Corte costituzionale

Elezioni dei consigli metropolitani e dei presidenti dei liberi Consorzi comunali (province)

Corte Costituzionale, 6 luglio 2023, n. 136

Liberi consorzi comunali e Città metropolitane – Norme della regione Siciliana – Proroga delle funzioni dei commissari straordinari
È incompatibile con la Costituzione il continuo rinvio, da parte del legislatore siciliano, delle elezioni dei Consigli metropolitani e dei Presidenti dei liberi Consorzi comunali che in Sicilia sostituiscono le province.  Attraverso interventi puntuali e continui nel corso di otto anni, il legislatore regionale ha di fatto impedito la costituzione degli enti di area vasta in Sicilia, in violazione degli articoli 3, 5 e 114 della Costituzione. A tale situazione deve essere posto rimedio senza ulteriori ritardi, attraverso il tempestivo svolgimento delle elezioni dei Presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, affinché anche in Sicilia gli enti intermedi siano istituiti e dotati dell’autonomia loro costituzionalmente garantita, e si ponga fine alla più volte prorogata gestione commissariale.

Spettacoli dal vivo – Polizia amministrativa – Semplificazioni
La norma della regione Sicilia che ha inteso recepire nel territorio regionale, con proprio intervento unilaterale, le semplificazioni già operanti nel resto d’Italia con riferimento però a funzioni tuttora di competenza dell’autorità di pubblica sicurezza statale viola l’art.117, secondo comma, lettera h), Cost. e l’art. 43 dello statuto speciale.  

Edilizia e urbanistica Interventi in deroga agli strumenti urbanistici – Interventi per la realizzazione di comunità alloggio e centri socio-riabilitativi per persone con handicap in situazione di gravità – Termini e condizioni per il cambio di destinazione d’uso.
La norma della regione Siciliana che interviene a modificare gli effetti dei titoli abilitativi rilasciati ai sensi dell’art. 10, c. 6, della legge n. 104 del 1992, prevedendo che l’effetto di variante del piano urbanistico che la legge statale eccezionalmente prevede, ma a condizione che l’immobile venga effettivamente utilizzato come comunità-alloggio o centro socio-riabilitativo per persone disabili per almeno vent’anni, si verifichi anche qualora l’immobile non venga utilizzato a tal scopo per tale tempo minimo è irragionevole e viola gli artt. 3 e 97 Cost.  Consentendo deroghe alla disciplina urbanistica comunale non giustificate dalla necessità di tutela degli interessi delle persone disabili, la disposizione si pone altresì in contrasto con il principio della programmazione urbanistica.

Corte costituzionale

Corte Costituzionale, 5 giugno 2023, n. 110

Società a partecipazione pubblica – Divieto di soccorso finanziario – Principio di coordinamento della finanza pubblica – Norme oscure – Illegittimità per violazione dell’art. 3 Cost. – Esigenza di rispetto di standard minimi di intellegibilità anche in ambito extrapenale

Il TUSP stabilisce, tra l’altro, principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, trattandosi di norme che, in linea con le disposizioni in materia di riduzione del costo della pubblica amministrazione (cosiddetta spending review), pongono misure finalizzate alla previsione e al contenimento delle spese della società a controllo pubblico per il loro funzionamento. Ciò vale certamente anche per l’art. 14, comma 5, TUSP, in materia di c.d. “divieto di soccorso finanziario”, che mira a porre stringenti limiti ai trasferimenti che le amministrazioni pubbliche possono effettuare a favore delle società partecipate.

Disposizioni irrimediabilmente oscure, e pertanto foriere di intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta, si pongano in contrasto con il canone di ragionevolezza della legge di cui all’art. 3 Cost. L’esigenza di rispetto di standard minimi di intelligibilità del significato delle proposizioni normative, e conseguentemente di ragionevole prevedibilità della loro applicazione, va certo assicurata con particolare rigore nella materia penale, dove è in gioco la libertà personale del consociato, nonché più in generale allorché la legge conferisca all’autorità pubblica il potere di limitare i suoi diritti fondamentali, come nella materia delle misure di prevenzione. Ma sarebbe errato ritenere che tale esigenza non sussista affatto rispetto alle norme che regolano la generalità dei rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini, ovvero i rapporti reciproci tra questi ultimi. Anche in questi ambiti, ciascun consociato ha un’ovvia aspettativa a che la legge definisca ex ante, e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti entro i quali i suoi diritti e interessi legittimi potranno trovare tutela, sì da poter compiere su quelle basi le proprie libere scelte d’azione. Una norma radicalmente oscura, d’altra parte, vincola in maniera soltanto apparente il potere amministrativo e giudiziario, in violazione del principio di legalità e della stessa separazione dei poteri; e crea inevitabilmente le condizioni per un’applicazione diseguale della legge, in violazione di quel principio di parità di trattamento tra i consociati, che costituisce il cuore della garanzia consacrata dall’art. 3 Cost.

Trattamento fine servizio

Corte Costituzionale, 19 giugno 2023, n. 130

Previdenza – Impiego pubblico – Trattamenti di fine servizio – Differimento – Rateizzazione

Sono dichiarate inammissibili le qlc dell’art. 3, c. 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, e dell’art.  12, c. 7, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, che prevedono rispettivamente il differimento e la rateizzazione delle prestazioni, sollevate dal TAR Lazio, sezione terza quater, in riferimento all’art. 36 Cost.
Il differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio (T.F.S.) spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione, di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione. Si tratta di un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana.
Spetta al legislatore, avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria.  Tuttavia, la discrezionalità del legislatore al riguardo non è temporalmente illimitata. E non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa.

Usi civici

Corte Costituzionale, 15 giugno 2023, n.  119

Usi civici – Domini collettivi – Disciplina – Beni collettivi

L’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017 si pone in contrasto con gli artt. 3 e 42, secondo comma, Cost., nella parte in cui, riferendosi ai beni indicati dall’art. 3, comma 1, non esclude dal regime della inalienabilità le terre di proprietà di privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati

In caso di alienazione delle terre di proprietà privata, i diritti di uso civico seguono il bene e i componenti della collettività continuano a poter esercitare tutte le facoltà che gli usi civici conferiscono loro. Al contempo, il diritto di proprietà circola preservando sulla terra il vincolo paesaggistico, che impedisce al proprietario di apportare modificazioni pregiudizievoli per gli usi civici. Di conseguenza, chiunque acquisti il fondo non può compiere alcun atto che possa compromettere il pieno godimento promiscuo, nonché il valore paesistico ambientale correlato alla conservazione degli usi civici. Il regime di inalienabilità delle terre di proprietà privata su cui insistono usi civici si dimostra totalmente estraneo alla tutela di interessi generali sotto qualunque prospettiva lo si consideri: l’inalienabilità non ha alcuna ragionevole connessione con lo scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà privata. Conclusivamente, la norma censurata determina una irragionevole conformazione e, di riflesso, una illegittima compressione della proprietà privata.