impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi senza incidere, sul piano delle conseguenze materiali, sulla stabilità dell’intero edificio; in secondo luogo, e in ogni caso, l’applicabilità, o meno, della sanzione pecuniaria, può essere decisa dall’Amministrazione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e non prima, sulla base di un motivato accertamento tecnico. La valutazione, cioè, circa la possibilità di dare corso all’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire: con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive.

La verifica ex art. 33, comma 2, va compiuta su segnalazione della parte privata durante la fase esecutiva e non dall’Amministrazione procedente all’atto dell’adozione del provvedimento sanzionatorio. Inoltre, l’applicabilità della sanzione pecuniaria può essere decisa dall’Amministrazione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e non prima. In sostanza, la valutazione circa la possibilità di dare corso all’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire, con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive, dimodoché la verifica di cui all’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 va compiuta su segnalazione della parte privata durante la fase esecutiva e non dall’amministrazione procedente all’atto dell’adozione del provvedimento sanzionatorio.

Permesso in sanatoria e doppia conformità

Tar Sardegna, Cagliari, sez. I, 2 settembre 2023, n. 642

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Doppia conformità

Ai fini del rilascio del permesso in sanatoria, è necessaria la c.d. doppia conformità, ossia la conformità dell’intervento oggetto dell’istanza alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, che al momento della presentazione della domanda.

Abuso edilizio, doppia conformità e sanatoria giurisprudenziale

Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 24 agosto 2023, n. 2660

Abuso edilizio – Istanza in sanatoria – Doppia conformità – Sanatoria giurisprudenziale – Sopravvenienze

L’istituto dell’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del DPR 6 giugno 2001, n. 380 – che disciplina il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria “subordinandolo alla doppia conformità degli interventi realizzati con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione degli stessi, che a quello della presentazione della domanda”, in linea con la sua funzione, che è quella di garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità, presuppone la c.d. doppia conformità dell’opera, ovvero la non contrarietà dell’intervento abusivo alla disciplina urbanistico-edilizia in vigore sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria (art. 36 del D.P.R. n. 380/2001).

La cd. sanatoria giurisprudenziale – che considera sufficiente la conformità dell’intervento alla normativa urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda di sanatoria, indipendentemente dalla normativa vigente al momento della realizzazione dell’opera – deve considerarsi figura ormai superata, nonché recessiva rispetto al disposto normativo vigente e ai principi che regolano la repressione dell’abusiva trasformazione del territorio. Il permesso di costruire in sanatoria è infatti ottenibile soltanto in presenza dei presupposti espressamente delineati dall’art. 36 D.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica-edilizia vigente al momento della realizzazione del manufatto e della presentazione della domanda (cd. doppia conformità). Pertanto, in assenza del requisito della doppia conformità, ormai espressamente richiesto dalla legge, non residuano margini per l’applicazione della sanatoria impropria, istituto ormai definitivamente abbandonato dalla giurisprudenza, sia amministrativa, sia della Corte Costituzionale.

Le sopravvenienze positive non consentono di sanare gli abusi pregressi. Diversamente opinando, si incentiverebbe l’abusivismo edilizio e si premierebbe la condotta del soggetto che ha trasgredito le norme. Le sopravvenienze, anche positive, infatti, minerebbero la certezza e la sicurezza dei rapporti giuridici, oltre che il buon andamento della Pubblica Amministrazione.